Intrusion su Netflix: l’archetipo rovesciato dell’home invasion
Se è vero che Netflix, in testa a tutte le altre piattaforme streaming, è la nuova televisione, una buona parte dei suoi lungometraggi va a riconoscersi come una nuova forma di telefilm. Certo, rischiamo così di addentrarci in annose discussioni sul concetto di cosa sia “cinema” e cosa no, finendo poi per girare in tondo e perderci in un bicchier d’acqua.
Ciò che è innegabile è però la logica produttiva alla base della grande N, che abbiamo ben imparato a conoscere nel suo ragionare per quantità e standardizzazione. Il piglio artistico è lasciato ai grandi nomi che nobilitano: Martin Scorsese, Alfonso Cuaron, Jane Campion, Paolo Sorrentino, e così via. Il resto è programmazione televisiva, chiara, limpida, non particolarmente impegnativa e con qualche soldo in più di budget nelle tasche.
Prendiamo quindi Intrusion, nuovo arrivato tra i tanti arrivati nello sterminato catalogo della piattaforma. Diretto senza infamia e senza lode da Adam Salky, scritto con gran rispetto delle norme di sceneggiatura da Chris Sparling. Di cosa parla? Di una coppia di giovani e brillanti coniugi, i Parsons, Meera (Freida Pinto) ed Henry (Logan Marshall-Green), che dopo una vita passata nella frenetica e pulsante Boston decidono di trasferirsi dall’altro capo degli States.
Finiscono a Corrales, all’apparenza pacifica e quieta cittadina del Nuovo Messico, dove l’affermato architetto Henry ha progettato da zero una casa moderna e solitaria. Non passa nemmeno qualche settimana dal trasferimento che i due subiscono un’effrazione il cui esito è mortale per alcuni dei rapinatori. Ovviamente da qui le cose assumono una piega inattesa.
E a cosa punta? Se il film gioca già dal titolo sull’archetipo cinematografico dell’home invasion, quello che tenta di fare Sparling nello script è andare a rovesciare la struttura classica cambiando i tempi e i termini della minaccia. Partendo quindi già nella prima mezz’ora con la violazione dello spazio privato, Intrusion va poi però nella sostanza a scendere nei meandri di un classicissimo thriller spruzzato pigramente di psicologico.
La lezione di The Invisible Man
Il tema dell’entrare nelle case altrui è riverberato nel corso del film parallelamente al crescere di alcuni timori che Meera inizia a nutrire nei confronti del proprio partner e del mondo che pensava di conoscere. Gli ampi spazi della casa, e con essa gli ampi e altrettanto vuoti spazi che la circondano al di fuori, assumono quindi la morfologia di una gabbia, paradossalmente di una prigione dalla quale fuggire e non più un eden nel quale rifuggiarsi.
Niente di notabile, sia chiaro, e anzi appare evidente come Intrusion faccia tesoro, se non addirittura saccheggio a piene mani, della sottilissima e fine linea che aveva già soddisfacentemente esplorato il The Invisible Man di Leigh Whannell. Se lì il film discuteva in modo brillante la questione dell’abuso e delle violenze nella cornice domestica, il cuore di fondo è in comune con Intrusion, cioè il sovvertire la percezione della dimensione privata e la provenienza di ciò che va temuto.
Sul piano della resa siamo distanti anni luce, perché qui si perde ogni finezza di regia nella calibrazione dei vuoti davanti alla mdp e la soglia dell’ambiguità è assottigliata per lasciare tutto nelle mani di alcuni twist narrativi ai quali spetta il compito di suscitare uno “wow” che si strozza in gola sul nascere.
La TV 2.0
Intrusion è quindi un film pessimo? No, come non lo sono la stragrande maggioranza dei contenuti originali Netflix. Molto più semplicemente è medio, piatto, incolore, che nella logica del “pacchetto di offerta” all’interno del quale deve inserirsi va a prendere un po’ qui e un po’ lì, confezionando il compito di portare qualcosa di nuovo anche oggi sulla TV 2.0.
Fa quello che deve fare perché questo è ciò che gli è richiesto, ovvero di perdersi nella logica dell’algoritmo per sopperire al click serale di un qualsiasi abbonato in cerca di una coccola senza impegno prima di andare a dormire.
Intrusion è su Netflix dal 22 settembre 2021