Il Viaggio di Marco Corona, nuova uscita di Progetto Stigma per Eris Edizioni, è una storia allucinata su memoria dei luoghi, passaggio del tempo e innocenza
L’influenza che Marco Corona ha avuto su un certo tipo di fumetto e illustrazione contemporanea, italiana e non, è tanto evidente quanto spesso poco citata. Basta vedere suoi lavori – come la biografia surreale su Frida Kahlo o la serie Riflessi – per rendersi conto di come certi canoni che attualmente sono cardini imprescindibili del fumetto nostrano abbiano radici che puntano anche verso il suo nome. Vedere poi il suo nome associato a una realtà che vuole mettere chi crea in prima linea, ovvero Progetto Stigma con la consueta norma di mettere “i pazzi a gestire il manicomio”, desta ancora maggiore interesse per il suo nuovo libro a fumetti: Il Viaggio.
Una villa abbandonata. Quante volte ci è capitato, in infanzia o adolescenza, di sentire qualche amica o amico parlare di un luogo fatiscente che nascondeva segreti e misteri. Spesso questi racconti, almeno per quanto mi riguarda, erano accompagnati da nozioni su chi ci viveva prima – spesso nobili famiglie decadute o finite in disgrazia per le più disparate e tragiche ragioni – oppure da avvertimenti di vario tipo sugli inquilini che in quel momento venivano ospitati da ciò che rimaneva della magione: tossicodipendenti, ratti infetti, rottami e altri pericoli che non facevano altro che ingigantire la pericolosità del luogo e, di riflesso, la grandezza di chi riusciva a varcarne la soglia. Ma non è del brivido del proibito che deriva dall’attraversare luoghi su cui il tempo è stato particolarmente inclemente che parla Il Viaggio. Focus del fumetto, piuttosto, è raccontare che cosa può nascondere agli occhi un posto dimenticato e ormai lasciato di sfondo. Lontano da facili intenti da romanzo di formazione dove bambine e bambini scoprono loro stesse e loro stessi, Marco Corona ci porta in una voragine scura, allucinata e rigorosamente non lineare che porta alla luce le esistenze che si sono susseguite nel tempo, in un solo e unico spazio.
Una narrazione che confonde i piani temporali, distorcendo passato e presente e di conseguenza anche la percezione che hanno di questi i personaggi. Gli eventi si incastrano tra di loro diventando gli uni causa degli altri e viceversa, i personaggi rimangono intrappolati dentro la villa senza avere la percezione di quel che sono in un dato punto della storia. Il più giovane della famiglia nobile gioca con alcune coetanee e coetanei moltissimi anni dopo la disgrazia che ha coinvolto lui e i suoi cari: è uno spettro? Oppure la casa ha tenuto dentro di sé lui e la sua famiglia in seguito a quell’intervento di quella medium chiamata per ritrovare la sorella scomparsa? Perché i tossici si riuniscono proprio lì, per farsi? Cosa spinge un gruppo di bambine e bambini ad addentrarsi in quella boscaglia e perché giocano e vedono lui? O forse è solo la sua immaginazione a portarlo a pensare che ci sia un dialogo?
Il Viaggio non è pensato per dare risposte precise né a chi legge né ai suoi personaggi, ma piuttosto allegorie che si colleghino con l’infanzia distrutta da tutta una serie di interventi che sono endemici del passaggio del tempo: l’avidità, la debolezza, la lussuria e altri inevitabili passaggi dell’essere grandi. Marco Corona tiene sempre sospesa la chiave unica attraverso cui leggere ciò che si ha davanti, generando processi di assimilazione molto profondi nella loro opacità.
Ad aumentare questo senso di incontrollabilità psicotica e allucinogena di fondo è anche la parte grafica e visiva del pacchetto. Le matite isteriche ma non spigolose di Corona si accoppiano con una inchiostratura pesante e nervosa dal gusto grafico e ricco di mezze tinte dall’effetto poster. Un disegno che aiuta a rendere ancor meno impercettibile il tempo, rendendo la villa il vero mezzo attraverso cui compiere il percorso. Un visivo che non è solo mezzo o integrazione degli intenti narrati ma che è loro stessa espressione e senza cui non potrebbe realizzarsi. Tavole senza griglia in cui il passaggio del tempo è mera convenzione narrativa, la cui importanza è secondaria rispetto alle sensazioni e alle suggestioni interne ed esterne.
Un trasferimento che avviene tutto nello stesso luogo, attraverso un tempo non chiaro ma che vive proprio grazie alla sua non limpidezza. Marco Corona ci porta così nel suo Il Viaggio: abbandonate e abbandonati in posti che hanno bisogno di memoria, di esseri umani che ne mantengono vivo il ricordo di ciò che è stato e passato prima di loro. Un volume che negli intenti e nei modi di trattare il ricordo mi ha ricordato un altro esempio di narrazione nella cultura contemporanea italiana del ricordo immutabile e dei pericoli che deve affrontare: Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher. Come nel film, anche qui, riportare alla memoria ciò e chi è stato (e siamo state e stati) è l’unica cosa che conta davvero.