Ecco i migliori indie, o i più interessanti e stimolanti, di settembre 2020
Mentre il mondo della grande produzione attende paziente l’arrivo della nuova generazione di console, il panorama indipendente e medio budget continua imperterrito nella sua inarrestabile corsa creativa. In questo primo, corposo appuntamento con questa nuova rubrica, vi racconterò alcune delle esperienze più particolari, originali o semplicemente ben fatte che mi sono capitate curiosando tra gli store digitali videoludici. Eccovi i migliori indie di questo settembre 2020. E ricordate, Indie Does it Better!
Prima di iniziare, sono però necessari alcuni chiarimenti. Il termine “indie” si è trasformato nel tempo in un ombrello concettuale all’interno del quale oramai viene inserito un po’ di tutto, da Cuphead e Journey (con alle spalle il publishing di Microsoft e Sony) fino al più stereotipico “gioco uzbeko con i sottotitoli in ucraino“.
Andando oltre le categorie commerciali, con questa rubrica cercherò semplicemente di dare visibilità a progetti che penso meritino di più di quel che appare. Dunque, se qualche volta vi capiterà di leggere di un titolo con un publisher alle spalle, o con una campagna mediatica di medio successo, non pensate che sia stato inserito per ignoranza, ma solo per il sincero desiderio di curare una rubrica che abbia come obiettivo quello della creatività, e non una stringente aderenza a categorie canoniche e strutture commerciali.
The Girl of Glass
Parte come un’avventura grafica dai toni fiabeschi, e si trasforma in un dramma con i combattimenti a turni: The Girl of Glass cambia fluidamente la sua forma ludica e narrativa, esattamente come la protagonista del suo racconto, e lo fa con tatto, ricchezza di contenuti e con una direzione artistica semplicemente straordinaria. Gli elementi che fanno risaltare il gioco non si esauriscono qui: dalla complessità dei temi trattati (ci saranno degli scambi tematici degni di Max Weber e Benedetto Croce) alla qualità del doppiaggio, The Girl of Glass ci sorprende con una bellezza estetica inattesa, e poi ci trascina nel suo lungo viaggio (circa 7/8 ore per completarlo) con l’intelligenza delle sue interazioni.
Perché intelligenti? Perché non sono mai scisse dal racconto, non si evolvono in funzione di una banale progressione ma coerentemente con quanto viene narrato: ecco dunque che potrebbero capitare combattimenti facilissimi anche contro dei boss di fine “livello”, perché è quello che chiede il racconto. L’unico difetto macroscopico che mi è parso di notare nel corso di tutta l’esperienza è un generale appiattimento dei personaggi su posizioni stereotipate e monolitiche, ma probabilmente è il prezzo che si deve pagare per la creazione di un racconto evidentemente metaforico, a tratti sorprendente nella sua capacità di usare turni ed enigmi, musiche e scelte visive. Sinceramente incomprensibile la sua assenza da quasi ogni testata disponibile. Straconsigliato a chiunque.
Cloud Gardens – I migliori indie di settembre
A volte ci si dimentica che il videogioco può essere mera contemplazione dell’interazione, una paradossale staticità in movimento. Per fortuna, Cloud Gardens ci ricorda che videogiocare non è solo potenziarsi all’infinito verso un nuovo contenuto da divorare, ma può anche essere ricompensa sonora e visiva, curiosità nel vedere cosa accade con un’interazione specifica, e come possiamo usarla per creare qualcosa che giudichiamo bello, ricco, rilassante, appagante.
Per fare tutto questo, Cloud Gardens ci permette inoltre di riconquistare piccoli angoli o microambienti dal sapore apocalittico, ma che potrebbero serenamente essere luoghi già presenti oggi nelle nostre città, ma tenuti lontani dalla nostra vista. Scorie radioattive, macchine arrugginite, strutture diroccate e vecchi posteggi oramai deserti: Cloud Gardens ci permette di riconquistare questi spazi con la potenza inarrestabile della natura, prima quasi solo verde foglia e poi sempre più ricca e colorata, fatta di fiore e piante, rampicanti e cactus. Un gioiellino che rilassa e appaga i sensi.
Star Renegades
Con Star Renegades baro due volte: la prima, perché in realtà il team di sviluppo ha un publisher, e non proprio l’ultimo degli arrivati; la seconda è perché in realtà a me non piacciono mica tanto i roguelite, e quindi come posso consigliarne l’acquisto a un fan dedicato del genere? Eppure, che posso farci, Star Renegades m’ha portato via ore e ore senza farmene rendere conto, grazie a una serie di scelte di design incredibilmente appaganti e bilanciate, che riescono nel miracolo di non rendere quasi mai frustrante l’esperienza complessiva anche per un novizio del genere.
C’è poi da dire che l’idea alla base del mondo di gioco, una rivoluzione infinita di ribelli galattici contro un sistema oppressore, non può che trascinarmi all’interno del suo racconto, fatto anche di piccoli segreti da svelare e di un affiatamento tra personaggi che imparerete ad amare anche senza le mille cinematiche in 4k tipiche di altre tipologie di prodotti.
Un viaggio intergalattico che ci concede anche momenti di quiete tramite i quali approfondire la conoscenza degli altri ribelli, il tutto condito da una pixel art deliziosa (siamo ai livelli di pulizia e dettagli di Children of Morta, per quel che mi riguarda). Partite per una galassia lontana lontana con Star Renegades. Non è detto che torniate, però…
Journey of the Broken Circle – I migliori indie di settembre
Prendete il capolavoro di Mike Bithell, Thomas Was Alone, conditelo con una formula platform meno metaforica del gioiello dell’autore inglese, e aggiungete una storia che parla di amore e abbandono, ma soprattutto di identità: eccovi Journey of the Broken Circle.
Non aspettatevi chissà che qualità narrativa, e non pensate di trovarvi di fronte a sessioni platform complesse o particolarmente esaltanti, tutt’altro: ci saranno dei momenti inutilmente frustranti in Journey of the broken Circle, e sessioni semplicemente dimenticabili. Eppure è nell’idea alla base del racconto che risiede l’originalità dell’esperienza creata da Lovable Hult Cult: l’avatar incompleto ha bisogno di aggiunge al suo corpo per poter andare avanti, e sommare o sottrarre pezzi, oltre al forte impatto narrativo, avrà anche ripercussioni ludiche.
Vi attende un viaggio di qualche ora che più che divertirvi con il suo design vi farà ricordare le prime esperienze amorose, e vi strapperà un sorriso per alcune soluzioni interessanti. Da tenere d’occhio per gli amanti di Klaus, Thomas Was Alone e il platform metaforico.
Welcome to Elk
Quando ho potuto parlare con l’autore di Welcome to Elk durante la Gamescom del 2019, la prima cosa che mi colpì fu lo sguardo sorpreso e gioioso dello sviluppatore quando affermai che il gioco mi ricordava Night in the Woods. “È l’ispirazione principale!”, disse festanti i membri di Triple Topping, ed effettivamente, una volta completato il gioco, la cosa è evidente: credo che Night in the Woods abbia creato un piccolo nuovo genere, quello del racconto di una piccola comunità, che non è né la grande epica blockbuster di mondi e grandi metropoli, né l’esplorazione del singolo all’interno della società, come nel caso di Mosaic.
Quest’anno, per esempio, Cloudpunk ha descritto bene le periferie e le zone centrali del suo mondo, e così è riuscito a fare Welcome to Elk, che descrive con racconti a metà tra reale e fittizio una piccola isola semisperduta a nord della Danimarca. E in effetti, le storie dell’opera Triple Topping sono tutte vere, ma sono rimescolate, riadattate a una sceneggiatura che le inglobi tutte, senza però mai renderle eccessivamente centrali, tutte funzionali a descriverci il tipo di vita e di drammi che affronta chi ancora oggi vive in posti simili. Per rendere ancora più evidente questa costante sovrapposizione, il gioco spezza spesso la quarta parete, e a volte utilizza dei veri e propri video-intervista che narrano, nelle loro versioni originali, i racconti emersi nel tempo.
Da Night in the Woods gli sviluppatori hanno anche cercato di recuperare l’incredibile varietà di interazioni e meccaniche, ma il risultato è efficace solo a metà: per ogni intelligente trovata di design, ne spunta un’altra decisamente meno prestante rispetto agli obiettivi maturi dello sviluppo. Anche la qualità dei dialoghi è altalenante, e in qualche modo rimarca involontariamente la natura frammentaria del gioco, che rimane però interessante per scelte narrative e d’ambientazione. Curioso.
Post Void
All’inizio ti pare Doom sotto acidi, poi scopri che sono gli acidi con sotto Doom: Post Void è disturbante per gli occhi e godurioso per quella parte di te che ogni tanto ha bisogno di lasciarsi andare. Scopri quindi alla fine che Post Void è più Hotline Mami in prima persona che Doom, però non c’è tutta la sovrastruttura narrativa che in Hotline Miami giustifica l’agire, e allora che fai? Sei davvero una mente vuota colta dal raptus dell’omicidio, del desiderio di violenza, dell’asfissia neuronale? Forse sono un mostro.
Ma, aspetta: i livelli sembrano diventare più complessi. Prima erano corridoi di purissima violenza, adesso sono stanze psichedeliche e indefinite di… purissima violenza. Ma allora forse c’è qualcos’altro che mi guida, non sono una bestia ma un semplice giocatore, che desidera scoprire ogni possibile anfratto di un mondo che, ne sono certo, si dischiuderà a breve.
E invece no. Sparatevelo.
Quello che non entra, rientra
Come sempre, ci sono state molte altre esperienze degne di nota, questo mese: l’arrivo di HAAK in accesso anticipato, l’uscita del nuovo gioco di Inkle, Pendragon, quella di Spinch e quella di That Feeling Blue, nuovo trip psichedelico di Colofiction; il curioso Rip them Off, il delizioso As Far as the Eye, il brillante My Exercise, l’adrenalinico e al contempo rilassante Art of Rally; il prologo di Gripper, che sembra davvero una bomba.
Ma, di nuovo, il tempo non è infinito, e la selezione cerca più che altro di stimolare varietà e voglia di curiosare, piuttosto che imporre una teorica graduatoria di merito. Ci vediamo il mese prossimo con Indie Does it Better!