atteo Vicino è un regista italiano che, dopo aver realizzato alcuni lungometraggi ottenendo anche dei riconoscimenti importanti, ha deciso di fare un passo indietro. Come mai? E qual è il suo giudizio sul cinema italiano?
Lo abbiamo intervistato e non si è certo tirato indietro nell’esprimere opinioni.
Nel giro di sei anni, dal 2012 al 2018, hai realizzato tre lungometraggi da regista, ottenuto diversi riconoscimenti italiani e internazionali. Poi, di fatto, la decisione di porre uno stop improvviso al cinema? Come mai? Ti rivedremo sul grande o piccolo schermo?
C’è un problema di energia che si è venuto a creare. I tre film che ho realizzato sono stati estremamente difficili da creare per una serie di fattori. Il sistema cinematografico italiano, per come è costruito, impedisce alla radice alle buone idee di svilupparsi. È difficilissimo per chiunque portare al cinema un’opera, in Italia diventa impossibile se l’opera è buona. Quando accade lo sforzo è immane. Lovers è stato rifiutato da tutte le grandi produzioni e distribuzioni. Hanno visto il film, hanno preso nota, e lo hanno rifiutato. Abbiamo dovuto inventarci una distribuzione indipendente. Ci eravamo convinti anche noi, a un certo punto, che il film non avesse valore, quando è arrivata la notizia della vittoria come miglior film al Festival internazionale di Lisbona. E da lì Phoenix, Londra, Miami, Philadelphia. A quel punto ci siamo resi conto che il problema non era il film, ma l’Italia. La beffa finale è arrivata in questi giorni, quando il cinema italiano ha deciso di “ispirarsi”, diciamo così, a Lovers con “4 Metà”, con grande sfarzo di mezzi e Netflix a produrre. Il problema è che non basta ispirarsi. Serve talento, bravura, creatività. Queste qualità non sono presenti nel mainstream italiano, e i risultati sono piuttosto vergognosi. Ho lasciato il cinema consapevolmente: non c’è speranza per il talento in Italia. Da dieci anni combatto una battaglia per cercare di convincere i giovani italiani a lasciare il paese. Spero mi ascoltino.
A tal proposito, mi è capitato di vedere su Youtube una tua intervista di qualche anno fa, durante l’anteprima stampa di Outing, il tuo secondo film. Senza mezzi termini sostieni che se vuoi sopravvivere in questo sfortunato paese chiamato Italia devi scendere a compromessi, altrimenti meglio andare via, che peraltro è il consiglio che dai a tutti i giovani. Quindi la pensi ancora così.
Assolutamente sì. L’Italia è la nazione dell’inganno, della farsa, del compromesso. Ed è un peccato perché abbiamo davvero giovani di talento. Ma i danni fatti al sistema culturale e dell’Istruzione da trent’anni a questa parte non sono più sanabili. Bisogna andare via.
Sempre in questa occasione, dai una risposta “per i giornalisti” tessendo le lodi di Massimo Ghini. Non voglio entrare nello specifico della questione, ma in generale quanto può essere complesso il rapporto sul set tra un regista giovane e un attore affermato?
Massimo Ghini è persona di rara intelligenza. Il problema del cinema italiano è che tutto è la serie C del cinema mondiale. Gli attori, spesso, arrivano impreparati sul set. Gli agenti degli attori sono una macchietta di un vero agente di spettacolo. Salvo solo i tecnici, sempre professionali e sempre bravissimi. Non meritano la qualità del cinema italiano.
È piuttosto chiara la tua opinione sul cinema italiano…
Il peggiore, più antimeritocratico, mediocre, indegno di una nazione civile, del mondo. Figli di persone abbienti senza arte né parte che si credono artisti e a Roma trovano spazio solo grazie a corruzione e mediocrità. Un sistema di orrore che si basa sulla politica, che decide quasi tutto, agenzie di attori in Viale dei Parioli con veri e propri mostri che fanno il bello e cattivo tempo. Il risultato sono i film tra i più brutti al mondo. La Svezia ha prodotto film come “The Square”, l’India un capolavoro come “La tigre bianca”, noi siamo fermi a Gomorra, il film, che Garrone ha girato ormai più di vent’anni fa.
Le piattaforme di streaming ormai stanno letteralmente soppiantando il cinema. Sono più i vantaggi o gli svantaggi per l’industria cinematografica e, in generale, per la settima arte?
I vantaggi sono evidenti. Più opere, più lavoro per tecnici e artisti, più scelta per i consumatori. Gli svantaggi, altrettanto. È una delle epoche con meno qualità e meno libertà artistiche degli ultimi duecento anni. Al ritmo del “politicamente corretto” abbiamo distrutto l’arte cinematografica. Basta guardare le uscite cinematografiche di un qualsiasi mese degli anni settanta o ottanta per sbiancare. Il livello era infinitamente più alto. Oltre a ciò, la televisione non potrà mai soppiantare la magia della visione collettiva del cinema. E temo che per il cinema i giorni siano contati. È una opinione personale, certo, ma non vedo un futuro roseo per le sale.
Passiamo un attimo allo spinoso tema dei social che, nel bene e nel male, danno voce un po’ a tutti. Di recente, dopo un tuo intervento su Radio Capital da Selvaggia Lucarelli, in cui non hai speso parole dolcissime per Sanremo, è arrivata la classica shitstorm su Facebook. Ormai sembra che le persone non possano vivere senza sfogare la propria frustrazione sui social, insultando gli altri. Si porrà mai un fine a questo? E da cosa deriva tutto ciò, secondo te?
Facebook e i social network in generale sono stati ingegnerizzati, creati, voluti, per portare compulsione e dipendenza. Ci sono vantaggi evidenti, ma gli svantaggi stanno superando, di gran lunga, i vantaggi. La democrazia orizzontale non è la risposta, anzi. Non possiamo mettere un filosofo o un medico a dibattere su Internet con una casalinga con la terza media abituata a guardare Amici di Maria De Filippi. Il commento della signora è paritetico in valore a quello di un intellettuale o di un tecnico specializzato in qualche materia. Così facendo il sistema livella, mescola tutto creando un unico rumore che non è più notizia, non è più legge o giudizio competente, ma solo orrore. Zuckerberg verrà ricordato in maniera molto diversa in futuro da come viene considerato oggi.
Torniamo a parlare di cinema. Chi ti ha influenzato maggiormente nel tuo percorso da regista e nel tuo stile?
Robert Altman è la mia luce guida. Un regista che arrivò al successo a 45 anni con opere di deflagrante bellezza. Una spina nel fianco di Hollywood, e “Short Cuts” (America Oggi) è di fatto il film che ho amato di più. Non posso non rendere merito però a Stanley Kubrick, il regista perfetto, e ai registi anni ’80 che mi hanno reso ciò che sono, da Zemeckis a Mel Brooks, a Scorsese, Lawrence Kasdan, Lucas, Spielberg, Terry Gilliam (Brazil), David Lynch (Mulholland Drive) e tanti altri geni del nostro tempo.
Nel cinema contemporaneo e nella televisione ammiro Charlie Brooker di Black Mirror, e ho trovato sublime Breaking Bad. La televisione offre lavori di grande pregio. Come registi contemporanei certamente Charlie Kaufman, il mio assoluto idolo, Sam Levinson, autore di un capolavoro come Euphoria che mi ha ricordato molto il mio “Young Europe”, seppur al testosterone, e ovviamente Paul Thomas Anderson, di cui ho amato molti film, tra tutti “Ubriaco D’amore” e “Il Petroliere”. Non posso non citare Yorgos Lanthimos, autore dei film che ho amato di più ultimamente, come “La Favorita” e “Il sacrificio del cervo sacro”. Un genio assoluto. E ovviamente il maestro Monicelli.
C’è un film italiano degli ultimi vent’anni, in particolare, che ti sarebbe piaciuto aver diretto? E c’è un regista italiano, magari emergente, che ti colpisce particolarmente in positivo?
No. Provo orrore per tutti. Scusa la sincerità. Il sistema cinematografico italiano premia solo i peggiori. Non c’è nessun nome, zero. E questa notte durerà ancora molti anni. Se il film o il serial batte bandiera italiana, è una porcata al 100%. È matematica, non una ipotesi.
Sui social sei sempre sul pezzo per quel che riguarda i consigli su film o serie TV da vedere. Danne qualcuno anche ai nostri lettori.
Oltre al citato Euphoria, Succession su Sky, crudele e a ogni puntata lezione di gestione del potere. Da vedere assolutamente come film “1917”, “The Square”, “Midsommar”. Netflix ha tante cose belle come l’insuperabile e magnetico “Ozark”. Di recente sto apprezzando “Pam & Tommy” su Disney+.