In occasione della sua presenza a Milano per il festival Stranimondi abbiamo intervistato (di nuovo) Sam J. Miller, autore di fantascienza pubblicato in Italia da Zona 42
on è la prima volta che incontriamo Sam J. Miller, autore statunitense di fantascienza, fantasy e horror. Nel 2019 era già stato in Italia per presentare il suo romanzo La città dell’orca tradotto da Zona 42. A distanza di un paio di anni (e che anni) e con una nuova raccolta di racconti uscita pochi mesi fa (sempre per Zona 42), Sam è tornato a Milano ed è stato ospite di Stranimondi, il festival milanese dedicato alla narrativa di genere. Ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda sul suo nuovo libro e il suo lavoro.
Nei racconti di Ragazzi, belve, uomini si possono riconoscere elementi che provengono dalla tua esperienza personale: un macellaio [la famiglia Miller ha una lunga tradizione di macelleria], un allosauro [Sam ha un allosauro tatuato sul braccio] e così via; quanto della tua vita finisce nelle tue storie, qual è la linea di confine?
Non c’è un confine, rubo continuamente dalla mia vita. I miei libri sono pieni di battute che posso capire soltanto io. Ci sono parti di me, delle persone che amo e di quelle che odio. Se c’è un limite, è che non voglio che si capisca. Ho sempre paura che mia madre o i miei amici pensino che sto scrivendo di loro, quindi cerco di mascherarlo. Sarebbe molto strano scrivere di un personaggio che ha il mio stesso nome, nonostante nella letteratura americana – a partire dagli anni ’50 – sia diventato di moda per gli autori scrivere di protagonisti con il loro nome. Credo che ci voglia un livello di autostima ben più alto del mio per fare qualcosa del genere.
Tu scrivi fantascienza, fantasy, horror weird: com’è il tuo rapporto con i generi letterari? Il Sam Miller che scrive fantascienza è diverso dal Sam Miller che scrive horror?
Ho una relazione piuttosto promiscua con i generi. Magari conosco l’horror e inizio a frequentarlo, però poi il mio sguardo cade sul fantasy e mi dico che potrei uscire anche con lui… Mi piace tutto e leggo di tutto, incluse storie che non sono inquadrabili nella narrativa di genere, anche se poi non scrivo cose di quel tipo, come storico o romance. Quindi quei diversi Miller sono tutti me. Anzi, per me è come se stessi sempre scrivendo lo stesso genere, infatti mi capita di pensare che sto scrivendo un genere e poi invece è un altro. Quando ho scritto 57 ragioni dietro i suicidi alle cave di ardesia l’ho proposto a Lightspeed, una rivista di fantascienza. Mi hanno detto che era un buon racconto, ma non potevano pubblicarlo perché era un horror. In seguito quel racconto ha vinto lo Shirley Jackson Award, quindi avevano ragione loro: era davvero un horror.
Durante la tua presentazione qui a Stranimondi hai detto “combattiamo tutti con la disperazione, è per questo che leggiamo ciò che leggiamo”. Allora, perché leggiamo quello che leggiamo?
Secondo me la lettura fornisce qualcosa che va oltre l’intrattenimento e l’escapismo, è una vera e propria trasformazione, ti aiuta a estrometterti dal mondo. Il mondo è spaventoso, è confuso e orribile, quindi non è solo questione di fuggire ma anche di ricordarci delle cose meravigliose e buone che esistono. Mi capita spesso di trovarmi a fare doomscrolling sui social, e quando me ne accorgo mi impongo di fermarmi e leggere un libro. Se ci si pensa, il libro è una tecnologia che rimane immutata da millenni, quindi deve essere qualcosa di davvero speciale per essere rimasto intatto tutto questo tempo. Per me è come una comunione, ma a differenza dei media che ti espongono a decine di voci contemporaneamente, nel libro la comunione è con una voce sola.
L’ultima volta che abbiamo parlato era nel 2019 e sono successe un sacco di cose da allora. Quello di cui abbiamo parlato all’epoca è ancora importante adesso, dopo tutto quello che è successo?
È importante quanto lo era allora, ma adesso ancora più persone ne hanno bisogno. Negli USA a causa della pandemia moltissime persone hanno perso il lavoro e la casa. Tutte le ineguaglianze che già esistevano si sono esacerbate, i poveri si sono impoveriti e i ricchi si sono arricchiti. Non saprei dire se questo ha portato le persone a rivolgersi ai libri, ma con il mondo che diventa ancora più difficile, credo che ne abbiamo sempre più bisogno.
Nel tuo panel hai parlato di Octavia Butler come una delle tue autrici di riferimento. A proposito di quello che scriveva lei, da parte tua pensi che l’iperempatia sarebbe un dono o una maledizione?
Questa è una delle ragioni per cui adoro Octavia Butler. Nei film e nei fumetti avere superpoteri è fantastico, ma nel mondo reale sarebbe una situazione molto complessa. Butler ha portato un grandioso esempio di questo [nel suo romanzo La parabola del seminatore]. In realtà credo che l’empatia sia uno svantaggio già di per sé: se partecipi alla sofferenza di altre persone, degli animali o del pianeta ti ritrovi sempre infelice. Starei molto meglio se non me ne importasse nulla. Ho già abbastanza difficoltà sentendomi impotente nell’affrontare tutta questa sofferenza nel mondo. L’empatia è una maledizione, vorrei davvero che non me ne fregasse nulla. Puoi usarlo come titolo dell’intervista questo…
Credi che la fantascienza di oggi abbia ancora qualcosa da dire al suo pubblico, oppure durante la Golden Age gli scrittori hanno già affrontato tutti gli argomenti possibili?
I fan di vecchia data della fantascienza parlano costantemente di Asimov, Clarke, Heinlein ed Herbert. Per come la vedo io, i fondatori della fantascienza moderna sono Octavia Butler e Samuel Delany. Sono loro che si dovrebbe leggere per capire da dove arrivano le cose entusiasmanti che leggiamo oggi. Ma ancora meglio, un lettore di oggi dovrebbe partire da ciò che gli piace e poi tornare indietro da lì se vuole. Leggi N.K. Jemisin e questo potrebbe portarti a voler scoprire Butler.
Siamo alla fine dell’intervista, per cui dobbiamo chiederti dei dinosauri, considerato il tuo tatuaggio. Cos’è secondo te che ci affascina così tanto di loro?
La risposta facile è che sono spettacolari. Tutti amiamo i mostri, da bambini ne siamo affascinati anche se ci spaventano. I dinosauri sono mostri reali, che camminavano su questo pianeta, non serve uno sforzo di immaginazione per pensarli nel nostro stesso mondo. Questo è il loro fascino, è una cosa molto istintiva, primordiale. Per l’allosauro in particolare, mi piace perché ha braccia lunghe e tre dita, lo immagino veloce e intelligente. Mi ricordo che avevo un libro per bambini con l’illustrazione di un allosauro che mangiava un altro dinosauro, ed era davvero cruenta, ne ero attratto per questo. [Cerca l’immagine sul telefono] Ecco, questo allosauro è davvero badass. È anche estremamente scorretto come ricostruzione. Quasi tutti i dinosauri lo erano, avevano questa posa umanoide perché pensavamo “i dinosauri sono forti, quindi dovevano camminare come noi, perché noi siamo forti, di certo non camminavano come galline”.
Abbiamo continuato a parlare con Sam dei rispettivi dinosauri preferiti, e ci ha detto di quanto fosse eccitato di andare al Museo di Storia Naturale di Milano quel pomeriggio. Dopo le foto e gli abbracci ci ha salutato e ha lasciato Stranimondi, ma ha promesso che ritornerà. Forse, non solo per tornare a vedere i fossili al museo.