Stay Nerd intervista Angy Pop
Oggi Stay Nerd ha l’occasione di consegnarvi un’intervista ad una grande artista dell’animazione 3D: Angela Smaldone. Abbiamo posto ad Angy parecchie domande, alcune sui suoi lavori, altre sulla sua vita personale e formativa. Angela si è dimostrata cortese e professionale, rispondendo a qualsiasi domanda. Detto questo vi lasciamo all’intervista.
Ciao Angela e grazie mille per questa opportunità di conoscerti e chiacchierare con te. Prima di cominciare ti andrebbe di presentarti brevemente a quanti tra i nostri lettori non ti conoscono?
Ciao e grazie a voi di Stay Nerd per l`interesse che dimostrate per il mio lavoro. Mi chiamo Angela Smaldone, 33 anni, originaria di Bari in Puglia e sono una character visual development artist nonché modellatrice 3D per il cinema d’animazione. Ho lavorato recentemente su film come The Lorax, Despicable Me 2, Hotel Transylvania 2 e come Lead Modeler su The Little Prince e Mune, solo per citarne alcuni.
Iniziamo subito con una domanda facile: com’è nata la tua passione per il disegno e la scultura? E quando è avvenuto il passaggio al digitale?
Da che mi ricordi ho sempre disegnato e modellato tradizionalmente, quando si è trattato di scegliere cosa fare da grande, mi son detta che scolpire personaggi per il cinema d’animazione, per quanto singolare come attività, poteva essere davvero la mia futura professione, il passaggio al digitale è avvenuto mentre vivevo e lavoravo a Parigi per mere esigenze di mercato: era più facile trovar lavoro come modellatrice 3D piuttosto che come model maker dal vero.
Dalla scuola nazionale di cinema di Torino alla Gobelins, École de l’image. Come è stato il salto dall’insegnamento italiano a quello francese? E quali sono stati i tuoi maestri in questi anni?
Non credo si possano davvero mettere a confronto i due corsi, per la diversa natura e finalità delle formazioni. Il corso del centro sperimentale di cinematografia era un corso triennale di apprendimento di tutte le tecniche e di specializzazione nel 3D, il master di produzione dei Gobelins è stato piuttosto un workshop durato dodici mesi e mirato a prendere contatto con i professionisti del settore per avere un’idea concreta di come funziona il mondo della produzione audiovisiva per documentari e film di animazione. Entrambi sono stati molto utili, ho conosciuto vari professionisti di talento durante quegli anni, ma l’unico che mi sento di chiamare ‘Maestro’ nel senso tradizionale di mentore artistico, l’ho conosciuto qualche anno dopo aver terminato gli studi: Michael Defeo.
Hai lavorato per ben nove anni nella splendida Parigi, una città con una memoria storica e culturale spaventosa. Quali sono i ricordi di quegli anni? C’è qualche episodio che ami raccontare e che ti ha formato come artista e come modellatrice?
Vivere a Parigi per nove anni è stata un’esperienza centrale non solo artistica ma anche umana, ho conosciuto alcune delle persone più importanti della mia vita. La maggior parte della mia ‘famiglia allargata’ di amici che mi sono ricostruita lontana da casa vive tutt’ora lì e si tratta di legami fortissimi che nessuna distanza può cancellare o sminuire. Non ho aneddoti specifici da raccontare ma posso dire che importanti occasioni di networking sono stati i vernissage della galleria Arludik in cui ci si incontrava regolarmente tra artisti del settore, importante è stata anche la regolare frequentazione dei celebri musei del Louvre, Musée d`Orsay, Musée Rodin, non solo in occasione di mostre specifiche ma anche semplicemente per studiare alcune tra le più belle sculture di tutti i tempi.
In generale vivere in una città come Parigi cosi culturalmente vivace offre continue occasioni di stimolare la propria curiosità artistica in tutte le direzioni, sentendosi liberamente uniti in un circolo fluido che congiunge la tradizionale arte del passato con le forme più innovative dell’arte contemporanea. Riconosco di non aver più trovato questa dinamicità culturale altrove e confesso che mi manca.
Non riesci a stare ferma un attimo e infatti, dopo l’esperienza europea, ti sei trovata a lavorare in Canada. Come mai questa scelta? Qual è stato il percorso professionale che ti ha spinto a cambiare continente?
Più che una scelta è stata una necessita, in quanto artista sono soggetta come tutti i miei colleghi a lavorare a progetto e ci sono periodi di lavoro continuativo ed altri di vuoto. A distanza di qualche mese dalla fine della produzione del Piccolo Principe, non avendo trovato impiego in altre produzioni, sono andata al CTN di Los Angeles, durante il quale ho avuto un’intervista con la recruiter di Sony Imageworks. Sony stava cercando personale per progetti futuri e mi hanno proposto di integrarmi al loro team di modellatori. Un’opportunità così non si rifiuta, ho accettato e sono quindi partita a Vancovuer e non a Los Angeles come inizialmente credevo, perché Sony ha recentemente spostato i suoi quartieri generali dagli Usa al Canada. Eccomi dunque nel nuovo mondo, da tutti i punti di vista: sia continentale che professionale.
Veniamo ai tuoi lavori, quelli che fai con il computer e con la creta. Abbiamo sbirciato il tuo sito, e, a parte farti i complimenti ci siamo sorpresi di trovare oltre ai modelli digitali, anche molte realizzazioni fatte a mano. Quanto sono legate le tecniche di scultura classica e quelle di digital modeling? E secondo te la prima è propedeutica alla seconda?
Assolutamente! Io sono dell’avviso che l’arte tradizionale che sia disegnare o scolpire è alla base di tutto. Conoscere le tecniche tradizionali di scultura per un modellatore digitale è indispensabile. Occorre aver costruito fisicamente qualcosa con le proprie mani per poter essere consapevoli dei pesi e dei volumi quando si ha a che fare con la materia virtuale. Questo aiuta moltissimo a restituire al virtuale la tanto cercata verosimiglianza con il reale. Che sia modellazione realistica o cartoon poco importa, in entrambi i casi un buon modellatore utilizza nella costruzione dei suoi modelli una certa struttura e questa struttura non la si può inventare dal niente, la si impara praticando l’arte, disegno o scultura che sia, nelle sue forme tradizionali.
Questa è una domanda un po’ tecnica, ma d’altronde i nostri lettori sono tutti smanettoni incalliti e riescono a seguire certi discorsi: com’è configurata la tua workstation e quali software utilizzi e in quali frangenti? Ci sarebbe anche la domanda cattiva per generare flame: PC o MAC?
Attualmente quando lavoro da casa, lavoro su di una workstation MSI GS70 2PE-010US Stealth Pro, si tratta di un PC progettato per gaming ma che offre grosse soddisfazioni anche a chi lavora nel 3D in generale, con un soddisfacente rapporto di peso/design. Tra PC e Mac non ho specifiche preferenze, in questo momento ho investito su di un PC per approfittare di un più vantaggioso rapporto qualità/prezzo. A lavoro invece utilizzo una macchina Linux. I software usati sono principalmente Zbrush e Maya, accompagnati da Photoshop, UV Layout, 3D Coat, Mudbox e Keyshot.
Hai all’attivo un bel po’ di titoli blasonati e famosi, tra cui il recente Mune. Quali sono state le fonti di ispirazione per questa pellicola onirica e fantastica, che mischia miti provenienti da diverse culture e che ha fatto della resa artistica uno dei suoi punti di forza? Quanto è stato difficile raggiungere la giusta sintesi?
A dir la verità, in quanto modellatrice sono un po’ estranea al processo di genesi della storia del film, so che il regista che ha scritto la storia, Benoit Philippon, ha sviluppato il soggetto attingendo a piene mani dalla sua personale esperienza di regista dal vero e da tutta una serie di riferimenti di animazione e film live che l’hanno aiutato a definire luoghi e personaggi. Ciò detto, in effetti i personaggi di Mune hanno un character design per niente convenzionale ed estremamente ricco e intrigante. È stata una sfida tecnica interessante ricercare l’appeal per ciascuno dei personaggi del film su cui ho lavorato. Ogni personaggio era radicalmente diverso dall’altro, dalla ragazza di cera, al timido fauno al rettile cattivo, passando anche per il guardiano vegetale della luna a quello solare decisamente a metà strada tra un dattero secco e un rospo e senza dimenticare i diavoletti di Necros, fatti di lava e pietra vulcanica. Mi sono divertita e allo stesso tempo ho passato giorni interi alla disperata ricerca di soluzioni tecniche che potessero rendere giustizia ai meravigliosi disegni di Nico Marlet e Aurelien Predal, donando loro la stessa “vita” e lo stesso appeal con cui recitano sullo schermo. Spero che la sfida risulti vinta. La risposta di pubblico al film sembra essere una conferma positiva.
E ora parliamo del vero argomento clou: Il Piccolo Principe. Non ci eravamo dimenticati di questa pellicola presentata a Cannes e in uscita nei prossimi mesi nelle sale italiane. Come è stato lavorare a una produzione che avesse come obiettivo quello di centrare il messaggio del capolavoro di Saint Exupéry?
È stata una bella sfida, tanto nello storytelling quanto nella presentazione grafica dello stile dell’intero film. Ancora non ho potuto vedere il film per intero, perché non è ancora stato distribuito in Nord America, ma dal trailer e dagli estratti presenti sul web, mi sembra che il risultato sia pienamente riuscito.
Il film conta di due archi narrativi paralleli: quello ambientato nel presente, con la bambina e l’Aviatore (chiaramente ispirato all’autore del romanzo) e quello fantastico che descrive le avventure del Piccolo Principe, con tutti i suoi personaggi. Vuoi descriverci perché si è arrivato a scegliere questa soluzione, e non magari spiattellare direttamente la storia del principino e basta?
Quando si riadattano per il grande schermo mostri sacri della letteratura mondiale come il Piccolo Principe, uno dei racconti più letti in assoluto da adulti e adolescenti, si cerca sempre uno spunto narrativo nuovo che aiuti a raccontare la storia sfruttando un nuovo punto di vista. In questo caso la presenza di una bambina, originariamente estranea al racconto originale, permette allo spettatore di identificarsi meglio, essere preso per mano e vivere come la stessa bambina del film quest’avventura incredibile che la porterà alla scoperta di se stessa. Credo si tratti alla fine di un vecchio trucco di sceneggiatura usato nel cinema fin dalla notte dei tempi.
Le due storie si distinguono, non solo per i personaggi e le vicende narrate, ma anche per la realizzazione artistica: CGI per la parte reale, stop motion e pupazzetti in creta per la parte fantastica. Ci piace tanto la scelta di usare il digitale impalpabile per descrivere la vita odierna e prendere della tangibilissima plastilina per raccontare qualcosa di onirico. Come si è arrivati a questa scelta? E soprattutto tu sei stata coinvolta in tutte e due i tipi di modellazione, vista la tua maestria nella scultura?
La scelta delle due tecniche è stata una geniale trovata del regista, Marc Osborne, affettivamente legato alla tecnica della stop motion. Non sono esattamente al corrente di cosa abbia determinato cosa, ma sono sicura di non sbagliare dicendo che per ragioni produttive ma anche di spendibilità commerciale del film sull’attuale mercato dell’industria cinematografica, il film non poteva essere interamente girato in stop motion, l’alternanza delle due tecniche è quindi capitata a puntino per giustificare un reale e concreto cambiamento narrativo. Sempre per ragioni produttive io sono stata ingaggiata in quanto Lead CG Modeler sul film e per questo mi sono occupata solo della parte in 3D. Occorreva che entrambe le due tecniche avanzassero produttivamente in maniera parallela per questo lavorando su di una non avrei potuto lavorare contemporaneamente anche sull’altra.
Una della frasi più celebri del film è ‘L’essenziale è invisibile agli occhi’. Non credi che sia una perfetta sintesi dell’importanza del tuo lavoro e dei tuoi colleghi, che da dietro le quinte riescono a portare alla luce questi capolavori?
Sì, sono d`accordo. È una bella metafora per descrivere un po’ il titanico e minuzioso lavoro artigianale che sia in stop motion o in 3D, che noi addetti al mestiere siam portati a compiere rimanendo spesso un po’ nell’ombra. Ma il successo dei film, una volta riconosciuti e premiati dal pubblico o dai premi nei festival è sempre un’ottima ricompensa per tutto il lavoro svolto, anche se distante dalle luci della ribalta.
Un’ultima domanda e poi ti lasciamo andare davvero, dato che ti abbiamo rubato già molto tempo. Sappiamo benissimo che in ambito fumettistico esiste una scuola di pensiero francese quasi unica, contrapposta a quelle americane ed europee. Esiste la stessa cosa nel mondo dell’animazione?
La Francia ha un mercato produttivo di animazione estremamente vivace e peculiare. Direi di sì, cosi come i fumetti anche l’animazione gode in Francia di un ambito specifico volto allo sviluppo di serie e lungometraggi che si contrappone con un’identità tutta francese all’animazione inglese più orientata alla pubblicità e agli effetti speciali. Le scuole d’animazione fancese e inglese comunque sono senza ombra di dubbio le più definite in europa, a ruota si assiste anche ad un esponenziale sviluppo dell`animazione in Spagna; Germania e Italia restano invece un po’ indietro sul fronte produttivo. Speriamo che il futuro possa salutare un cambiamento di questa situazione produttiva specialmente in Italia, dove il talento e l’inventiva di certo non mancano, vista la nostra tradizione e la nostra scuola in ambito cinematografico.
E rimanendo in tema con la precedente: vuoi dare dei consigli a chi come te vorrebbe intraprendere questa strada? Cosa fare se vuoi andare in Francia e cosa fare se punti agli Stati Uniti?
Se dovessi dare un consiglio a degli studenti o artisti che vogliono cambiare contesto, come prima cosa direi di prestare particolare attenzione alla presentazione del proprio lavoro. Si tratta di un mondo estremamente competitivo in cui la presentazione del proprio materiale dal blog, al sito web, alla reel al CV la dice lunga sulla professionalità dell’artista, oltre alla presentazione ovviamente è bene anche curare i contenuti, che siano all’altezza degli attuali standard professionali del settore. Non bisogno aver paura del giudizio e chiedere ad altri artisti un feedback sui propri lavori, accettare le critiche costruttive è sempre un buon punto di partenza per il personale miglioramento. In seguito se ci si vuole spostare fuori dall’Italia è bene sapere parlare almeno una seconda lingua se non due o tre, soprattutto per sentirsi meno persi e stranieri quando si è fuori di casa e poter socializzare con altri artisti che seppur stranieri sono sempre ben disposti nella maggior parte dei casi ad aiutarti. In seguito se si ha la possibilità di viaggiare, è bene frequentare regolarmente i festival, il che permette di rimanere in contatto con la realtà produttiva dell’anno in corso e contemporaneamente di ottenere delle interview con recruiter e professionisti del settore. Come qualsiasi altro lavoro artistico anche nell’animazione il networking è importantissimo, conoscere le persone giuste al momento giusto può fare la differenza. Il festival di Annecy in Europa o il CTN, creative talent network a Los Angeles sono due buoni punti di partenza.