Non diciamo nulla di nuovo se parliamo del naturale legame tra settima e nona arte, tra cinema e fumetto. Nel caso della Marvel e della Dc – e di tutte le altre editrici americane – il fenomeno è diventato ormai strutturale al mercato cinematografico: i cinecomics si attendono, si seguono, si amano e si odiano. Abbiamo casi fortunati anche nel mondo delle BD francesi recenti (qualcuno ha detto: “Il blu è un colore caldo”?), che hanno aperto la strada alla sperimentazione – arrivata col consueto ritardo italiano – della trasposizione in pellicola de “La profezia dell’armadillo” di Zerocalcare. Certo, questo apripista, per vari motivi, potrebbe non essere stato il passo migliore con cui iniziare il percorso: che dite, allora, se il film non lo fa il fumetto, ma il fumettista?
Ecco che arriviamo (finalmente) al “Il ragazzo più felice del mondo”, scritto, diretto e interpretato da Gipi. Prodotto dallo stesso signore che ha fatto de “La profezia dell’armadillo” un aggiornamento di “Come te nessuno mai” di Gabriele Muccino (ve lo ricordate?), Domenico Procacci, il film non è tratto da un fumetto, ma da un episodio reale capitato nella vita dell’autore de “La terra dei figli”.
C’è una lettera, al centro della storia. Questa lettera è stata mandata da un ragazzino, anni prima: oltre ad adulare il suo “autore preferito”, il mittente chiede come favore preziosissimo l’invio di uno sketch originale. Questo gesto lo renderebbe “il ragazzo più felice del mondo”.
Il mistero (e la storia) nasce dal momento in cui Gipi si rende conto che la stessa lettera è stata spedita a decine e decine di suoi colleghi, sparsi in tutta Italia. Munito di telecamera e assistito dalla nuova armata Brancaleone del cinema italiano, il fumettista si mette alla ricerca dell’ignoto fan, in un diario di viaggio e di indagine che lo porterà verso il “finale più felice del mondo”. O, se non il più felice, il più giusto.
Il Gipi-personaggio protagonista del film è assolutamente all’altezza del Gipi-autore. Non ci è dato sapere quanto sia lavoro di scrittura e quanto, invece, sia frutto di improvvisazione e spontaneità, ma il risultato funziona alla grande. Il film è godibile, simpatico nel miglior senso del termine, scanzonato, senza perdere un senso e un ampio respiro etico. Insieme al protagonista e mente dell’intera operazione, il gruppo di amici e colleghi cineasti, Gero Arnone, Davide Barbafiera e Francesco Daniele. Il confine tra professionisti e non del cinema qui è travalicato senza darsi troppi pensieri, consapevoli del valore aggiunto che l’aria del cazzeggio avrebbe portato al risultato finale: abbiamo proprio per questo la partecipazione di personaggi presi da tutt’altre arti (vedete Mauro Uzzeo nei panni dell’indovina, o le interviste a Mammucari &co.), che si prestano divertiti a partecipare al gioco. Il risultato? Meglio di molta commedia italiana che, a furia di tirarsi a lucido e di ammiccare a un pubblico annoiato, ha smesso del tutto di far ridere.
Il film di Gipi non ha assolutamente questo problema: né patinato, né compiacente, risulta estremamente divertente, oltre che interessante e ricco di spunti di riflessione. Partiamo proprio da questi: in più riprese, oltre che nel tema centrale della storia, Pacinotti ci racconta il suo punto di vista sul rapporto tra artista/autore e fan, attraverso quel sordido mezzo del messaggio scritto – che sia cartaceo o tramite social. Il gesto dell’ammiratore di comunicare al proprio idolo è illuminato da due differenti angolature: da un lato il tono ingenuo, entusiasta di Francesco (questo il nome con cui si firma il 15enne delle lettere), dall’altro la violenza del conflitto esasperato dalla cassa di risonanza dei social network.
In altre parole, la folle deriva che ha preso la comunicazione virtuale negli ultimi anni è raccontata da Gipi con sensibilità, facendo riferimento anche alla propria esperienza (inventata? reale? poco importa) di veri e propri attacchi diretti. Che i fan siano uno specchio della crisi dell’artista contemporaneo, o che l’azzeramento delle distanze tra pubblico e autore renda ancora più fragile una categoria da sempre strattonata tra biasimo e idolatria, “Il ragazzo più felice del mondo” ci porta a riflettere sulla responsabilità che ognuno di noi ha verso quello che si dice e come lo si dice. L’anonimato (o il semianonimato) o – meglio – la percezione illusoria di non essere individuati, perché confusi tra i tanti nomi della rete, consente alla fanbase di sfogare i propri istinti più bassi sugli artisti: Gipi ci mostra l’altro lato di questo fenomeno e le domande costanti, tenere, quasi ossessive che l’autore si pone interrogandosi sui propri lettori.
Responsabilità, sensibilità, ironia (tanta e ben riuscita) sono le linee guida di questo piccolo, folle gioiellino della programmazione autunnale. Come ha detto lo stesso Gipi alla presentazione del film durante il Lucca Comics & Games appena concluso, è un film da vedere con gli occhi dei bambini, di cui ridere quando c’è da ridere e da godersi senza starci troppo a pensare. Da bravo narratore e creatore di mondi, Pacinotti riesce a far scivolare le seconde, le terze linee di lettura sul piano del cuore, senza che si incastrino in intellettualismi.
Verdetto
Verdetto: Un film godibile, in cui scopriamo un nuovo volto del personaggio di Gipi-fumettista, al di là dei suoi fumetti: un’operazione estremamente intelligente (e autoironica) di Procacci, che sperimenta un nuovo modo di parlare di un tema e di un personaggio in voga, lasciandolo libero di esprimersi senza farsi troppo condizionare da logiche di mercato. Si ride, tanto, si riflette, ma poi ci si rimette a ridere. Finale – da non spoilerare – assolutamente azzeccato.
Se ti interessa “Il ragazzo più felice del mondo”…
Non puoi non guardare il film più volte citato (e in che modo!) ovvero, “La vie d’Adele”, ispirato dalla graphic novel di Julie Maroh, “Il blu è un colore caldo”. Le due opere non c’entrano nulla col film di Gipi, ma è interessante vedere come le tocca con ironia, senza compromettere il loro forte messaggio.