Joe Wright alla Festa del cinema di Roma
Tra i film più attesi all’interno della selezione ufficiale della 16esima edizione della Festa del cinema di Roma c’è senza dubbio Cyrano, adattamento della celebre commedia teatrale di Edmond Rostand. Ad accompagnare il film il regista Joe Wright, che abbiamo avuto occasione di ascoltare durante un Incontro ravvicinato che gli è stato riservato.
Un percorso che ha spaziato dai primi approcci al mondo del cinema per passare poi per alcune clip selezionate dalla filmografia del regista. Molte infatti le domande che il padrone di casa Antonio Monda, a moderare, ha rivolto all’autore, a partire dal primo ricordo che Wright ha della sala cinematografica e che curiosamente richiama proprio il nome dell’evento: «Il primo film visto al cinema è stato Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg, all’incirca all’età di sei anni. Mi terrorizzò la scena con il purè di patate, con l’idea che anche un padre potesse perdere la testa in quel modo lì».
Un momento, questo, che Wright riconosce essere stato fondativo per il suo rapporto con il cinema, vissuto come uno spettatore che non accantona mai una certa sensazione di timore. Ma anche un momento in cui emerse un interesse per quello che c’è dietro lo schermo, per gli ingranaggi che rendono possibile la magia: «Ricordo che sempre in quell’occasione chiesi a mia madre come vengono fatti i film. Lei ritagliò dei quadratini di carta sopra i quali disegnò un principe, una principessa e un drago. Una volta tornati a casa fece un buco all’interno di una scatola di scarpe all’interno della quale incollò questa sorta di nastro con vignette. Facemmo così il nostro primo film».
La carriera che ne è derivata poi è stata decisa e indirizzata da momenti forse piccoli, ma ben precisi: «Un momento di svolta fu all’età di quindici anni quando in estate rimasi solo a casa. Trovai i VHS di Taxi Driver e Blue Velvet che iniziai a rivedere a ripetizione. Li considerai curiosamente come delle commedie».
Un percorso nella carriera del regista inglese
La prima delle clip mostrate in sala è dedicata a Espiazione, film adattato da Christopher Hampton a partire dall’omonimo romanzo di Ian McEwan. «Sono cresciuto in un quartiere duro di Londra. A scuola le insegnanti passavano più tempo a tenere in riga gli studenti che a spiegare. Sono anche dislessico e ai tempi mi consideravano pigro e stupido. Ho realizzato poi che il cinema potesse essere per me un metodo per imparare, e ringrazio di aver avuto l’opportunità di lavorare con grandi personalità come Ian McEwan in Espiazione e Tom Stoppard in Anna Karenina».
Il regista continua poi: «Quando iniziai a leggere il romanzo pensavo fosse nel solco della tradizione britannica. A un certo punto lessi la parola “fica” che inizialmente mi sconcertò per il testo dove era stata inserita, salvo poi farmi realizzare di trovarmi di fronte a un’opera moderna come lo fu Rashomon di Kurosawa. Mi permise infatti di iniziare a riflettere sul valore della verità e dell’oggettività dietro questa nozione, spesso differente rispetto alla prospettiva assunta».
Sullo schermo arriva poi il turno della già citata Anna Karenina, film che nella carriera del regista arriva nel 2012. Adattare una grande opera letteraria come questa non è impresa semplice. Punzecchiato su che tipo di operazione l’adattamento sia, se di fedeltà o di tradimento nei confronti dell’opera originaria, Wright risponde: «Il mio approccio all’adattamento è mettere in scena il film nel modo in cui il libro è apparso e si è realizzato nella mia testa. Questa è l’unica cosa alla quale devo essere fedele. Ogni libro ha tante versioni quanti sono i lettori». Quella di Anna Karenina è però un’esperienza influenzata anche dalle esigenze produttive: «L’idea di ambientare il film come se fosse tutto all’interno di un teatro è stata dettata anche dalle limitate risorse di budget».
Da Gary Oldman alla scoperta di Cyrano
L’ultima clip è dedicata al più recente L’ora più buia, film che è valso l’Oscar alla Miglior interpretazione maschile a Gary Oldman. «Gary è sempre stato la mia prima scelta. È un londinese ed è come se nel corso del tempo sia diventato una sorta di padrone della città. Crescendo qui negli anni ’80 ho sempre desiderato lavorare con lui, fin quando Kathy Burke, che vinse a Cannes proprio sotto la direzione di Gary in Niente in bocca, ci presentò. In quell’occasione lei disse a Gary che un giorno avrebbe lavorato con me e che gli avrei fatto vincere un Oscar».
E il merito della riuscita di un film è in effetti spesso affidato nelle mani degli interpreti: «Il successo di un’opera cinematografica non dipende da noi registi tanto quanto noi vorremmo, piuttosto dal fatto che ci sia l’attore giusto nel ruolo giusto al momento giusto. Così è stato per il Churchill di Oldman e così penso che sia per il Cyrano di Dinklage».
L’ultima porzione dell’incontro è dedicata proprio a Cyrano. «Non è un musical, è un film in cui ci sono diversi brani cantati» scherza il regista. «Haley Bennett un giorno mi invitò a una produzione teatrale a Chester, in Connecticut, dove lei stava interpretando Roxanne e Cyrano era stato affidato a Peter Dinklage.» Wright fu colpito da questa inedita versione dell’opera: «Da ragazzo fui inevitabilmente attratto dal Cyrano con Gerard Depardieu, che mi ha aperto gli occhi su differenti aspetti dell’amore. Quella a cui partecipai era una rivisitazione moderna del personaggio, ma al tempo stesso autentica. Nel giro di qualche anno abbiamo poi deciso di portarla sul grande schermo».
Il Cyrano di Wright è poi ambientato a Noto, in Sicilia. «Amo l’Italia, anche se la prima volta che sono venuto qui è stato solamente dopo Orgoglio e pregiudizio. In Italia ho poi trascorso molto tempo, scrivendo qui molte sceneggiature. Inoltre tra i miei film preferiti di sempre ci sono le opere di maestri come Fellini e Visconti». La location gioca sicuramente anche un ruolo decisivo nel film: «David Lean diceva di ambientare una storia romantica in un posto non romantico affinché il romanticismo dei personaggi potesse uscire fuori in maniera più convincente. Cyrano funziona in maniera inversa, con un luogo estremamente romantico come Noto che fa da contraltare al non riuscire del protagonista di manifestare il proprio amore per paura la paura di svelarsi.»
Joe Wright, in chiusura, svela anche la sua inquadratura preferita del film: «È un primo piano che si alterna nella messa a fuoco di Cyrano e Roxanne, seduta poco dietro su una panchina. Credo ci sia del magico nel vedere un volto sul grande schermo, che è in grado di rendere tutto nobile e immortale».