Scopriamo insieme una delle figure più particolari nell’industria dei videogiochi giapponesi, sperando in un ritorno degno del suo nome: Tomonobu Itagaki
Nonostante sia un personaggio ormai fuori dai riflettori da un bel po’ di tempo e l’ultima sua creazione (Devil’s Third) non sia delle più memorabili, è innegabile che Tomonobu Itagaki sia uno dei personaggi più importanti nell’industria dei videogiochi moderna, soprattutto per quel che riguarda la sponda giapponese del settore. A lui infatti si devono le nascite di due grandi serie che tutti gli hardcore gamer conoscono bene, la saga 3D di Ninja Gaiden e il picchiaduro Dead Or Alive.
Il giovane Itagaki entra in Tecmo nel 1992, ed è inizialmente chiamato a lavorare sulla versione per Super Famicom di Tecmo Bowl, un videogioco di football. Sotto l’ala protettrice di Akihiko Shimoji, creatore delle serie Tecmo Bowl, e di Inose Yoshiaki, autore degli originali Ninja Gaiden per NES, Itagaki impara una lezione da subito, qualcosa che sembra banale e scontato, ma che per il nostro diverrà un vero e proprio mantra da seguire in ogni progetto: l’importanza di rendere qualunque esperienza videoludica realmente e genuinamente divertente.
Il primo progetto in cui metterà la sua reale personalità e che diverrà per primo il simbolo del particolare dualismo che lo caratterizza –ovvero talentuoso game designer da una parte, ed eccentrico personaggio sopra le righe dall’altra- sarà Dead or Alive, un picchiaduro che fa capolino nel mercato quando il genere cominciava ad affacciarsi alla terza dimensione, studiato appositamente per fare concorrenza al campione di Sega, Virtua Fighter.
Il gioco ebbe un discreto successo, suggellato e consacrato soprattutto con il secondo capito uscito nel 1999, Dead Or Alive 2. Le particolarità di questa saga si potevano riassumere in tre punti: tante protagoniste prosperose e bellissime, la condivisione dei personaggi con il nuovo canone di Ninja Gaiden (tra i personaggi infatti erano presenti due figure chiave come Ryu Hayabusa e Ayane) e un sistema di gioco velocissimo, con grande attenzione agli impatti, e una certa intuitività di controllo che nascondeva una non indifferente complessità di fondo. Lo sviluppatore avrà a che fare con la serie fino al suo quarto capitolo, compresi i coloriti spin off “vacanzieri” Xtreme BeachVolleyball. La cosa importante da ricordare però è che le caratteristiche che definivano la saga di Dead or Alive all’interno di certi precisi stilemi concettuali e stilistici, avrebbero caratterizzato in futuro il lavoro dell’autore e il suo successivo grande gioco, forse il più importante in assoluto: Ninja Gaiden, che vide luce nel 2005 in esclusiva su XBOX.
Itagaki era uno dei pochi autori giapponesi aperti al mercato occidentale in maniera propositiva e molto determinato a diffondere ad un pubblico diverso prodotti dall’identità tipicamente giapponese. Per questo è sempre stato molto orgoglioso della collaborazione con Microsoft. Su Ninja Gaiden poi, parliamoci chiaro, si tratta di un gioco che meriterebbe un articolo a parte talmente è importante, complesso e magniloquente il suo ruolo nella storia dei videogiochi d’azione. Ma visto che in questa sede siamo concentrati più sull’autore che sull’opera, per descriverla useremo proprio il pensiero di Itagaki. Egli infatti criticò molto non solo giochi come Heavenly Sword, ma anche titoli universalmente riconosciuti come cult, tra cui Metal Gear Solid 2 e Final Fantasy 10. Il minimo comune denominatore di tutti questi giochi per il nostro Tomonobu? Semplice: la scarsa interattività.
Ninja Gaiden rappresenta per il suo creatore l’antitesi di questo concetto: un titolo in cui il controllo del personaggio è totale, perpetuo, incensante, un gioco d’azione ad litteram, in cui tutto, dalla narrazione, alle eccentriche scelte stilistiche, alla violenza, è funzionale a quell’idea di divertimento che Itagaki poneva sopra tutto il resto. Lo potremmo quasi definire la versione “malvagia e metallara” di Shigeru Miyamoto in tal senso. Solo che a differenza dell’equilibrio quasi ascetico del noto papà di Mario nel definire la cifra ludica delle sue opere, Itagaki è sempre stato un cavallo a briglie sciolte, tanto geniale come designer quanto portato all’eccesso. Ninja Gaiden 2 in questo senso rappresentava un estratto purissimo di questa sua indole.
Un Ninja Gaiden ancora più difficile, ancora più depauperato da qualunque elemento strutturale esulasse dal puro combattimento, che in questo caso era ancora più veloce, ferale, violentissimo ma sempre inesorabilmente sotto il controllo del giocatore fino all’ultimo input, un controllo che per Itagaki era importante fosse sempre il più responsivo possibile. Ninja Gaiden 2 però rappresentava tutto il bipolarismo dell’Itagaki sviluppatore, quello che contraddistingue il classico dualismo genio e follia. Da una parte c’era tanta maniacale attenzione a fornire la migliore esperienza possibile in termini di gameplay, dall’altra scelte di design scellerate che andavano inesorabilmente ad intaccare la fruibilità di alcuni momenti di gioco, ma che per lui erano necessari ed insindacabili.
Iconica è la scalinata in cui il nostro Ryu Hayabusa deve affrontare decine di nemici insieme, un frangente di gioco epico, entusiasmante ma praticamente insostenibile per l’hardware di Xbox 360 che crollava in maniera vertiginosa durante quegli attimi di smembramenti, scintille e schermo pieno di sangue, frattaglie umane ed elementi in movimento. Qualcosa che avrebbe fatto riconsiderare la progettazione di quella sezione a qualunque sviluppatore, ma non a lui. Non a Itagaki, l’uomo senza compromessi. Degno di menzione è anche Ninja Gaiden Dragon Sword per Nintendo DS, uscito più o meno nello stesso periodo che sebbene non venne realizzato direttamente da lui, fu frutto delle sue intuizioni e ulteriore prova di come lo sviluppatore giapponese fosse portato ad uscire dagli schemi concretizzando visioni brillanti legate al gioco d’azione. Dragon Sword infatti era un Ninja Gaiden che si giocava con il pennino della console portatile Nintendo. Un titolo non solo unico nel suo genere e piuttosto coraggioso, ma anche dannatamente riuscito.
Dopo Ninja Gaiden 2, che nonostante tutto fu un capolavoro, la carriera di Itagaki è stata tutta in discesa. Ci fu una rottura importante con Tecmo che lo portò ad allontanarsi per sempre dall’azienda. Nel 2010 fonda Valhalla Game Studio e dopo mille vicissitudini legati alla malasorte di THQ che gli faceva da publisher, porta sul mercato Devil’s Third per Wii-U, che si rivela una delusione tanto per la critica quanto per la maggior parte dei videogiocatori. Da allora Itagaki è sparito dai riflettori, dedicandosi ad un percorso di supporto ai giovani promettenti sviluppatori e lavorando con essi dietro le quinte. Recentemente però, ha annunciato di voler tornare in prima persona a creare giochi, e di aver fondato un nuovo studio: Itagaki Games. Possiamo solo sperare che questo sia il primo passo verso un brillante ritorno creativo per Itagaki, perché il mondo dei videogiochi ha assolutamente ancora bisogno di titoli come i suoi. Non ci resta che incrociare le dita.