Intervista ad Elena Casagrande, talento purissimo alla corte del fumetto americano, insegnante alla Scuola Romana dei Fumetti e nuova disegnatrice per Black Widow
Abbiamo incontrato, per una lunga intervista, Elena Casagrande, altra star della nona arte italiana a sbarcare in America. In effetti, quasi potremmo dire “Escono dalle pareti” se fossimo in un film dell’orrore o in un remake di Alien, quando parliamo dei disegnatori italiani nel mercato americano. Da una quindicina d’anni a questa parte, infatti, il Nuovo Continente ha subito un invasione massiccia da parte dalle matite nostrane che hanno ricolonizzato l’America cinque secoli dopo Colombo.
Simone Bianchi, David Messina, Valerio Schiti, Marco Checchetto, Jacopo Camagni, Andrea Broccardo e Mattia de Iulis, per arrivare alle super star Mirka Andolfo e Sara Pichelli. Ma questi che ho citato sono solo i primi nomi che mi sono venuti in mente in mezzo ad una legione di artisti che, ormai, lavorano in pianta stabile con le più grandi realtà statunitensi, realizzando progetti dalla risonanza mediatica globale e mettendo mano a delle autentiche icone mondiali.
Tra questi, un altro nome di spicco è sicuramente quello di Elena Casagrande. Casagrande ha avuto una carriera in rapidissima espansione: prima come assistente di David Messina, dove ha iniziato a lavorare per IDW Publishing e ha avuto il suo battesimo del fuoco. Da lì in poi, un’ascesa incredibile. Ha lavorato su serie importanti ispirate ad alcune delle più blasonate serie tv come Star Trek, True Blood, Doctor Who e X-Files, leggende Marvel e DC come Spider-Man, Hulk, Arrow e The Flash e progetti creator owned come Suicide Risk per BOOM! Studios in coppia con Mike Carey.
Di recente, è stata reclutata insieme alla sceneggiatrice Kelly Thompson per il rilancio di Black Widow dopo i fatti di Secret Empire. In vista dell’uscita della nuova serie, prevista per aprile in concomitanza al primo film stand alone dedicato alla Vedova, abbiamo scambiato due chiacchiere con lei.
Mancano poco meno di due mesi all’uscita, in America, del primo albo di Black Widow, la serie a cui toccherà il difficile compito di rilanciare Natasha Romanoff dopo la sua apparente morte in Secret Empire. Senza rivelare troppo, com’è stato lavorare su un personaggio così iconico?
Beh, sicuramente è stato un onore ma anche un grande onere! Come mio solito sono preda dell’ansia da prestazione e non mi sembra mai abbastanza cool quel che faccio, però stavolta devo dire che mi sono divertita tantissimo e forse questo è un buon segno. Penso sia merito della sceneggiatura di Kelly Thompson che, oltre a raccontare bene e in maniera interessante, mi ha lasciato davvero tanto spazio di manovra sulla regia e su alcune piccole libertà grafiche. Non conosco bene la storia passata del personaggio, soprattutto ultimamente non riesco a tenermi aggiornata, ma mi ha affascinato sempre questo suo lato noir, così molto più verosimile dei suoi comprimari con superpoteri.
Com’è lavorare per una sceneggiatrice di successo come Kelly Thompson?
Sono alla prima esperienza con lei e mi sto trovando benissimo. Kelly scrive molto visivamente, per questo mi è molto facile immaginare cosa devo disegnare e magari giocarci sopra. È di grande supporto con le reference e sempre aperta al dialogo su miei dubbi o mie proposte. Spero sarà una bella collaborazione per entrambe e magari anche duratura.
Sempre rimanendo nel tema Vedova, l’arrivo del primo numero coinciderà con l’uscita del primo film stand-alone dedicato al personaggio. Che effetto fa uscire sapendo di avere alle spalle l’onda lunga di una pellicola evento targata Marvel?
Fa l’effetto che ho dovuto aumentare le sedute dalla mia analista (ride n.d.R.)! Sicuramente mi carica di un grande responsabilità, però è la prima volta per me e non so come reagire del tutto. Cerco soprattutto di focalizzarmi sul mio lavoro e di non farmi trascinare dalle aspettative, di cui ovviamente spero di essere un minimo all’altezza, ma che metto comunque in secondo piano rispetto al mio lavorare bene, dedicandomi alla qualità del prodotto. Sono contenta la Marvel affianchi un’uscita fumettistica all’uscita del film, sono sicura si possa creare un interesse reciproco o almeno mi fa piacere se ne dia la possibilità, come magari non è successo in altre occasioni.
Che ne pensi della versione filmica della Vedova Nera, interpretata sullo schermo da Scarlett Johansson?
La trovo interessante, ma non dall’inizio. Diciamo che ho cominciato ad apprezzarla da The Winter Soldier, ma non tanto per la sua interpretazione, quanto per come veniva presentato e raccontato il personaggio. Mi spiace abbia avuto il suo film stand-alone solo ora, effettivamente poteva essere l’occasione di raccontare un’eroina molto più complicata degli altri ma anche molto intrigante, prima di vederla sempre e solo come personaggio “accompagnatore”.
La serie su Natasha non è certo la tua prima incursione dalle parti della Marvel. Tra tutti i tuoi lavori sotto la Casa delle Idee qual è quello a cui sei più legata?
Sembrerà sciocco, ma credo siano due, ed entrambi sono legati ad un debutto: il primo è A chemical Romance, il mio primo lavoro Marvel in assoluto, una storia breve con Spider-Man ancora a scuola dove nonostante non sapevo quali fossero i miei margini di libertà, ho dato libero sfogo alla mia creatività grafica (ovviamente quella che avevo acquisito fino ad allora). Il secondo è Red Hulk – Fear Itself, il primo numero che ho mai realizzato interamente in digitale: anche qui lo ricordo con piacere perché nonostante fossero personaggi a me non tanto conosciuti ho avuto modo di divertirmi e raccontarli in maniera visivamente interessante.
Oltre a Marvel, hai messo le “matite” in tutte le grandi realtà del fumetto americano, IDW, BOOM! Studios, DC… Quali sono, secondo te, le principali differenze, sia da un punto di vista professionale che di libertà creativa, tra le case editrici?
Per quanto riguarda la mia esperienza a livello di libertà creativa non ho notato grosse differenze, forse più che tra case editrici le cose cambiano in base alla testata su cui si sta lavorando (tipo se è una su licensing o una creators owned o una regular). Ma onestamente non ne ho trovate neanche molte a livello professionale: qualunque editor con cui abbia lavorato si è dimostrato capace e collaborativo, chi invece non era altrettanto non ha poi proseguito la sua carriera. Credo che su questo piano queste case editrici si differenzino solo per il numero quantitativo a livello di organico, piuttosto che di professionalità.
Ormai stiamo assistendo ad una vera e propria invasione dei fumettisti italiani in America. Oltretutto, più passa il tempo più acquisiscono prestigio e incarichi importanti. Penso a te con la Vedova, ma anche a Sara Pichelli che ha prestato il suo talento agli eroi che hanno dato vita alla Silver Age: i Fantastici Quattro. Secondo te quali sono le ragioni per cui i nostri artisti sono così apprezzati?
Non so darti una vera risposta. Forse è perché abbiamo un bagaglio culturale e visivo più vasto. Viviamo di arte sin da piccoli nelle scuole e nelle nostre principali realtà, forse siamo più educati al bello, anche se ultimamente sempre meno, ahimè. Ho sentito che siamo anche gran lavoratori e quasi sempre puntuali! Vuoi mettere avere qualità e professionalità? E poi il fascino degli Europei…
A proposito di grandi icone, hai messo mano oltre che a figure come Spider-Man, Hulk, Batgirl, anche ad un nume tutelare della nerd culture come Dottor Who. Com’è stato lavorare su un simile personaggio? Sei una fan del Dottore?
È stato stupendo! Quello che mi ha portato l’esperienza lavorativa su Doctor Who ancora non è stato eguagliato da nessun’altra esperienza lavorativa: il fatto di rivolgermi ad un fandom così enorme e affezionato e anche il fatto di aver messo mani sulle avventure del Decimo Dottore, ha permesso che avessi una visibilità quintuplicata… Nella mia ingenuità, che tu ci creda o no, non me lo aspettavo affatto! Pensavo che essendo passato tanto tempo dalla fine del ciclo con Tennant, l’interesse non sarebbe stato così eclatante… E invece: inviti in tutta Europa, conferenze a San Diego, code chilometriche… Che dire, l’ho adorato!
Sul piano lavorativo anche è stato un immenso piacere: la Titan era composta da editor che erano “esordienti” riguardo un progetto di quella portata e insieme allo sceneggiatore siamo come un po’ cresciuti tutti assieme. Ho adorato lavorare sugli script di Nick Abadzis; aveva un modo di raccontare veramente vicino alla serie tv, sembrava di vedere e sentire il Dottore. Con lui poi ho avuto l’occasione di creare una nuova companion e sono ancora emozionata all’idea che qualcosa di mio sia in canon con l’universo di Doctor Who, perché sì, ebbene, lo ri-confesso: sono una fan!
Lo ero diventata poco prima in realtà. Circa due anni prima del mio lavoro in Titan, un mio grande amico sceneggiatore, Scott Tipton, mi suggeriva di cominciare a vedere la serie e tra questa spinta e il fatto di essere sempre più motivata a scoprire del perché tale prodotto avesse così successo, ho cominciato a vederla. Era l’anno dell’ultima stagione del Decimo Dottore, di cui, ovviamente, mi sono subito perdutamente innamorata. Ma la verità è che avevo capito che la forza della serie stava nel saper raccontare tanto e soprattutto benissimo con poco, perché c’era una scrittura solida dietro e io adoro le cose scritte bene anche se recitate da uno sgabello! Poi sempre grazie a Tipton ho avuto la possibilità di fare un numero di Doctor Who su Prisoners of Time, la serie a fumetti celebrativa del 50esimo anniversario, prima che la IDW perdesse i diritti… E da lì, poco dopo, la Titan mi ha contattata. Sono ancora in brodo di giuggiole se ci penso!
Di questi tempi, la transmedialità domina e le storie si sono fatte più che mai “liquide”, capaci di passare dal cinema alla televisione partendo dal fumetto e viceversa. Come vedi questa tendenza del mercato? Che impatto ha sui fumetti?
Io la vedo una cosa positiva fintanto che i due mezzi non si “scimmiottano” l’un l’altro, ma si ispirano a vicenda. Penso che la chiave sia sempre quella del raccontare bene, a prescindere dal media, e se questo porta ad avere dei prodotti “misti”, storie appunto ”liquide”, ben venga. I compartimenti stagni, i confini invalicabili, difficilmente portano all’evoluzione.
Hai preso parte a Mostri #9 per Bugs Comics, che ora ha deciso di portare un personaggio seriale, Samuel Stern, in edicola. Secondo t, in questo momento così difficile per l’intero settore, quant’è importante non abbandonare le edicole al loro destino? Si sta un po’ perdendo la concezione del fumetto popolare italiano, quello pensato per qualunque tipologia di lettore e a basso prezzo?
Questa per me è una domanda molto più complessa di quel che può sembrare e onestamente non ho le informazioni necessarie per avere un quadro verosimile della situazione. In primis, io non sono mai stata una lettrice assidua del fumetto popolare, e questo per dire che non ne conosco il linguaggio, la maniera di trattare le tematiche e non conosco effettivamente il pubblico. Io ho solo l’immagine di mio padre che legge Tex e spesso mi trovo a pensare che è un prodotto di un’altra generazione, lontano da me. Poi mi accorgo, parlando coi colleghi e con alcuni lettori, che il fumetto popolare è anche quel prodotto che accomuna persone con un range di età molto più ampio, quindi comprende più generazioni, e allora mi chiedo se questa impresa sia possibile col pubblico di oggi, che oltre ad aver perso l’abitudine dell’edicola per tantissimi motivi (leggere le notizie online, costi sempre più alti, smettere semplicemente di leggere, ecc.) ha dei gusti così specializzati, avendo a disposizione forme di intrattenimento sempre più numerose e sempre in continua evoluzione.
Io mi auguro che Samuel Stern sia un progetto duraturo, perché vorrebbe dire che qualcuno con cui condividere piacere e passione per i fumetti c’è ancora, anche al di là dei lettori più specializzati, e che magari possa far nascere la curiosità di avvicinarsi anche ad alcuni neofiti. Sicuramente affidargli la salvezza delle edicole è un’esagerazione colossale, c’è da guardare questa impresa con un misto di ammirazione e preoccupazione… Ma mi auguro che vada bene anche solo perché le persone che lo hanno creato se lo meritano!
C’è un personaggio italiano su cui ti piacerebbe lavorare, dopo aver praticamente disegnato i più grandi colossi americani?
Devo pensarci…
In qualità di insegnante alla Scuola Romana del fumetto, qual è la qualità più importante che deve avere al giorno d’oggi un giovane per emergere?
Pazienza; perseveranza; passione; costanza; umiltà. Purtroppo quello che noto è che spesso i ragazzi non ammettono di avere lacune e si sentono già arrivati dopo due complimenti, non accettano critiche o pensano sia una strada facile, quando invece richiede un sacco di sacrifici.
Oltre a Vedova Nera, attualmente hai altri progetti in cantiere?
Non diventare una madre degenere che passa troppo tempo alla scrivania a lavorare!
Comunque no, le poche ore lavorative che ho a disposizione e la volontà di mantenere alta la qualità del lavoro non mi permettono di seguire più di un progetto alla volta, quindi quando quest’avventura con Vedova Nera starà per concludersi, vedremo che altro ci sarà da fare…
Ringraziamo Elena Casagrande per averci concesso questa intervista.
Grazie a voi di Stay Nerd per avermi riservato questo spazio e a chiunque dedicherà parte del suo tempo per leggerlo!