“Tanta nostalgia degli anni ’90…”
Non si vive solo di pupazzi e bambole. Con questa filosofia di vita, negli anni ’80 e ’90, accanto ai classici giochi in scatola (che abbiamo ricordato in un nostro primo listone) cominciarono a prendere piede dei Playset davvero particolari , che permettevano ai bambini, con attrezzi e meccanismi alquanto rudimentali ma efficaci, di emulare con non poca soddisfazione la creazione di alcuni cibi e oggettistica di vario tipo.
Spesso il divertimento infatti non arrivava dal prodotto finito, ma dall’essere testimoni e artefici di un processo di creazione, quella curiosità primordiale che ci portava a chiederci da piccoli come nascessero le cose e soprattutto, cosa ci fosse al loro interno. I risultati il più delle volte erano disastrosi ed esilaranti, ma in fondo, la bellezza di quei giochi era tutta lì, nello sperimentare seduti sul pavimento di casa con i propri amici tra merendine e risate, in tempi in cui la tecnologia ancora non la faceva da padrone e le redini del gioco le aveva la nostra fervente immaginazione.
La Fabbrica dei Mostri (1994)
“La fabbrica dei mostriiii è in piena attività!
Temibili creature il forno sfornerà!”
È con questo ipnotico slogan di 20 anni fa che la fabbrica dei mostri arrivò trionfante tra le pubblicità del pomeriggio, tra un cartone e l’altro, e subito scattava l’urlo invasato verso vostro padre per averlo il giorno dopo. Si trattava di una specie di forno cubico dalle dimensioni generose, con inciso a caratteri cubitali sulla parte frontale NON TOCCARE GLI STAMPI CALDI, ma per i bambini dell’epoca quel messaggio era solo una sfida in più. La parte più interessante erano gli stampini con varie forme di insetti e creature mefitiche, che andavano riempiti con una specie di liquido melmoso che ad alte temperature diventava ovviamente di gomma. Si potevano quindi mischiare più colori per ottenere cromature strane e sempre più malsane.
Dopo qualche minuto la cameretta era inondata da un odore così forte e acre che i roghi tossici a confronto erano prati fioriti, e proprio quello era il segnale che l’infornata era pronta; bastava quindi munirsi di pinze di plastica ed estrarre le formine, aspettando pazientemente che il tutto si raffreddasse, per ottenere finalmente mostriciattoli multicolorati in grado di rivaleggiare per utilità con le manine appiccicose delle patatine. Il risultato di certo non era come quello della pubblicità e qualche arto o qualche ala poteva risultare mancante, ma vi ricordate la goduria nell’infornare e sfornare decine e decine di gommosi minions puzzolenti?!
Dalla fabbrica dei mostri generici nacquero, negli anni successivi, quelle specifiche per i giocattoli che andavano per la maggiore, come i Pokémon, i Digimon, i Gormiti, e allora giù di Pikachu color fucsia e Agumon troppo abbronzati in miscugli plasticosi, tali da modificare il vostro Ph tattile per tutti gli anni a venire.
La Macchina del Gelato GIG
Il buon Fabrizio Bracconieri de I ragazzi della terza C, nella pubblicità – vestito da gelataio – annunciava a uno sciame di bimbi urlanti che il gelato era finito… Probabilmente se lo era divorato tutto lui. Ma ecco che con un jingle fantastico atterrava dal cielo la mitica e plasticosa Macchina del gelato: bastava infilare zucchero, latte e tocchi di frutta random e tecnicamente, girando per un numero di volte tendente a infinito una manovella, il gelato si creava spontaneamente. Oggi Alberto Angela ci insegna che non è proprio così, e che non ci volevano esattamente i canonici “3 minuti” per tirare fuori un gelato prelibato, quanto più una poltiglia colorata, grazie anche alle misteriose bustine Cameo che andavano usate nel processo e che dopo l’utilizzo, andavano pazientemente ricomprate al supermercato. Il risultato era veramente disgustoso, mangiare quell’intruglio equivaleva ad assumere circa il 98% della razione giornaliera di zuccheri consigliata, portando le possibilità di assomigliare alla versione vintage di Bracconieri ad un livello pericolosamente alto.
Dolce Forno Harbert 80 (1987)
Con la potenza di ben due lampadine da 60 watt l’una, il Dolce Forno HARBERT era l’oggetto più esclusivo per tutti i bambini chef wannabe dagli 8 agli 11 sul finire degli anni ’80. Abbagliati da una pubblicità dove si mostrava come virtualmente si potesse cucinare una miriade di dolcetti e rustici colorati e profumati, il dolce forno era in realtà una trappola mortale, completamente in PLASTICA e tendente a surriscaldarsi come un Galaxy Note 7 lasciato in carica 3 giorni di fila. Era ovviamente necessaria la supervisione di un “grande”, ma a cosa servivano a quel tempo gli adulti? Bastava armarsi dell’inutile ricettario, del mini mattarello, latte e un paio di uova rubate dal frigo e mescolando il pericoloso intruglio, si ficcava tutto con prepotenza dentro la feritoia infernale che illuminava a giorno la stanzetta durante la misteriosa cottura; e quest’ultima si poteva seguire sbirciando dalla finestrella centrale, con i suoi riflessi color Monte Fato davvero indimenticabili. Fortunatamente la potenza delle due lampadine era appena sufficiente per far solidificare l’impasto, utile quindi per tirar fuori una focaccina triste da farcire poi con panna o marmellata, ma se si era particolarmente fortunati, poteva uscirci anche qualche pizzetta rossa. Nel corso degli anni il voltaggio delle lampadine è stato modificato più volte, aumentando e diminuendo a seconda del grado delle ustioni riportate da qualche bambino un po’ troppo curioso nei confronti dei processi di alimentazione elettrica.
Profumio (1992)
Profumio era l’apogeo, la summa, il climax massimo per tutte le bambine desiderose di emulare la preparazione cosmetica della sorella maggiore o della propria mamma con il tocco finale perfetto: un profumo che fosse all’altezza della situazione di gioco con le proprie amiche. Il plasticoso cuore rosa gigante si apriva per rivelare al suo interno decine e decine di essenze ultra chimiche conservate in alcune boccette colorate, che, opportunamente miscelate, teoricamente avrebbero dovuto rilasciare essenze fruttate, delicate e morbide. Tutto questo – come detto – in teoria, perché ovviamente in pratica l’opuscolo con i vari numeri delle essenze e i consigli per creare profumi veniva bellamente ignorato per dedicarsi con passione alla miscelatura ignorante di quante più amori possibili contemporaneamente, creando degli intrugli così potenti che l’olfatto in quelle situazioni poteva anche prendersi una pausa caffè e tornare dopo qualche ora. Quelle che alla fine dovevano essere Fiori di campo o Essenze di frutti tropicali si trasformavano per magia in Bucce di Cocomero marce a Ferragosto e Lezzo di Bagno Chimico dopo un concerto, inoltre il passo tra il decretare chi avesse creato il profumo migliore e lo strapparsi i capelli a morsi era decisamente breve. Ma volevate mettere la soddisfazione di profumare Barbie e peluche vari con questi speciali profumi, roba che anni dopo la puzza sarebbe stata ancora lì ad attendervi, paziente e misteriosa come una creatura di Lovecraft.
Mr. Golosone (1993)
Mr. Golosone era null’altro che un perfetto simulatore di commesso gastronomico da Luna Park, che permetteva ai bambini di innalzare il loro livello glicemico a livelli stratosferici grazie a diversi set, ognuno in grado di produrre alimenti con solo il 115% di zuccheri, olio di palma in dosi industriali e altre robe chimiche non meglio specificate ai tempi. Il set di punta era ovviamente quello dello Zucchero Filato: addio feste di paese, addio adulti ingrati, addio insulsi “No, che tra poco si cena”. Ora quei misteriosi filamenti zuccherati potevano essere creati anche nelle camerette, a patto di conoscere ovviamente il giusto procedimento. La variante estiva consisteva in un tritaghiaccio primordiale dalle lame rigorosamente con la punta arrotondata che produceva una poltiglia gelata, alla quale poi andava abbinato lo sciroppo corrispondente per creare la Granatina dei propri gusti, sciroppo che inevitabilmente però veniva quasi sempre tracannato liscio, lasciando in bocca quel retrogusto di pneumatico candito tanto caro ai trentenni di oggi. La variante più classica era la macchina dei Pop Corn, ideale da avere in casa se volevate spararvi una VHS Disney, ma purtroppo data l’esigua potenza generata, i Pop Corn sarebbe stati pronti più o meno verso la seconda parte del film. Ciliegina sulla torta la macchina per creare Cioccolatini: una grattugia primordiale, di quelle da parmigiano, serviva per sminuzzare le tavolette di cioccolato; bastava quindi aggiungere un po’ di acqua nel contenitore cilindrico, applicare una pressione pari a 1 MPa = 106 N/m² = 1 N/mm² = 10 bar ≈ 0,1 kgf/mm² con la pressa incorporata et voilà. I cioccolatini perfetti, geometrici e voluminosi della pubblicità però li avreste visti solo al supermercato, dato che quello che poteva uscire ricordava terribilmente a una poltiglia fangosa o quello che avreste potuto trovare in una pozza di brodo primordiale del periodo pre Cambriano. Non erano così disgustosi una volta che ci si faceva l’abitudine, però. O forse sì, il vostro cane tanto avrebbe fatto da cavia.