Lùmina è un progetto editoriale ambiziosissimo, abbiamo intervistato il suo creatore per voi
Essere Nerd oggi è dannatamente divertente, vuoi per la quantità abnorme dell’offerta videoludica messa a nostra disposizione, vuoi per le infinite possibilità offerte dalla rete nel propagare ed espandere la propria cultura nerdofila a livello molecolare, vuoi perché questa è l’era dove i sogni possono diventare realtà. Emanuele Tenderini ne è un chiaro esempio, da Ragioniere ad acclamato fumettista il passo non è mica tanto breve, da acclamato fumettista a visionario rivluzionalista non lo è ancora di più, eppure lui con la sua immensa umiltà, la costanza e la passione è riuscito a segnare la storia del fumetto italico come non avveniva da 30 anni a questa parte. Immaginare un universo come quello creato da Emanuele (senza dimenticarci di Linda Cavallini, la mamma del progetto Lùmina) e cercare di concretizzarlo attraverso il crowdfunding (ne abbiamo parlato qui) è qualcosa di meraviglioso, ancor di più se tutto questo avviene in Italia riscuotendo un enorme successo. Dei 44.000 € necessari ne sono stati raccolti quasi 60.000, quello che rivoluziona è la volontà degli autori di offrire un prodotto qualitativamente senza precedenti, dove ogni tavola sarà uno specchio in quell’universo sconfinto fatto di virtuosismi tecnici da infarto, scorci che non sfigurerebbero nemmeno in un videogioco moderno. Essendo Lùmina una delle cose più belle dopo l’Amiga che ci siano capitate era doveroso per noi parlarne, condividere con voi tanti StayNerdiani all’ascolto un’opera visiva che nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire per nulla al mondo. Essendo dei pro non ci siamo limitati a darvi la notizia, siamo andati a bussare alla porta virtuale di Emanuele che ci ha accolto molto professionalmente rispondendo a una serie di domande con il garbo e l’umiltà che da sempre lo contraddistinguono.
Raccontaci come hai iniziato, se il videogioco ha in qualche modo influenzato la tua scelta di diventare un disegnatore e usare il colore divinamente come lo usi tu.
Ho iniziato il mio percorso professionale ormai più di 10 anni fa. Sono sempre stato un amante dei videogiochi fin dal Commodore 64, per passare poi all’Amiga 500 e via dicendo, e il mio desiderio sarebbe stato, effettivamente, quello di sviluppare videogame; ma io sono nato e ho sempre abitato a Venezia, un’isola un po’ tagliata fuori dal resto e nella quale non trovavo (da piccolino) un contesto che mi avvicinasse in maniera più “strutturata” alla didattica che desideravo in tal senso. Per cui ho ripiegato sul disegno e sui fumetti ai quali era più facile approcciarsi a livello “strumentale”.
Tutto il mio percorso da allora ad oggi è un miscuglio di ispirazioni e studio di ciò che assorbo giocando ai videogiochi rispetto a quello che posso realizzare con la mia tecnica di disegno e colore. Un rimbalzo continuo tra media differenti dove il mio unico obiettivo e creare mondi che abbiano una loro “profondità”.
Come nasce il progetto Lùmina?
Lùmina nasce proprio da questa esigenza: creare un mondo. Un mondo, appunto, nel quale io potessi riversare tutte le mie “seghe mentali” tecniche quasi come banco di prova personale su ciò che riesco a fare e sugli obiettivi che riesco a perseguire. Ultimamente le mie produzioni a fumetti erano caratterizzate dalla necessità di disegnare e colorare molto velocemente per consegnare in tempo il lavoro, senza preoccuparmi di curare i dettagli del proprio lavoro ma con la sola idea di riuscire non consegnare in ritardo. Con Lùmina ho voluto rallentare il mio lavoro, prendermi il tempo di creare le mie “visioni” e riversarle sul foglio secondo un flusso spontaneo e sereno, per riuscire soprattutto a capire quanto il fumetto possa sostenere la rincorsa allo sviluppo tecnologico degli altri media, soprattutto negli ultimi mesi in cui vivo l’ “abbaglio” delle console “next-gen”.
Ci rimane difficile credere che non hai mai giocato un capitolo di Zelda in vita tua, visto l’uso del colore con il quale Lùmina è realizzato, la tua sensibilità è al pari di quella di Miyamoto, la Nintendo difference quindi non c’entra nulla con la Tenderini difference?
Mi lusingano molto le tue parole. Già, anche a me risulta difficile credere di non aver mai giocato ad un capitolo di Zelda, in realtà non ho mai toccato una console Nintendo frenato, ahimè, dal disagio che provo nei confronti dell’idraulico Mario, un personaggio che non sono mai riuscito a digerire. Nintendo quindi no, non c’entra nulla con la mia formazione, c’entra invece moltissimo l’Amiga 500 (per la quale avevo realizzato, effettivamente, un piccolo videogioco) e la console di mamma Sony. In più bisogna anche considerare che oltre i videogiochi, ovviamente, sono un appassionato di manga e anime e quindi ciò che non ho preso da Zelda, l’ho assorbito da tante altre produzioni, anche televisive, giapponesi, per arrivare ad un livello del mio lavoro in cui la cosa più importante è osservare la realtà, perché è da quest’ultima che si riescono a ricavare le informazioni più utili.
Perché vi siete rivolti a Indie Gogo?
Avrei voluto, ovviamente, appoggiarmi a Kickstarter, per la nostra campagna di crowdfunding, ma c’erano troppi limiti strutturali: l’obbligo della cittadinanza americana, il cambio euro/dollaro, il limite dei pagamenti solo attraverso PayPal e soprattutto la gestione fiscale delle cifre accumulate.
Indiegogo, piattaforma comunque sufficientemente conosciuta, è più “snella” da tutti questi punti di vista, rispetto alle altre, e infatti ora che abbiamo vinto il crowdfunding ci accorgiamo che la gestione della “burocrazia” è piuttosto agevolata (soprattutto non siamo costretti a trasferire 60.000 euro dall’America, all’Italia, operazione che sicuramente ci avrebbe causato non pochi problemi!).
Quali sono state le difficoltà maggiori del Pledge?
Affrontare una campagna di crowdfunding è difficile sotto qualsiasi punto di vista. È un impegno mastodontico che funziona attraverso due dinamiche principali: la creazione di un budget perfetto e una comunicazione continuativa con il pubblico. Bisogna elaborare un processo di acquisizione della fiducia, da parte di chi deve comprare l’idea, che ovviamente si basa sull’onestà e la trasparenza, due “virtù” che riesci a esprimere in modo semplice se effettivamente hai elaborato il progetto con molta serietà.
Poi, per due mesi è l’inferno: bisogna convincere le persone riguardo il valore della propria idea e arrivare a più gente possibile in poco tempo.
L’errore più grave che commettono in tanti è attivare una propria campagna di crowdfunding e sedersi ad aspettare il risultato: niente di più sbagliato, bisogna lottare per raggiungere il target fino all’ultimo secondo di campagna.
Lùmina usa una tecnica di colorazione particolare di tua invenzione. La scelta di finanziare il progetto attraverso il crowdfuding è dovuta anche alla volontà di offrire un volume stampato in esacromia?
Stampare il volume in esacromia e addirittura inventarmi una tecnica di colorazione digitale sono sicuramente due punti fondamentali del successo della campagna, ma il significato di tali caratteristiche va ricercato in profondità: non tanto nel raggiungimento di un certo risultato, quanto nella comprensione della mia volontà di autore di ricercare sempre qualcosa che vada al di sopra delle aspettative “comuni”. Quello che ha colpito il pubblico, quindi, credo non sia tanto il pensiero di poter leggere un fumetto con i colori più brillanti e costruiti in un certo modo (anche se le immagini “promozionali” parlavano già da sole), quanto la nostra seria e determinata volontà di cercare risultati nuovi, di intraprendere strade originali di andare “contro” la routine artistica proponendo soluzioni alternative.
E’ lo sforzo di offrire qualcosa di “diverso”, che fa effettivamente la differenza.
L’editoria in Italia non è ancora pronta, secondo te, nell’investire su progetti all’avanguardia in termini tecnici e realizzativi, prima che qualitativi?
L’editoria italiana, secondo me, è terrorizzata, non tanto dai progetti più o meno innovativi, quanto dal non riuscire a comprendere, intercettare e controllare le nuove dinamiche di mercato.
Si lavora al “risparmio”, in “sicurezza”, non ci si espone a cercare progetti che possano trainare il mercato nel confronto con le altre produzioni internazionali ma si sta rinchiusi in sé stessi, “al sicuro” nella propria “scuola italiana”, monitorando quelli che sono i fenomeni che ogni tanto scaturiscono dal web (fenomeni nell’interagire con il pubblico e nel crearsi la propria “tribù”, ma che molte volte non possiedono la tecnica sufficiente per ricostruire uno standard di mercato moderno), ma mai esponendosi nell’investire sulla “ricerca”. Sì, perché anche nel campo dei fumetti ci sarebbe bisogno di “ricerca” e gli editori dovrebbero avere più coraggio nel produrre progetti originali invece che, continuamente, ri-confezionare sempre le solite cose.
Prima di approdare su indiegogo, ti sei rivolto a qualche editore oppure hai avuto le palle quadre di credere fin da subito in Lùmina e alle esigenze dei lettori moderni cresciuti a pane, fumetti e videogiochi?
Ho avuto doppiamente le palle quadre nel rivolgermi ad editori (francesi) che ci avevano offerto delle cifre molto interessanti che, però, abbiamo rifiutato in nome di una libertà creativa totale sul progetto.
Vedi non è una questione di soldi, è una questione, come accennavo nella risposta precedente, di credere di voler realizzare davvero qualcosa di nuovo. Qualcosa di nuovo non significa necessariamente qualcosa di “sconvolgente”, ma almeno seguire i propri impulsi e osservare quelli che sono gli altri media, per realizzare un progetto che mescoli elementi pensati per quest’era moderna. L’importante è capire bene qual è la fetta di target alla quale ci si vuole rivolgere.
Il traguardo raggiunto è andato ben oltre i 44.000 euro necessari alla realizzazione del progetto, sei letteralmente entrato (tu e anche la bravissima Linda Cavallini) nella storia del fumetto Italiano segnando una svolta epocale nella sua concettualizzazione e sviluppo, che consiglio daresti agli autori che dopo il tuo esempio percorreranno la tua stessa strada?
Il consiglio più utile che posso dare è quello, in assoluto, di studiare molto per diventare dei bravissimi disegnatori. Non è una questione di crowdfunding o meno, è questione di essere talmente consapevoli del controllo sulla propria tecnica, da raggiungere l’onestà d’intenti necessaria per creare un rapporto di fiducia con il pubblico che si basi in effetti, in primis, sulla qualità del proprio lavoro. Fare le cose al meglio possibile è l’unico “segreto” possibile per avere successo, a qualsiasi livello.
La mediocrità pagherà sempre meno e il “tirare i remi in barca” vi metterà in una posizione passiva nei confronti della corrente. Invece bisogna remare, sempre, e per farlo c’è bisogno di tutta la forza possibile. Nel nostro lavoro, la nostra forza è il nostro professionismo.
E’ evidente che il videogioco è parte integrante della tua formazione artistica, il tuo modo di lavorare molto simile a un motore grafico ti eleva al di sopra di molti altri autori Italiani in termini visivi, evolvendo il significato stesso della parola colorazione digitale, quando il tuo cervello ha iniziato a elaborare i dati in questo modo?
Prima che il mio cervello potesse elaborare in termini di “ricerca visiva”, ho dovuto fare un faticoso percorso di accettazione dello strumento. Ho imparato a disegnare e colorare utilizzando le tecniche manuali (tempera, acrilico, ecoline) e abbandonare quel tipo di “gusto” a favore di uno strumento (all’apparenza) più freddo, è stata un’evoluzione “complessa”. Il mio personale problema era affrontare la comprensione del computer in accezione di strumento peculiare per la colorazione. Finché mi muovevo, nella confusione, attraverso un pensiero di avvicinamento alle tecniche manuali, non trovavo in effetti il gusto per il mio lavoro (simulare al computer la tecnica all’acquerello non è, ovviamente, come usare l’acquerello nella realtà), quando invece ho capito che il computer mi poteva dare degli strumenti “originali”, completamente staccati dalle tecniche classiche, ne ho capito le potenzialità e sono riuscito, finalmente, a vedere il cammino artistico che potevo intraprendere. Da lì in poi è stata una “schiusura” continua di mondi e intuizioni. Tutto questo è avvenuto circa 4-5 anni fa.
A quale età hai iniziato ad appassionarti al medium videoludico e di quale gioco è stata la colpa?
Come ti dicevo prima, ho iniziato fin da subito con il Commodore 64. Il primo gioco di cui ho memoria si intitolava “Super-Canguro”.
Poi restai completamente ipnotizzato da “Space Ace” per Amiga 500, per non parlare, ovviamente, di tutte le avventure grafiche alla stregua di Monkey Island e via dicendo.
Sappiamo che la serie Battlefield resta una delle tue preferite, cosa ne pensi della svolta Hardline?
Battlefield lo adoro perché in esso ci ritrovo esattamente tutta la mia ricerca estetica sulla luce e sulla profondità di campo.
Hardline è un’intuizione, di gameplay, carina sviluppata però sull’editor di Battlefield. Ti ricordi il “S.e.u.c.k”? (lo “shot’em up construction kit”). Ecco, Hardline è un battlefield costruito con il Seuck.
Activision è tornata agguerritissima per contrastare l’avanzare della serie DICE con il suo COD Modern Warfare, essendo tu un appassionato del genere quanto sei rimasto sorpreso dal gameplay visto all’ultimo E3?
Sono sempre sorpreso ed entusiasta di ogni trailer che vedo, in realtà, i conti però bisogna farli con pad alla mano. Ho sempre apprezzato tutti i Call of Duty, sinceramente (“Black Ops” su tutti) e sono molto ottimista nei confronti del prossimo che uscirà. Ma la profondità del gameplay di Battlefield è impareggiabile. Diciamo che tra BF4 e l’Advanced Warfare, nutro altissime aspettative su BF5.
Come vedi il futuro dei videogiochi, la VR di Oculus rift o Project Morpheus sancirà una svolta epocale del medium?
Il futuro dei videogiochi, in realtà, mi spaventa non poco. Si arriverà ad un livello tale di complessità e ampiezza che il concetto di giocare si avvicinerà di molto a quello del “lavorare”. Evito già da ora di avvicinarmi a giochi tipo GTA o Skyrim, perché offrono troppe possibilità e la mia giornata rimane, ahimè, di 24 ore. Borderlands 2 l’ho giocato per 2 anni ininterrottamente (ogni sera, per 2 anni) e solo così sono riuscito a goderne a pieno. In futuro mi vedrò scegliere un solo videogioco come unico mio investimento di tempo e portarlo avanti ad-libitum perché non avrò il tempo di affrontare tutti gli universi che verranno sviluppati.
Il gioco che avresti voluto realizzare contribuendo con la tua arte?
Sono 3: Mirror’s Edge, Battlefield 3 e Remember Me.
Lùmina potrebbe diventare un videogame, o più realisticamente, ci hai mai pensato?
Mi piacerebbe molto, sì, ci ho pensato, ma devo dirti la verità non sono ancora riuscito a inquadrare il genere. Adorerei sviluppare un picchiaduro alla “Naruto”, ma banalizzerei troppo la storia del progetto, forse un JRPG sarebbe più adatto, non come Final Fantasy, ma più come Ni No Kuni.
Grazie infinite per il tempo dedicatoci, anche noi (nel nostro piccolo) abbiamo contribuito alla campagna per Lùmina e con ansia infinita lo aspettiamo, il termine ultimo è febbraio 2015 vuoi darci qualche anteprima esclusiva per deliziare il palato dei nostri lettori?
Per ora non ci sono ancora anteprime “utili”. Il mese di Giugno lo abbiamo dedicato completamente alla definizione ufficiale dello storyboard, inizieremo a costruire le tavole solo dalle prossime settimane! Se rimaniamo in contatto, però, potrò aggiornarvi presto sullo sviluppo!
Dopo essersi rifatti gli occhi, per i ritardatari è ancora possibile prenotare una copia di Lumina?
Vi consiglio di iscrivervi alla newslettere di Lùmina, qui:
Ultima domanda poi ti lasciamo andare: Cyborg Klaytom, ma quanto cazzo rulla il chara design?
Ehehehhehehe! Si, è piuttosto potente, prima o poi, ci sarà qualcosa anche per quel progetto…vedrai!