Interstellar: Pionieri dello spaziotempo
Prima di iniziare vogliamo fare una premessa: la seguente recensione è all’85% spoiler free (è accennato l’incipit della storia e alcune nozioni qua e la, NULLA è svelato, riguardo i colpi di scena e le vicende dei protagonisti). D’altro canto, con questa impostazione, molte considerazioni possono sembrare quasi arzigogolate e incomprensibili. Consigliamo di leggere la recensione en passant (cercando di arrivare presto alle conclusioni, in cui c’è un giudizio effettivamente) prima di vedere il film, e di rileggerla DOPO averlo visto, per gustarla appieno e discuterne con noi.
[youtube url=”http://youtu.be/EIVMVIr3q3Y”]
Centosessantanove minuti. Questa è la durata dell’ultimo lavoro di Nolan. Appena l’ho scoperto, mentre mi accingevo a prendere il biglietto, ho avuto la classica lotta interiore. Da una parte ero contento, perchè per un prezzo del biglietto ‘normale’ (normale un corno, visto quanto costano!) avrei visto un film lungo il doppio della media… Dall’altra parte, c’era il pericolo che di tutto il film mi sarebbe rimasto solo il culo a forma di poltrona e una vaga incazzatura che mi avrebbe fatto finire la serata amareggiato e deluso. Insomma, ero titubante su Interstellar, come lo sono sempre quando vado a vedere i cosiddetti blockbuster o le produzioni multimilionarie strapompate. È con questo mood che ho preso posto, ho allacciato le cinture e mi sono lanciato in viaggio postapocalittico con redenzione scritto dai fratelli Nolan.
In un futuro lontano lontano
La telecamera ci catapulta senza tanti complimenti in quella che sembra un’America rurale, fatta di sconfinate piantagioni di granturco, battuta dal vento e dalla sabbia. Non ci è dato sapere cosa stia succedendo e l’introduzione è affidata a alcune interviste mandate a schermo: parlano degli anziani che raccontano della sabbia, del vento e della morìa delle piante: un futuro postapocalittico virato seppia, dove una fantomatica Piaga ha messo in ginocchio il genere umano, ormai sull’orlo di una estinzione dolorosa e imminente. In questa tragedia, cerca di sopravvivere l’ex pilota e astronauta Cooper e la sua famiglia, tra cui spicca la figlia, chiamata Murphy in onore della famigerata legge e non dell’attore dalla risata migliore del cinema. Da questo punto di partenza, grazie all’aiuto di qualche sconosciuta entità soprannaturale, si dipana il film vero e proprio, che porterà Cooper e lo spettatore ai confini dell’universo, verso una galassia sconosciuta, alla ricerca di una nuova casa, là dove nessun uomo è stato mai. Per non svelare ulteriori sviluppi, ormai comunque ampiamente noti, il film si svolge in un periodo di tempo lungo diverse decine di anni, per giungere a un finale purtroppo un po’ dimenticabile, dove il tipico fotogramma sospeso, con cui Nolan ci ha sorpreso all termine di Inception, non è particolarmente ben a fuoco…
Il luna park ai confini dello spazio e del tempo
Fin dalle prime battute appare chiaro come Nolan (J) cerchi di scrivere e Nolan (C) cerchi di girare un film quanto più aderente a quel filone della fantascienza detto Hard Science Fiction, che non è la versione per adulti di un orgia robot. I due autori, con Interstellar, si sono palesemente e pubblicamente ispirati alle teorie rivoluzionarie dello scienziato Kip Thorne, qui ingaggiato anche come produttore esecutivo. Lo studioso dietro questo nome, oscuro ai più, è famoso nel mondo della fisica e dell’astrofisica per le sue ricerche in campo relativistico, sui buchi neri, sui viaggi nel tempo e sulla struttura (presunta) e funzione dei wormholes. Insomma, questo signore è una mente e quel che dice infiammerebbe qualunque scrittore o narratore di fantascienza fin dal primo rigo. E così è stato per i nostri Nolan preferiti (e altri prima di loro – basti pensare che Contact prende le basi proprio da queste stesse teorie). Interstellar è infarcito di nozioni scientifiche, debitamente semplificate, talvolta talmente tanto da sembrare quasi raffazzonate, come nella peggiore divulgazione da supermercato. Per fortuna, sono concetti talmente affascinanti da sembrare incredibili nonostante la diluizione pesante in acqua e italiano corrente…
C’è dentro di tutto: la relatività di Einstein, la dilatazione temporale dovuta alla vicinanza di un buco nero, una tonnellata o due di fisica quantistica, fino ad arrivare a quel confine in cui la speculazione scientifica trascende se stessa, per diventare a tutti gli effetti vera e propria filoso-fisica, fatta di congetture e visioni quasi oniriche. C’è un’intera sequenza del genere, che fa il verso (o almeno ci prova) a quel 2001 che non sarà mai troppo osannato, per giungere poi con un twist narrativo alla chiusura del cerchio, scoprendo le carte in tavola e rivelando la struttura circolare dell’intero impianto narrativo. L’aderenza di Interstellar alle regole scientifiche su cui si basa è contemporaneamente il suo pregio e la sua stessa maledizione. E’ un pregio quando tutto sembra verosimile, verificabile ed effetivamente presumbile. Diventa maledizione quando per esigenze narrative o per una necessità di spettacolarizzare la vicenda, tutta la baracca si rivela essere un bel circo, o un grande otto volante lanciato su binari spaziotemporali impazziti.
Prospettive interne ed esterne
Interstellar gioca molto sui contrasti prospettici (per usare un termine che fa molto cineintellettuale). Una parte della vicenda si svolge sul pianeta Terra, con tutti i suoi problemi esistenziali e di esistenza, in cui la dimensione ampia viene rappresentata da sconfinate piantagioni di granturco, enormi fattorie quasi senza confini, contrapposte agli sparuti nuclei di abitanti che vi abitano e giù fino alla singola casetta con famiglia incompleta. Alla stessa maniera, quello che sulla terra appare grande, rimpicciolisce in confronto alla immensità dell’universo, che si estende a perdita d’occhio, tra distanze talmente enormi da essere anche difficili da immaginare. E l’astronave che caracolla e beccheggia tra le stelle è solo un puntino, quasi invisibile, nonostante avesse mostrato la sua magnificenza al momento del lancio. E come se questo non fosse stato sufficiente, un ulteriore salto prospettico ribalta tutto e la vicenda converge verso una sola stanza, un singolo ambiente focale di pochi metri quadrati, forse l’atomo abitativo per eccellenza, che viene poi elevato all’infinito, per raggiungere le dimensioni di un intero universo.
Queste contrapposizioni di grande/piccolo e vicino/lontano fanno del film una piccola perla, dove il viaggio di un gruppo di uomini raccoglie la natura avventurosa e lo spirito di scoperta dell’intero genere umano. Purtroppo (sì, purtroppo), gli autori hanno voluto inserire anche una terza prospettiva, che è quella umana, emotiva. Nolan getta uno sguardo intimista in primo luogo, analizzando le dinamiche familiari del protagonista e di alcuni dei comprimari, i dolori della perdita, la nostalgia e la paura sempre in agguato, contrapponendole alla visione più crudele del bene comune e della salvaguardia del genere umano, lasciando allo spettatore il gusto della scelta, facendo cercare la giustizia (se ce n’è una) nello sguardo e nelle azioni dei singoli attori.
Con tutta questa carne al fuoco, il film tende a decadere, a lasciarsi trasportare, portandosi dietro qualche errore di troppo e qualche battuta un po’ troppo scontata e melensa, degna di un Final Fantasy qualsiasi tra il 10 e il 13. Paradossalmente, poi, nonostante questa ricerca interiore, alcuni tra i personaggi comprimari sono abbozzati e talvolta quasi accennati, come alcuni membri dell’equipaggio dell’astronave. D’altro canto, la storia si concentra su Cooper e la sua epopea, la sua personale ricerca di se stesso che diventa il viaggio di formazione di tutti noi.
L’eredità raccolta e lasciata
Interstellar fin da subito è stato affiancato a un altro caposaldo della fantascienza, il capolavoro di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, senza però reggere il confronto. Non si può dire se fosse intenzione di Nolan arrivare a eguagliare un tale pezzo da novanta, ma indubbiamente il regista è consapevole di chi prima di lui si è cimentato nella creazione di un film di fantascienza vero, senza compromessi e con una direzione artistica precisa. Kubrick vince, ma alla fine forse, non dobbiamo neanche farli gareggiare questi due autori – uno con A maiuscola, un altro che sta migliorando un film dopo l’altro. Infatti, la regia, le invenzioni narrative e i movimenti della macchina da presa di Nolan, donano al film un ritmo solido e mai noioso. Si rivela un bravo regista, come già aveva lasciato capire nelle sue scorse produzioni, e non ha paura di girare sequenze rischiose, senza strafare e cercando di tenere lo spettatore al centro dell’azione, senza incedere nell’abusato rallenty o nelle inquadrature ultravicine. Il regista tiene a bada i suoi attori, governando il talento di Matthew (impronunciabile) McConaughey, Anne Hathaway e il suo feticcio Michael Caine. Il risultato è un pool di attori che si muovono con sicurezza sul set, impegnandosi a dare il meglio e riuscendo a restituire allo spettatore tutte le loro emozioni, tra lacrime e risate, dolore e gioia. A tutto aggiungiamo il tocco di classe della musica di Hans Zimmer, che si rivela all’altezza del compito (come sempre) inventando una colonna sonora sui generis che si allontana dai cliché del genere.