Onorare il passato per proteggere il futuro. La recensione di Iron Fist 2.
Ciò che ha da sempre contraddistinto le produzioni ispirate ai supereroi della Marvel targate Netflix è la cura con la quale viene raccontata la persona dietro alla maschera dell’eroe.
Prima di essere un giustiziere, un beniamino o un paladino della giustizia, ognuno di loro è una persona che, spesso e volentieri, si evolve – o involve – nel corso degli episodi, offrendo una visione di sé, nel bene o nel male, sempre coerente e dal forte impatto. In questa premessa c’è, con ogni probabilità, buona parte del successo di cui hanno goduto i vari Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e, soprattutto, il più recente Punisher interpretato da un magistrale Jon Bernthal. Proprio questa stessa qualità, che ha contraddistinto i sopracitati personaggi, è però mancata, almeno nella prima stagione (o per essere più precisi nella prima parte della prima stagione) all’ultimo Defenders arrivato ad espandere il roster di Netflix: Iron Fist.
Interpretato da un Finn Jones fin troppo bersagliato e preso di mira da accuse spesso anche infondate, il supereroe dal pugno d’acciaio”, proprio a causa – principalmente – di una scrittura di base a tratti imbarazzante, non è riuscito a bissare il successo dei suoi predecessori. Ha mostrato, n ogni caso, un ottimo potenziale di base, merito anche di splendidi personaggi di contorno, che hanno saputo accompagnare al meglio il buon Danny Rand durante il corso della prima stagione. Con queste premesse era lecito attendersi un grosso scossone per questa seconda serie, complice anche un cambio al timone della produzione necessario e doveroso, sia per Netflix sia per lo show in sé.
Starting from the bottom
Per iniziare l’analisi (senza spoilerarvi nulla, tranquilli), vogliamo subito toglierci il dente più doloroso ed affermare, con grande soddisfazione, che si, Iron Fist 2 ce l’ha fatta, riuscendo, quasi completante, a sovvertire lo scetticismo iniziale e sistemando, in larga parte, tutte quelle incertezze che avevano danneggiato pesantemente la prima stagione della serie.
Il lavoro più grande, e non poteva essere altrimenti, è stato quello svolto sulla caratterizzazione del “nuovo” Danny Rand. In questa seconda stagione, infatti, ci troviamo di fronte ad un personaggio completamente diverso da quello conosciuto nella prima stagione, un personaggio più maturo, più responsabile e più a suo agio nei panni dell’eroe.
Il Danny che vediamo qui è completamente diverso dal ragazzo malvestito, impulsivo e dagli intenti trasparenti come l’acqua di sorgente: il tempo passato a New York lo ha raffinato, dopo la forgiatura di K’un-Lun, rendendolo più consapevole dei difetti delle persone, del fatto che non tutti hanno nobili intenti e che la città è malata e corrotta fino al midollo. Con questo non intendiamo dire che gli intenti del nostro Iron Fist non siano più gli stessi, che non abbia deciso di raccogliere l’eredità di Daredevil e di diventare lui il protettore della città o che non sia sempre, nel profondo, il ragazzo dolce e di buon cuore che abbiamo conosciuto, ma semplicemente che sia divenuto più capace di andare oltre le apparenze, anche se non sempre.
Spesso, infatti, rimane ancora vittima delle macchinazioni di coloro che più gli sono cari, vittima del fatto che l’”amore rende ciechi” ma, con una piccola spinta, riesce a dimostrare che è maturato, è cresciuto, e che ora è un uomo nuovo. Danny, in questa seconda stagione, è un uomo completamente diverso da quello che era prima (almeno in apparenza), che sta lottando per costruirsi un futuro tutto suo, per allontanare i fantasmi del passato, che tornano però perennemente a perseguitarlo. Nell’adempimento del suo compito di protettore della città, Iron Fist si troverà spesso ad affrontare problemi ben più grandi di lui, che rischiano quasi di seppellirlo, e a dover chiedere grossi sacrifici alle persone che gli sono vicine.
La trasformazione del nostro eroe, se da un lato ci fa piacere, dall’altro avremmo forse voluto quasi che non avvenisse, quasi come una mamma che, in fondo, vorrebbe che i suoi figli restassero per sempre bambini, innocenti ed entusiasti, pronti a gettarsi in modo gioioso alla scoperta del mondo. Questa è l’impressione che suscitava il giovane Rand (nonostante l’aspetto adulto, sembrava quasi che fosse un bambino da poco venuto al mondo, un’incarnazione del “fanciullino” di Pascoli) e che forse un pochino ci dispiace di non vedere più. Purtroppo e per fortuna tutti crescono, e per Danny il tempo di crescere era arrivato!
Squadra che non vince… si cambia!
La crescita del protagonista, necessaria per risollevare le sorti della produzione non era, però, l’unica problematica da affrontare in fase di stesura del copione della seconda stagione. Nonostante le buone cose viste, ci si aspettava un lavoro di rifinitura anche per quanto concerne la caratterizzazione dei personaggi secondari, ossia di tutti quelli che ruotano intorno alla finora fin troppo anonima figura dell’immortale Iron Fist.
Questo lavoro, enorme, è riuscito quasi perfettamente, con un cast che si dimostra subito all’altezza del nuovo corso e di grande impatto sull’economia generale della produzione. Ci sentiamo di citare, su tutti, i due fratelli Meachum. Se da un lato sin dalle prime battute appare evidente l’evoluzione di Ward (Tom Pelphrey), schieratosi finalmente dalla parte dei buoni, dall’altro Joy (Jessica Stroup), non dà una buona impressione, non all’inizio almeno. Entrambi i personaggi migliorano con l’avanzare delle puntate e ci sentiamo di spendere due parole in più per Ward, che non sono si evolve dalla prima alla seconda stagione e nel corso di quest’ultima, ma riesce a sorprendere il pubblico, dimostrando di maturare e cambiare, da una puntata all’altra, in modo radicale non solo con Danny, ma anche con tutti gli altri personaggi, di essere diventato un uomo molto migliore di quanto ci si sarebbe mai aspettati. Molto bello è inoltre il rapporto che hanno Danny ed il rampollo Meachum, un rapporto di affetto profondo, di lealtà ed amicizia, un legame forte ed in grado di sopravvivere a molteplici avversità, che quasi rende l’uno l’”ancora” dell’altro.
Le sole “Ali” non bastano per poter volare
Non tutti, però, sono usciti con le stesse ottimistiche impressioni dal lavoro di restyling operato dalla nuova produzione. Se da un lato abbiamo chi è cresciuto ed ha imparato a “stare al mondo”, dall’altro abbiamo chi invece è regredito in modo forte, tornando ad essere quasi un bambino spaventato, che non è in grado di affrontare le sue paure e rimane “paralizzato” in una stanza buia, in attesa che l’”uomo nero” vada via. Quasi a fare da antitesi all’evoluzione di Danny e degli altri personaggi, infatti, c’è un’involuzione da parte del personaggio forse più propositivo, coraggioso e forte della prima stagione: Colleen Wing (Jessica Henwick). La bella partner/compagna di Danny qui, senza spoilerarvi nulla, non è più la maestra di arti marziali autoritaria, propositiva e determinata della scorsa stagione, ma è una donna più posata e timorosa. Si, è sempre pronta a dare tutta se stessa per il bene dei ragazzi della città, anche a costo di farsi male, ma con delle grosse limitazioni inerenti ad un’autentica fobia che lei sviluppa e sembra quasi non essere in grado di affrontare. Anche la giovane Wing si troverà invischiata in problematiche molto più grandi di lei, costretta a fare i conti con un passato che torna, in questa nuova stagione, a tormentarla, ed a prendere decisioni difficili, che rischiano di mettere a repentaglio tutto ciò che lei ha costruito, per cui lotta e per cui vive.
Una trama più matura
Di grande rilevanza è anche la qualità con la quale le vicende vengono narrate. La prima serie, seppur piacevole e scorrevole, era purtroppo tempestata da tantissimi momenti morti, che rendevano complicati alcuni passaggi e quasi inspiegabili alcune situazioni.
Qui, tutto questo sparisce. Vuoi per un numero di episodi ridotti (non più i classici 13 ma “solo” 10), o per un villain finalmente degno di tale nome, la seconda stagione di Iron Fist si lascia guardare dall’inizio alla fine come un vero e proprio treno in corsa, senza quasi mai annoiare o rallentare. Ognuno di questi episodi, da circa cinquanta minuti l’uno, offre un’ottima iniezione di informazioni, tutte calzanti e rilevanti e che vanno ad ampliare, approfondire e puntellare diversi aspetti sia a livello narrativo sia sul piano della costruzione dei personaggi. Nulla, stavolta, è stato lasciato al caso e seguire le vicende del giovane Danny Rand, di Colleen e di tutti gli altri, sarà un vero e proprio piacere.
Il giovane Danny, che vede la sua seconda avventura collocarsi cronologicamente poco dopo gli eventi della seconda stagione di Luke Cage e, parzialmente, dopo quelli di The Defenders (di cui quasi nessuno sembra volersi ricordare), è costantemente impegnato nella lotta contro la criminalità, un po’ per dovere verso la sua causa un po’ per la promessa fatta a Matt Murdock proprio nel corso della serie “collettiva” uscita la scorsa estate. Tutto l’impianto narrativo viene stravolto dal ritorno di Davos (Sasha Dawan) che, come visto già sul finale della prima stagione, sembrerebbe aver trovato nella bella e desiderosa di vendetta Joy una temibile alleata. La missione del “fratello”, ora nemico giurato di Danny, è quella di riprendersi ciò che ritiene suo: l’Iron Fist. Nel farlo, l’uomo non denigrerà alcuna strada, nemmeno quella più tortuosa e devastatrice, ma davvero non vogliamo rovinarvi l’avventura entrando nel dettaglio. Alla serie, poi, non mancano, ovviamente, le solite lotte tra fazioni rivali, cospirazioni, tradimenti ed alleanze dell’ultim’ora, tutte più o meno rilevanti ma sempre e comunque perfettamente legate tra loro. Non mancano nemmeno numerosi flashback che raccontano, con un ritmo cadenzato e piacevole, l’addestramento di Danny e Davos e la genesi del loro rapporto fraterno destinato, purtroppo, a concludersi nel peggiore dei modi.
Sia chiaro, qualche buco narrativo e qualche momento morto (specialmente nei primi due-tre episodi) c’è tutto, ma siamo ben lontani dalle problematiche della prima stagione e, soprattutto, dalle seconde stagioni non all’altezza delle aspettative di Jessica Jones e Luke Cage (per non parlare di The Defenders), che hanno deluso parecchio sotto l’aspetto sia narrativo sia del ritmo generale dell’avanzamento degli eventi.
Poche aggiunte, ma di valore
Grande parte del successo di questa seconda stagione dedicata a Danny Rand ed alla sua ricerca del suo posto effettivo all’interno dell’universo Marvel targato Netflix è merito non soltanto del lavoro di “restyling” compiuto andando a rielaborare il materiale già in possesso (dall’ottimo potenziale mal sfruttato), ma anche nelle varie aggiunte fatte, certamente non molte, ma di sicuro valore.
Per cominciare, e non potrebbe essere altrimenti, partiamo dall’introduzione di un nuovo, carismatico personaggio, che per tutta la durata della stagione è in grado di mantenere sempre alle stelle il suo apporto qualitativo alla serie. Parliamo, ma non entriamo nel dettaglio, del personaggio di Mary Walker (Alice Eve), capace di diventare sin da subito di grande rilevanza nella fruizione generale del racconto. A questo si aggiunge anche la presenza fissa (praticamente da regular della serie) del personaggio di Misty Knight (Simone Missick), la detective introdotta nella prima stagione di Luke Cage e divenuta, man mano, uno dei personaggi più carismatici dell’intero universo del fortunato binomio Marvel – Netflix. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una scelta azzeccata, con il personaggio di Misty sempre più vicino sia a Danny sia (e soprattutto) a Colleen, gettando le basi per un rapporto sempre più solido ed intimo. Non a caso, le due donne nei fumetti formano una coppia molto affiatata (conosciuta come le “Figlie del Dragone”), e siamo curiosi di scoprire quando (e se) tutto questo arriverà anche nella trasposizione televisiva.
Altro punto che, siamo sicuri, renderà felici tutti gli appassionati, è l’evoluzione generale subita dai combattimenti. Ora meno caotici e, soprattutto, meno inseriti a caso e quasi senza un perché, gli scontri appaiono certamente di un livello qualitativo molto migliore rispetto al passato. Un plauso anche a Finn Jones, attaccato con veemenza per la sua scarsa credibilità una volta iniziato un qualsiasi combattimento, perché ritenuto (forse giustamente) poco credibile, e che ora si dimostra certamente più a suo agio nei panni del guerriero. Certo, non siamo ancora sui livelli di Daredevil (sia per quanto concerne gli scontri sia per la bravura di Charlie Cox), ma il passo avanti c’è ed è enorme.
Il duro allenamento svolto da Jones ha dato i suoi frutti.
Da grandi scelte derivano grandi responsabilità
La nuova stagione di Iron Fist inoltre, ha saputo stravolgere pesantemente anche tanti di quegli equilibri solidi ed apparentemente inattaccabili.
Il rapporto tra Danny e Colleen, ad esempio, subirà pesanti scossoni durante il corso degli episodi e la curiosità nello scoprire come la situazione andrà ad evolversi è davvero tanta. Tutto questo è merito/demerito di una lunga serie di scelte che i due amanti saranno costretti a prendere, legate ancora una volta ad un passato che continua a bussare alle porte dei due giovani. Queste scelte, non sempre azzeccate o condivisibili, hanno comunque contribuito in modo sempre preciso ad indirizzare gli eventi in una direzione o nell’altra. Non solo loro due, però, sono costretti a scontrarsi con i loro fantasmi interiori. Anche Ward, Joy e lo stesso Davos saranno continuamente messi alla prova, andando a mutare la propria natura più e più volte, in alcuni casi raggiungendo dei punti di non ritorno asfissianti come non mai.
Non è tutt’oro quel che luccica (è l’Iron Fist)
Questa seconda stagione di Iron Fist, seppur superiore in tutto e per tutto alla prima ed a tutte le altre serie targate Marvel e Netlfix uscite di recente (ad eccezion fatta di The Punisher, probabilmente la migliore in assoluto), non è esente da difetti di sorta.
Il punto debole fondamentale è ancora una volta ritrovabile nell’antagonista che, seppur distante anni luce dal totale anonimato di Howard Meachhum, non raggiunge le vette qualitative delle altre produzioni, che hanno visto opporsi ai vari eroi dei cattivi come Kingpin, Killgrave e Cottonmouth. Davos è uno splendido personaggio, ma la sua scrittura sembra spezzarsi improvvisamente, fermandosi ad un passo dal raggiungimento di un livello superiore. A questo si somma anche una gestione forse troppo frettolosa dell’incipit narrativo che sarebbe potuto scaturire con gli eventi introdotti intorno all’ottavo episodio. Approfondendo in maniera più lenta e parsimoniosa il sopracitato materiale, magari in un eventuale terza stagione, siamo sicuri che ci saremmo trovati tra le mani un ottimo prodotto, castrato però, ancora una volta, dal timore di osare. E invece no, perché sul finale tutto il potenziale viene sprecato, con un paio di scene ai limiti del demenziale e che vanno a rispondere, forse troppo velocemente, a dei quesiti importanti e che avrebbero meritato un approfondimento più curato e soprattutto più longevo.
Verdetto
Iron Fist 2 è un atto di fede, un ringraziamento a tutti coloro che sono rimasti fedeli e fiduciosi nei confronti della produzione, al netto dei tanti punti deboli messi a nudo durante la prima (sfortunata) stagione.
La stragrande maggioranza dei punti deboli della prima serie qui scompaiono quasi del tutto, mostrando una qualità decisamente superiore sotto praticamente tutti gli aspetti. In primis c’è la splendida evoluzione (ma a noi piaceva tanto anche prima) di Danny, finalmente più maturo, consapevole e soprattutto degno del ruolo di eroe della città, ma anche quella dei vari Joy, Ward e, perché no, anche di Misty. Anche la trama figura tra i punti di forza della produzione, finalmente più sensata e caratterizzata da un villain di tutto rispetto, seppur non ancora sui livelli di cattivi come quelli visti in Jessica Jones o in Daredevil. Il ritmo generale è ottimo e i dieci episodi che compongono la seconda stagione si lasciano guardare con piacere (forse i primi due un po’ di meno) fino alla fine, per giungere però ad un finale forse un tantino frettoloso e che, in parte, va a sprecare l’ottimo materiale narrativo introdotto intorno all’ottavo episodio.
Non per questo, però, il finale non offre tantissimi spunti interessanti e che vorremmo vedere approfonditi in un’eventuale terza stagione di cui, al momento, però, non si sa ancora nulla.
Tirando le somme, comunque, ci troviamo di fronte ad un’ottima serie, capace di risollevare radicalmente le sorti di una produzione forse fin troppo bistrattata e (forse) ingiustamente additata come anello debole del binomio Marvel – Netflix.