Ci sono persone che partono per missioni spaziali (e detengono record come quello europeo di permanenza nello spazio in un singolo volo – 199 giorni), e ce ne sono altre che vanno alla ricerca di un’intervista con l’astronauta più famosa d’Italia, in una ventosa giornata di marzo, a Torino.
Siamo ai MagazziniOz, nel cuore del capoluogo piemontese, negli spazi polifunzionali di CasaOZ, una onlus nata nel 2005 per aiutare i bambini malati e le loro famiglie.
E tanti sono i bambini presenti oggi, seduti a terra a pochi centimetri dal divano rosso che ospiterà l’astronauta italiana.
Ridono, scherzano, forse Samantha sta facendo tardi perché con questo vento non riesce ad atterrare.
Finalmente arriva, resta in piedi davanti al pubblico, si siede per rispondere ai quesiti dei bambini, che la sommergono di domande, come anche noi ragazzi grandi, del resto.
La prima domanda, di rito, è quella che chiunque di noi, a nove anni, avrebbe fatto in una simile occasione:
Samantha, come si diventa astronauti?
Chiaramente non esiste un’università per astronauti, prima ti scegli un lavoro, poi se hai fortuna, come è successo a me, al momento giusto capita una selezione per astronauti e puoi proporti. Le strade tipiche per intraprendere questa carriera, comunque, sono due: la formazione tecnico-scientifica, ingegneristica o medica; oppure l’aviazione, diventare piloti militari e poi piloti collaudatori.
Il mio è stato un percorso misto, prima ho preso una laurea in ingegneria e poi sono entrata in accademia aeronautica, dove sono diventata pilota militare. Dopo sono stata selezionata all’agenzia spaziale europea come astronauta.
Magari in futuro sarà diverso, ma per adesso la formazione tecnica è importante.
Poi la differenza sta in altre cose. Si presentano migliaia di candidati con lo stesso tipo di formazione, quindi vengono valutati anche altri aspetti: quante lingue straniere parli, se hai esperienze internazionali, quanta voglia hai di metterti in gioco e imparare cose diverse. Anche cosa fai di sport, se sei attivo, se oltre allo studio c’è qualcos’altro che ti rende interessante come persona. Un mio collega fisico, che è stato prima di me sulla stazione spaziale, ha fatto dei periodi di ricerca in Antartide. Per diventare astronauti dovete uscire dalla comfort zone.
Una volta arrivata lassù, lo spazio era come te l’aspettavi?
Questa domanda me l’ha fatta anche la psicologa che segue noi astronauti durante le missioni, che lo vogliamo o no (di solito non lo vogliamo) e la mia risposta è stata “non lo so cosa mi aspettavo”. Lei mi diceva sempre di non aver mai incontrato nessuno che prende le cose come me, senza immaginarsi nel dettaglio come saranno. Il fatto è che se so che una cosa arriverà, non sto neanche a immaginarla, aspetto di scoprire com’è.
Comunque vedere per la prima volta la terra dallo spazio è stata un’esperienza estetica forte. Penso che sia simile alla sensazione di chi scala una montagna e arriva in vetta, credo che sia lo stesso tipo di consapevolezza di essere in un luogo particolare, privilegiato.
Possiamo parlare di routine, nello spazio?
Le giornate sulla stazione spaziale sono tutto un po’ simili, ma anche diverse.
Dal lunedì al venerdì, tra le sette e le sette e mezzo di mattina, teniamo la morning daily planning conference. Il comandante della stazione spaziale chiama il centro di controllo di Houston per fare il punto della situazione giornaliero, poi passiamo a Huntsville, in Alabama, che supervisiona gli esperimenti americani fatti sulla ISS. Da lì passiamo in Europa, al centro di controllo di Monaco che monitora Columbus, il laboratorio europeo sulla stazione e poi saltiamo in Giappone per il centro di controllo del Kibo. Alla fine torniamo indietro al centro di Mosca, perché i russi si scambiano molte più informazioni a voce e quindi li lasciamo per ultimi.
Poi inizia la giornata e ognuno segue la sua agenda, in cui è schedulato ogni minuto della giornata in modo da ottimizzare il lavoro di tutta la squadra. Magari un giorno fai un esperimento, o manutenzione, oppure hai un collegamento con la terra, con qualche scuola o università. Poi ci sono delle giornate particolari in cui arriva un veicolo di rifornimento e quindi l’attività di tutti si accentra su quello, oppure sono previste passeggiate spaziali, giornate molto difficili sia per chi esce che per chi deve offrire il supporto dall’interno ed essere responsabile della tuta e della buona riuscita dell’operazione.
E nel tempo libero cosa fate?
C’è chi guarda film, ma a me sinceramente non piaceva tanto. Non sentivo il bisogno di fare cose del genere, in quel piccolo pezzettino di vita che ho passato nello spazio. Qualche film però l’abbiamo guardato tutti insieme, per esempio Gravity (ride).
C’è chi legge, anche io mi sono portata qualche libro a cui sono particolarmente affezionata, ma non è che mi sia messa a leggere. Mi piaceva un sacco fare foto, o anche semplicemente passare il tempo nella cupola, guardare il panorama, fare video per raccontare come funziona una missione spaziale. Anche nel tempo libero cercavo di sfruttare il mio essere lassù, di non fare cose che avrei potuto fare anche a casa.
Hai avuto nostalgia di casa?
Non sono una persona nostalgica, fin da piccola mi sono spostata molto.
Ho studiato in collegio fin dalle scuole medie e sono cresciuta in albergo, dove ogni due settimane avevo amichetti nuovi, tra le famiglie che partivano e quelle che arrivavano, quindi mi viene facile spostare le mie radici e sentirmi a casa in ogni nuovo posto in cui mi trovo.
E poi quando sei nello spazio e sai che ci starai per un periodo molto breve della tua vita, ti godi ogni giorno che stai lassù, sapendo che prima o poi dovrai tornare giù.
I tuoi (quasi) duecento giorni sono stati documentati sui social in presa diretta. Pensi che questi mezzi di comunicazione possano aiutare a puntare i riflettori su argomenti in apparenza molto lontani dal pubblico come la fisica e l’ingegneria spaziale?
Beh, tutta la divulgazione che facciamo è volta all’informare e documentare le nostre missioni. Generare interesse per gli astronauti è abbastanza facile perché il volo spaziale è qualcosa di affascinante, soprattutto in Europa, un astronauta diventa sempre una sorta di eroe nazionale. La speranza che abbiamo tutti è che al di là della bella foto, si crei anche un interesse per la scienza, in generale e non solo per l’esplorazione spaziale.
Che tipo di esperimenti fate sulla stazione spaziale?
Gli esperimenti sono molto vari, ma si dividono in due sottosezioni: le scienze della vita e le scienze fisiche. I primi si occupano dei processi di adattamento del corpo umano in assenza di peso: sapevamo già dei problemi legati alla debilitazione ossea, o a quella cardiovascolare, ma per esempio adesso stiamo scoprendo di più sulla debilitazione del sistema immunitario, studiando il fenomeno non solo a livello del sistema ma scendendo fino al funzionamento della cellula. È molto interessante, non solo per permettere agli astronauti, in futuro, di effettuare missioni più lunghe, ma anche per capire come funziona il corpo umano, come lavorano le nostre cellule, come possono adattarsi e trasmettersi alle generazioni successive. E poi c’è la parte delle scienze fisiche che studia tutti quei fenomeni fisici in cui la gravità maschera dei processi.
Cosa ne pensi della lotta per le pari opportunità?
Avete presente quando ci sono i mondiali di calcio ed improvvisamente diventano tutti tecnici della nazionale?
Credo che sia un argomento su cui si dicono un sacco di cose con superficialità, molte stupidaggini. è vero che il genere è una cosa che tocca tutti, ma questo è un problema sociologico complesso e si dovrebbe evitare di passare dalla propria esperienza personale al generale.
Si dicono un sacco di cose pensando che le donne siano una sorta di gruppo omogeneo, che siano tutte uguali, abbiano tutte gli stessi problemi, ma questo non è vero. Abbiamo età diverse, ambizioni diverse, estrazioni culturali diverse; è un discorso interessante, ma complicato, per cui di solito evito di dare risposte sintetiche, perché non è un argomento semplice.
Dopo i record ottenuti nella tua missione sulla ISS, puoi dirci quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Non sono molto interessata ai record. I record lasciano il tempo che trovano, anche se ovviamente per gli sportivi sono importanti. Per me non è neanche importante essere stata la prima donna italiana ad andare nello spazio, è una cosa che si vede da fuori ma a me non interessa: io volevo solo fare l’astronauta, anche se fossi stata la seconda, o la decima, per me sarebbe stato uguale.
Ho deciso cosa fare da grande quando avevo quell’età in cui non sei tu che scegli, ma è qualcosa che sceglie te. Proprio perché questo è stato il mio sogno fin da bambina, quando è uscita la selezione dell’ESA nel 2009 non ho avuto dubbi sull’abbandonare tutto, anche se avevo appena finito la formazione come pilota militare. Volevo realizzare il mio sogno e ci sono riuscita. Adesso spero di poter continuare a fare cose gratificanti. È chiaro che se avrò la possibilità di tornare nello spazio, e confido di averla prima o poi, ci tornerò molto volentieri. Questo è il momento per mettere le basi, fare proposte concrete e cercare finanziamenti dai nostri stati membri per tornare sulla luna.
Si parla molto di Marte, anche perché va di moda, per il film The Martian, però è chiaro che prima di tornare su Marte e andare a recuperare Matt Damon – che comunque non ci doveva andare – dobbiamo tornare sulla luna, sviluppare nuove tecnologie, consolidarle e verificarle sul luogo. Abbiamo tante cose da imparare e da capire su un ambiente che è molto più difficile della stazione spaziale.
In più sto imparando il cinese, perché stiamo iniziando della collaborazioni con la Cina, per allargare la collaborazione internazionale e spero di poter contribuire alla creazioni di questa cooperazione.
Foto di Silvia Cannarsa