Non abbiamo mai fatto mistero della nostra passione per le idee, e di come siamo assolutamente affascinati dalle storie di chi, solo spinto dal coraggio delle proprie idee e delle proprie azioni, riesce in qualche modo a cambiare il suo mondo. Li abbiamo spesso chiamati “Hacker di idee”, perché come chi sa smanettare col codice, queste persone sanno decisamente stravolgere le loro vite. Sono gli assoluti onesti, quelli che non scendono mai a patti con se stessi e su questa scia, su questa idea, abbiamo voluto incontrare il talentuoso Marco Niro, un iconoclasta dell’art direction cinematografica che senza null’altro che il talento, oltre 20 anni fa ha cominciato un’avventura che lo ha portato in lungo e in largo nel mondo del cinema. Dall’Atlantico sul Titanic, al mondo di Narnia, passando per i polverosi luoghi di guerra di Jarhead, sino alla postapocalittica Las Vegas di Resident Evil. Ospite allo IED in una giornata evento, Marco ha parlato ai microfoni di Stay Nerd, raccontandoci la sua visione del mondo e del suo lavoro.
Buon pomeriggio Marco Niro, siamo contenti di scambiare quattro chiacchiere con te. Vorresti presentarti brevemente ai nostri lettori di Stay Nerd?
Certo. Mi chiamo Marco Niro, sono un production designer per il cinema e quello che faccio è sostanzialmente astrarre delle immagini dai copioni cinematografici. Ciò che non è descritto e riguarda l’ambientazione di un film è quella parte che io creo e integro. Quindi diciamo che tutto quello che c’è tra righe scritte è quello a cui mi dedico io
Iniziamo subito ‘a bomba’. Vorremmo parlare del film a cui hai lavorato Little Boy. Vuoi raccontarci qualcosa di questo film, che sulla carta sembra molto molto interessante?
SI, ci ho lavorato qualche anno fa ma presto ci sarà l’anteprima a Los Angeles. Il film parla di un bambino piccolo che vede suo padre partire per la seconda guerra mondiale. In quel momento tristissimo, si convince che con un piccolo chicco di fede può muovere le montagne. Questo ragazzino, che tutti chiamano Little Boy,ci crede talmente tanto che quando finisce la guerra crede sia merito suo e pensa di aver contribuito a far tornare suo padre a casa. La storia è davvero stupenda e formidabile, abbiamo ricreato un paesino intero della costa della California, a sud di San Francisco. È stato un lavoro incredibile.
Rimanendo sempre su Little Boy, come ti sei approcciato in quanto art director a questo film? Come ti sei preparato? Che ricerche hai fatto?
Siamo andati a Montrey in California per conoscerne lo stile architettonico e urbano. L’abbiamo indirizzato verso lo stile di Norman Rockwell che ha fatto più di 300 copertine per il The New Yorker, e da li abbiamo cominciato a creare tutta l’ambientazione partendo dai dettagli di quello che succedeva in quei giorni, e di come si viveva in quei luoghi. Abbiamo ricreato la società dell’epoca, ci siamo addentrati nell’urbanistica e nei dettagli visivi e sociali di quel momento.
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Più in generale, qual è attualmente il tuo ruolo nella produzione di un film? In pratica, che vuol dire essere Art Director? Quante e quali responsabilità hai?
Prima delle responsabilità vorrei dire che almeno nel mio caso, quello che mi tiene ancorato a questo mestiere è la sfida, il non sapere cosa verrà e quale sarà il prossimo copione a cui dovrai lavorare. lnoltre il lavoro è sicuramente divertente. Ricordo ad esempio che per ricreare Troia per Troy, un giorno abbiamo messo sul set 1200 soldati, e io ero in mezzo, fare queste cose ti trasporta in quel periodo della storia ed è sicuramente un’esperienza coinvolgente. La responsabilità è quella di creare una equipe di persone talentuose e capaci, che spesso sono però anche sensibilissime. Bisogna capire la psicologia del gruppo per gestire i sentimenti nelle molte situazioni di stress, bisogna gestisce i soldi, ma soprattutto i tempi. Si cerca di costruire quello che sarà il risultato finale, in cui ognuno metterà quel pezzettino di poesia che serve per creare la scenografia finale.
Hai lavorato per film incredibili come Titanic (cioè, TITANIC!!), Master and Commander, Le cronache di Narnia, Resident Evil Extinction. Qual è stato il progetto che più ti ha stressato? E quale quello che ti ha veramente terrorizzato, se ce ne è stato uno?
Penso che capita spesso di stressarsi ma forse in questo caso dovrei dire stato Resident Evil, perché eravamo nel deserto del Sonora a nord del Messico e c’era un caldo incredibile, abbiamo registrato un giorno 83 gradi sulla sabbia e 50 esterni, dovevamo ricreare le strade di Las Vegas ricoperte dalla sabbia in quella terribile condizione. Inoltre gli interni li facevamo in Citta del Messico e quindi dovevamo spostarci sempre. In più, per complicare ulteriormente le cose, in quell’occasione purtroppo ho avuto anche un brutto incidente alla schiena.
All’interno di una produzione cinematografica le figura impegnate sono molteplici, la tua quando entra in gioco? In che frangenti vieni chiamato in causa direttamente? Come ti poni con i produttori quando pensi che qualcosa vada rivisto?
Non è sempre uguale ma si generalmente le cose vanno cosi: c’è un copione per il quale si mette insieme una certa quantità di soldi che vengono dati al produttore esecutivo che lavorerà insieme al regista. Una volta che sono d’accordo sul da farsi mi chiamano, la produzione si dedica ad agevolare tutte le cose pratiche necessarie alla creazione il film, il regista si occupa degli attori e delle sue mansioni e io come disegnatore di produzione metto insieme la gente necessaria per creare l’immagine che avvolgerà l’azione. In altre parole io mi dedico a tutto tranne che alle persone. Ma il primo step è sempre parlare della visione di quello che si sta leggendo, secondo le interpretazioni di tutte le persone coinvolte.
Tu fai un lavoro che consiste nel portare alla realtà una fantasia, una visione. Nel cinema di adesso quanto conta la realizzazione di una visione e quanto il fattore economico?
In realtà quello che conta è la storia. Se ha tutti gli ingredienti per coinvolgere allora hai qualcosa su cui lavorare. Poi bisogna vedere cosa racconta questa storia, se è semplice e parla ad esempio del pianto di un bambino per il padre che non c’è più, allora è anche relativamente economica, se invece nel copione questo bambino comincia a volare, a saltare, sparire ecc… diventa più complesso.
Questa è una domanda un po’ scomoda (per modo di dire…): quali sono stati i registi migliori con cui hai lavorato? E quali i peggiori? Puoi anche dire che sono tutti meravigliosi, tanto non ci crediamo…
Non faccio nomi perché tutti dedicano la propria vita per un progetto importante e solo per questo meritano rispetto. Certo, ci sono quelli più espressivi o pratici, ma chiunque abbia il coraggio di dire “facciamo un film” e ci riesce fa già qualcosa di grande. Progettare un film è quasi un miracolo, è veramente molto complesso e non si può dire se una persona è brava o no, certo il pubblico poi giudica. Ma non si può squalificare nessuno.
Guardando la tua strabiliante filmografia, si vede subito che ti piace spaziare da un universo narrativo all’altro, dal fantasy alle storie d’amore ai film storici ed epici. C’è ancora qualcosa che vorresti veramente fare? Un progetto che ti solletica e che ancora non hai ancora avuto modo di sperimentare?
Si, qualche storia sull’aldilà. Ci sono storie pazzesche in giro con copioni incredibili che mi piacerebbe realizzare per presentare una realtà mai vista che non conosce nessuno.
Degli ultimi film al cinema quale ti sarebbe piaciuto fare?
Inception decisamente. Inoltre mi sarebbe piaciuto partecipare al prossimo Jurassik Park.
Chiudiamo con un’ultima domanda, che forse è la più facile e la più difficile: cosa consiglieresti ora a un ragazzo o una ragazza che voglia seguire le tue orme? Esiste una ricetta per ‘diventare’ art director?
Il primo ingrediente è credere nelle proprie capacità. Questa grinta e determinazione deve essere assolutamente integrata all’onestà. Poi ci vuole un’educazione e capacità di interessarsi a cose mai conosciute, quindi la cultura.