Un breve viaggio attraverso le menti che hanno influenzato l’Intelligenza Artificiale, fino agli ultimi esperimenti condotti in materia.
L’intelligenza Artificiale è una disciplina particolarmente importante nel mondo Nerd. Generalmente, i videogiocatori si ritrovano a dover affrontare nemici che li ostacolano verso la scalata al raggiungimento di un obiettivo, capaci di prendere delle decisioni e comportarsi diversamente in base a determinate situazioni. Ma l’I.A. è un argomento che è stato riproposto anche in ambito cinematografico, fumettistico e in quello del fumetto giapponese, basti pensare a Io, robot, A.I. Intelligenza artificiale a Jarvis, l’assistente di Tony Stark o a Ghost in the Shell. In questo articolo, vogliamo offrirvi una panoramica su questa disciplina e delle influenze che ha avuto nel corso degli anni, partendo da molto, molto lontano…
Un po’ di storia
Tra le discipline più importanti alla base dell’intelligenza artificiale, ne troviamo alcune che si astraggono dall’ambito puramente applicativo (Matematica, Ingegneria, Robotica…), quali la Filosofia, la Psicologia e le Neuroscienze. Qualcuno di voi si starà chiedendo, probabilmente, perché questi campi hanno influenzato in maniera particolare l’intelligenza artificiale. Il motivo è che, in alcuni approcci, di cui parleremo in seguito nel dettaglio, si cerca la risposta ad alcune importanti domande: è possibile giungere a delle conclusioni applicando delle regole informali? Come si acquisisce la conoscenza e come questa può essere trasformata in un’azione? In che modo il cervello umano elabora le informazioni? Come pensano e agiscono gli esseri viventi?
Le risposte ad alcune di queste domande, sono state proposte già nel 300 a.c. con il filosofo Aristotele che portò avanti un sistema di sillogismi capace di generare delle conclusioni partendo da premesse valide. Questi sistemi, fanno parte dell’approccio delle “leggi del pensiero”, ovvero il pensiero razionale.
“Socrate è un uomo, tutti gli uomini sono mortali, Socrate è mortale”;
questo tipo di pensiero, che si riteneva essere alla base del funzionamento della mente umana, ha poi portato alla logica e ad una formulazione dei problemi capace di modellare, almeno in teoria, qualsiasi tipo di problema con un linguaggio logico. Come si può facilmente dedurre, un approccio del genere presenta dei grandi inconvenienti da non sottovalutare: quando un problema non ha soluzioni si potrebbe andare incontro ad un loop infinito e, soprattutto, il fatto che non è sempre semplice (o possibile) esprimere in un linguaggio formale, come quello logico, delle basi di conoscenza informali. Purtroppo, non possiamo dilungarci molto ad parlare di tutti i filosofi e i capoccioni che hanno contribuito allo sviluppo di questa disciplina, tra i quali troviamo anche Raimondo Lullo, che pensava di realizzare un sapere completo e universale tramite la combinazione di concetti elementari composti da simboli e numeri. Altri personaggi, come Hobbes, prima e Leibniz poi, pensavano che “pensare” fosse l’equivalente di “calcolare”. L’idea di base di entrambi, era proprio quella di ridurre la ragione ad una macchina calcolatrice e risolvere qualsiasi ragionamento, come un calcolo aritmetico. Ovviamente, molte di queste scuole di pensiero rientrano, come detto prima, nel pensiero razionale. Un altro approccio relativo all’Intelligenza Artificiale è quello della modellazione cognitiva, ovvero lo studio del pensiero umano ai fini di creare un programma in grado di pensare nella stessa maniera. Quello che si cerca di fare è analizzare il comportamento umano, formulare alcune teorie e trasformarle in software. Successivamente si analizzano le percezioni e le reazioni del programma per capire se alcuni comportamenti possano avvicinarsi a quelli degli uomini. Tra i nomi di spicco in questo approccio troviamo Allen Newell e Herbert Simon, creatori del General Problem Solver. Il lato interessante di questo lavoro, non è stato tanto quello di creare una macchina che risolvesse numerose problematiche, ma osservare con particolare attenzione la sequenza di operazioni che portava alla soluzione, confrontandole con la controparte umana.
Ovviamente, non è facile dare una definizione al concetto di intelligenza. Le diverse scuole di pensiero che si sono affermate nel corso degli anni, hanno focalizzato l’attenzione su diversi aspetti, che possono essere la linea di pensiero o il ragionamento. Cosa rispondereste se vi chiedessero di dare una definizione di “Intelligenza”?
Sicuramente, molti di voi saranno rimasti spiazzati davanti a questo termine che, a primo impatto, non sembra nascondere una grande complessità. Come abbiamo avuto modo di capire nelle righe precedenti, alcuni hanno valutato l’intelligenza usando come metro di misura la razionalità, ovvero (laddove fosse possibile) la capacità di “fare la cosa giusta”, mentre altri hanno confrontato la successione di azioni che portano alla risoluzione di un problema con quelle umane, astraendosi da quella che è la definizione ideale di intelligenza.
La Teoria di Turing
Uno dei metodi più convincenti per determinare se un sistema sia dotato di intelligenza, è stato fornito da Alan Turing nel 1950 (Computing Machinery and Intelligence), uno dei padri dell’informatica, arrivato anche nelle sale cinematografiche con The Imitation Game. Secondo Turing, sarebbe stato possibile affermare che un computer è dotato di Intelligenza se fosse riuscito superato un test, chiamato appunto Test di Turing. Lo scenario del test è il seguente: un essere umano viene posto davanti ad un terminale dotato di tastiera, con lo scopo di formulare alcune domande alle “entità” poste al lato opposto. Qui si trovano un essere umano e una macchina che rispondono alle domande dell’operatore: se questo non è in grado di distinguere chi sia la macchina e chi l’operatore umano, allora si può dire che la macchina è Intelligente.
Uomo vs. Macchina
Sorvolando sulle controversie che vedono l’inattendibilità del test di Turing nel definire se un computer sia in grado di pensare e, vivendo nel terrore costante che un giorno le macchine possano conquistare il pianeta terra ci chiediamo: esiste qualche programma che è riuscito a superare il test di Turing?
Il primo ad ottenere un discreto successo è stato Eliza, scritto da Joseph Weizenbaum nel 1966, che simulava una conversazione tra un utente e una psicoterapeuta. Negli anni ’60, aleggiava sicuramente un certo scetticismo solo ad immaginare che una macchina potesse essere in grado di pensare e, dunque, molte sedute in compagnia di Eliza prendevano ben presto una piega scherzosa. C’è da precisare, però, che il test originale non prevede l’interazione con un operatore qualsiasi, bensì con un operatore esperto e in questi casi, il programma non è quasi mai riuscito a superare il test.
Tralasciando l’IA Eugene Goostman, che ha alzato un polverone sul superamento del test, pur palesandosi in fin dei conti come un’accozzaglia di “regole” non del tutto condivisibili e punteggi non così eclatanti, un grande risultato è stato raggiunto nel 2011 da Cleverbot…e qui dovreste iniziare ad avere paura!
Su 1334 votanti, i quali hanno partecipato a diverse sedute con l’IA, il 59,3% ha giudicato Cleverbot come essere umano. Il risultato è davvero considerevole se si pensa che gli umani partecipanti hanno raggiunto soltanto la soglia del 63,3%, anche se nessuno supera il bot di Stay Nerd, che è stato individuato da un singolo utente su 77.000.
La svolta del test sonoro e gli esperimenti di Google
Lo scorso anno i ricercatori del Computer Science and Artificial Intelligence Lab hanno creato una macchina capace di superare una variante del test di Turing basato sul suono. Dopo aver creato dei video contenti oltre 45mila suoni, gli esperti in questione hanno inserito questi filmati in un algoritmo che li ha analizzati per ogni frame. Così facendo, è stato modellato un catalogo in grado di associare ogni azione ad una particolare caratteristica sonora. Per capire se il robot capace di riprodurre i suoni presenti in un filmato fosse stato in grado di ingannare gli ascoltatori, i ricercatori hanno sottoposto all’esperimento una platea di 400 persone, che nella maggior parte dei casi non sono riusciti a distinguere un suono reale da quello riprodotto dalla macchina. Ovviamente, l’esperimento va valutato anche in base alle svariate possibilità che potrebbero aprirsi portando avanti una ricerca in tal senso: sfruttando questo algoritmo, un robot in grado di muoversi potrebbe riuscire ad avere diverse percezioni del mondo che lo circonda semplicemente analizzando i suoni, o ancora potrebbe essere in grado di apprendere osservando le diverse situazioni che gli si presentano di fronte, aumentando la propria base di conoscenza; si, sappiamo a cosa state pensando: esattamente come Johnny 5!
Un ultimo esperimento, condotto da Google nei mesi scorsi e che potrebbe aprirci gli occhi in merito all’attuale stato dell’Intelligenza Artificiale, non si basa sul classico confronto Uomo-Macchina, ma ha cercato di capire cosa sarebbe successo se si fossero sfidate due Intelligenze Artificiali in alcuni mini-giochi. Il risultato, per certi versi anche prevedibile, è stato che in alcuni di questi, le due IA hanno collaborato per raggiungere un obiettivo comune, mentre in altri si sono ostacolati a vicenda.
Anche se Google sta ancora cercando di determinare gli elementi che hanno portato le macchine a determinati comportamenti, almeno possiamo tranquillizzarci sapendo che queste non saranno sempre lì, pronte a massacrarci, ma potrebbero collaborare e magari aiutarci negli impegni quotidiani…forse!