Allora Francesco, visto che sei nuovo sulle pagine di Stay Nerd, vogliamo conoscerti dal principio e chiederti come hai iniziato la tua carriera fumettistica, soprattutto perché oggigiorno non funziona più come una volta. I giovani si inventano di tutto oggi per iniziare.

Direi che la mia storia risponde abbastanza bene a quello che stai dicendo perché io in realtà non ho frequentato nessuna scuola e il mio percorso è da autodidatta, aiutato dal web, senza cui probabilmente avrei fatto un percorso molto più lungo. Quindi la mia storia inizia, come quella di chiunque, disegnando da sempre, disegnando a scuola invece di seguire le lezioni. Soprattutto il liceo è stato importante perché è stato il primo bacino d’utenza da cui ho ottenuto riscontri. All’inizio con i miei amici, poi durante un’occupazione nella mia scuola, andata particolarmente male, iniziai a fare delle vignette di satira diffuse poi sul gruppo Facebook della scuola. Quella è stata la prima volta che internet mi ha aiutato ad allargare il mio pubblico. Ho sfondato il record dei like e ho capito che era uno strumento interessante. Quindi ho iniziato a mettere disegni e vignette su Facebook, su un blog che avevo, ma che era abbastanza disorganizzato, e su deviantart, molto interessante perché lì i feedback arrivavano da altri artisti, altri disegnatori. Fino a quel momento però disegnavo a livello amatoriale, non che adesso sia veramente un professionista, però il salto di qualità c’è stato quando sono andato nell’area self del Lucca Comics, la zona indipendente del Comics.

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Qual è la differenza, per un autore, tra pubblicare online e vedere le proprie opere stampate da un editore?

Qua il discorso è un po’ più lungo. In fiera ho avuto l’opportunità di conoscere i Mammaiuto, un collettivo di fumettisti che pubblica online, interessato a realizzare qualcosa con me. Io gli ho proposto un progetto ed è nato From Here to Eternity, il mio vero passaggio al mondo professionale. Il libro non l’avrei mai potuto fare, se non fossi entrato in Mammaiuto, on soltanto perché loro me l’hanno permesso dal punto di vista economico, ma perché il fatto di stare in un gruppo, di avere a che fare con altre persone, di lanciarsi a un pubblico molto più grande che inizia ad avere delle aspettative, mi ha fatto superare quel blocco che ti porta di solito ad iniziare un progetto e a non continuarlo. Quindi nel momento in cui mi sono trovato ad avere delle responsabilità, è stato veramente un salto incredibile ed è stato anche un bellissimo percorso, perché loro mi lasciavano essere libero, però stavano anche attenti a fare quel minimo di editing che apporti davvero delle migliorie e non cambi quello che vorresti fare. Con Mammaiuto poi, una volta conclusa la storia online, se è andata particolarmente bene, facciamo il libro; è una politica molto particolare, molti ci chiedono che senso abbia stampare un libro se la storia si trova interamente online. I motivi sono due: il primo è che molti lettori di fumetti vogliono il cartaceo perché è importante avere la propria copia da collezione, e perché i fumetti si leggono meglio in carta piuttosto che sullo schermo. E poi c’è una questione di gratifica all’autore perché comunque tutto quello che facciamo è totalmente gratuito, mossi dall’amore per il fumetto e dalla necessità di raccontare delle storie, però poi è anche un lavoro di sei mesi che dà soddisfazione veder fruttare. Per l’autore vedere stampate le proprie opere è tutta un’altra cosa: finché le metto su un blog, ce le ho messe io, sono esattamente come le ho salvate su photoshop, mentre creare un libro non significa semplicemente stampare quello che ho fatto e rilegarlo, c’è una cura, si crea un oggetto bello, che funzioni, quindi la copertina, gli interni… farlo diventare un oggetto fisico è una cosa importante e che ha bisogno di cura. Vederlo poi stampato è una bellissima sensazione.

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Hai detto che nel processo creativo ti è stata lasciata molta libertà e in effetti basta guardare il tuo fumetto per vedere che è molto anarchico. Data l’abitudine ad incasellare ogni tipo di narrazione, che sia graphic novel o fumetto, tu come definiresti From Here to Eternity?

Io sono un po’ contrario alla distinzione tra fumetto e graphic novel, alla fine vogliono dire la stessa cosa. Il termini graphic novel, è stato chiaramente detto, è servito a legittimare il fumetto agli occhi di chi lo vedeva come una cosa infantile. Non nego che ce ne fosse bisogno. Quando è uscito Maus di Art Spiegelman, avrebbe avuto molta meno risonanza se lui l’avesse chiamato fumetto. Purtroppo è una questione di preconcetti. Ora però che è stato sdoganato il termine, e tutti ormai riconoscono che il fumetto ha una sua dignità, secondo me è giusto ricominciare a chiamarlo fumetto. Quindi sì, è un fumetto.

Protagonista di From Here to Eternity è un’atipica punk band, un genere lontano nel tempo dalla tua generazione. Cosa ti affascina di quel mondo e perché hai deciso di raccontarlo?

In principio, a me facevano molto ridere, ma in senso positivo, i punk. Perché sono anacronistici: tu vedi queste persone che hanno uno stile di vita, che si identificano con qualcosa che non esiste assolutamente più e poi sono effettivamente molto stravaganti. Quindi avevo iniziato a disegnarli. La prima storia che ha poi dato vita a FHtE era semplicemente una storia in cui giocavo con questi personaggi, mettendoli anche in contrasto. Nella storia originaria il cantante della band era agorafobico e quindi sul palco c’era un microfono e un telefono dal quale cantava mentre lui stava da un’altra parte. Perché mi piaceva il fatto che loro fossero molto aggressivi ma allo stesso tempo delle persone normali. Poi però ho visto che non avrebbe avuto sviluppi più complessi, che sarebbe rimasta una gag e mi è venuto in mente, quasi per caso, che ci sono molte cose che accomunano un punkabbestia e un vecchio, proprio come ideali. Non lo dice mai nessuno ma c’è una tavola nel fumetto che evidenzia questa comunanza: entrambi sono incazzati, ce l’hanno con la società, si impasticcano, fanno vandalismo.
Quindi ho portato avanti due storie parallele, una molto divertente, in cui mi preoccupavo semplicemente di creare delle situazioni assurde e un lato invece più profondo proprio giocato su questa distanza generazionale che poi, in realtà, non è così profonda, perché ci sono delle idee simili.

Da dove attingi per creare i tuoi personaggi? Ci sono ispirazioni reali?

Tutto il libro è pieno di citazioni, i nomi per esempio, come Fugazi, che oltre a essere il nome del protagonista è anche quello di una band punk hard-core americana, poi ci sono Sid (Vicious), Joey (Ramone), Strimpelli che è la traduzione italiana di Strummer, il leader dei Clash. Quindi sì, ci sono molte citazioni. Mentre a livello visivo i personaggi sono molto stereotipati. Il protagonista ha la classica cresta, il batterista è quello grosso, il bassista con i capelli a punta, quello più sfigato, quindi non ho avuto ispirazioni per le immagini, ho preferito giocare con le citazioni di nomi.

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Quindi la musica è una parte importante della tua vita. Come è nata la collaborazione con gli Eveline’s Dust?

La collaborazione con loro è stata molto molto bella, era da un po’ che volevo illustrare un album, mi piaceva come idea. Loro mi hanno contattato e ho preso l’occasione al volo, è stato interessante lavorare con loro perché il loro è un concept album, quindi ha una storia ed è stato interessante da illustrare perché si prestava tantissimo a una rappresentazione grafica. Avevo a disposizione poco spazio, perché è un disco a tre facciate, ma comunque si parla di uno spazio ristretto, però ho fatto quello che ho potuto, la storia la si capisce ascoltando il disco, ma spero che sia un aiuto per chi ascolta per figurarsi l’immaginario del disco; è bello intrecciare due arti diverse. Io cercavo di farmi ispirare dalla loro musica mentre disegnavo, è stato un bel percorso. Recentemente loro hanno fatto il concerto di release e io ho partecipato con un live painting mentre loro suonavano e anche in quell’occasione abbiamo confermato che è stata una bella unione, perché le immagini accompagnavano molto bene la musica. Un po’ come fa molto spesso anche Toffolo, unendo musica e disegni. Infatti uno dei più grandi limiti che ho percepito mentre facevo FHtE è stato di non poter inserire le colonne sonore. Avrei voluto tantissimo metterci la musica, però è molto problematico: ogni lettore ha il suo ritmo di lettura, se decido di forzarlo per seguire la musica, istituendo dei check point, magari, i lettori perdono l’immersione della lettura. L’unica soluzione potrebbe essere un’unica colonna sonora che si adatta all’intero libro, farla durare quaranta minuti e farle accompagnare tutta la lettura, però è decisamente macchinoso.

Progetti futuri?

Oltre ad andarmene in tour con Shockdom, sto iniziando una nuova storia, proprio stamani ho sceneggiato il primo capitolo, che uscirà su Mammaiuto sempre gratuitamente e poi ne faremo il libro dopo la conclusione. In ogni caso, se riesco a darmi una mossa, parliamo del prossim’anno. Però il primo capitolo dovrebbe uscire fra un mesetto. Sarà un fantasy che non sarà un fantasy, in realtà. Vi lascio, per ora, nel mistero.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.