A quattro anni dalla sua scomparsa, riscopriamo le opere principali di Jiro Taniguchi
Jiro Taniguchi è uno dei mangaka più conosciuti e apprezzati in Occidente. In Francia è addirittura stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere. L’otaku medio, soprattutto se giovane, però, non lo conosce. In questo apparente paradosso risiede tutto il fascino di un maestro capace di incantare il mondo intero con tavole dettagliatissime e narrazioni che rendono straordinaria la vita quotidiana. A quattro anni dalla sua scomparsa vogliamo rendere omaggio a Jiro Taniguchi riscoprendo le sue opere principali, nelle quali ha sempre saputo trattare temi universali senza mai piegarsi agli schemi classici del manga mainstream.
Jiro Taniguchi: formazione e inizi
La lunga carriera di Jiro Taniguchi inizia come quella di qualsiasi altro mangaka: facendo da assistente a un nome già affermato. Il suo maestro Kyota Yoshikawa orbita nel mondo del neonato gekiga (lett. “immagini drammatiche”), un genere che si propone di raccontare con uno stile crudo e malinconico la vita quotidiana delle fasce più povere della società. La nota sovversiva e controcorrente di riviste come Kom e Garo lasciano il segno sul giovane Jiro, così come la poetica di Yoshikawa: l’amore per una natura selvaggia e invincibile e le tematiche sociali tornano più volte nelle sue opere. Come il maestro, inoltre, Taniguchi decide sin da subito di muoversi all’esterno degli schemi classici del manga per cercare una modalità espressiva personale e introspettiva.
Jiro Taniguchi: i disegni
Il fumetto, per definizione, è narrazione per immagini statiche. Jiro Taniguchi è un maestro in quest’arte: le sue tavole sono evocative e curate nei minimi particolari, con una definizione che va ben oltre il realismo. Il lettore si trova spesso in una sorta di contemplazione estatica, che allunga enormemente il tempo di lettura di ogni singola vignetta. I particolari, le piccole cose della quotidianità, si prendono il centro della scena e diventano i principali mezzi attraverso i quali la storia viene raccontata.
Sotto l’aspetto tecnico i disegni di Jiro Taniguchi prediligono tratti tondeggianti e realistici, ricordando a volte quelli di un altro maestro, Naoki Urasawa. L’altra influenza fondamentale è quella del fumetto francese, dal quale il mangaka di Tottori mutua le atmosfere sospese e i ritmi lenti. L’arte di Taniguchi è universale, come dimostra l’opera I Guardiani del Louvre: dipinti francesi, tavole a fumetti e pitture giapponesi vengono avvicinati per scoprire numerosi tratti comuni.
Jiro Taniguchi: le opere storiche
Nel corso della lunga carriera Jiro Taniguchi ha toccato ogni genere, ma ha mostrato un grande interesse per la storia del Giappone, mettendo avvenimenti realmente accaduti al centro di alcune delle opere più importanti. Ai tempi di Bocchan, scritto da Natsuo Sekikawa, narra la vita quotidiana del famoso scrittore Natsume Soseki e di altre quattro figure letterarie del Sol Levante. Il vero protagonista, però, è il periodo storico che fa da cornice. L’epoca Meiji (1868-1911) ha segnato la transizione del Giappone da uno stato medievale e isolazionista a una potenza industriale internazionale. L’atmosfera sospesa, tanto cara all’autore, è resa perfettamente nello stato mentale dei Giapponesi, divisi tra entusiasmo e scetticismo.
In Il Libro del Vento, scritto da Kan Furuyama, si torna invece alla metà del 1600. Lo shogun e l’imperatore inviano i propri guerrieri alla ricerca di antichi tomi che potrebbero cambiare la storia dell’arcipelago. Il ritrovamento di un oggetto del passato in grado di determinare il futuro torna più volte nelle opere di Taniguchi, come vedremo tra poco.
Jiro Taniguchi: autobiografia, famiglia, passato
Tottori, villaggio natale di Jiro Taniguchi, è anche l’ambientazione di Al tempo di Papà. Youichi, il protagonista, vi torna dopo quindici anni per il funerale del padre, ritrovando anche le proprie radici. Il viaggio è traumatico, poiché il suo trasferimento a Tokyo è stato in realtà una fuga dal genitore, sempre impegnato sul lavoro. La contrapposizione tra la grande città, con la sua vita frenetica, e Tottori, dove il tempo sembra essersi fermato, costituisce uno dei punti cardine del manga. Come succederà anche in altre produzioni, il protagonista riprende in esame il passato e le scelte compiute dal padre con una nuova consapevolezza, arrivando a comprenderne meglio le motivazioni.
Famiglia, passato e scelte sono al centro di un altro capolavoro di Jiro Taniguchi: Quartieri Lontani. Il quarantottenne Hiroshi prende per sbaglio un treno che lo trasporta indietro nel tempo e si ritrova nella propri città natale, a quattordici anni. Avendo mantenuto la propria coscienza di adulto inalterata, però, il protagonista compie scelte diverse da quelle della sua “vera” adolescenza e ottiene la possibilità di vedere il passato con occhi nuovi. Un’opera densa di nostalgia e rimorsi, capace di commuovere ed emozionare.
Jiro Taniguchi e l’elogio della quotidianità
L’uomo che cammina è forse il lavoro più rappresentativo della poetica di Jiro Taniguchi, il primo che consigliamo per approcciarsi al suo talento. Qui il disegno diventa davvero il centro del racconto: poverissime di balloon, le vignette costringono il lettore a contemplarle molto più a lungo del normale e godere dei minimi particolari. Il protagonista, infatti, non fa altro che camminare per la città, fermandosi qua e là ad ammirare paesaggi, scorci nascosti e prodigi della natura. L’uomo che cammina è una riscoperta, una riappropriazione della bellezza che sta nelle piccole cose quotidiane, di solito nascosta dalla frenetica routine che ci condanna ogni giorno. Un’esortazione a recuperare quella salutare sensazione di stupore infantile che tendiamo a perdere con il passaggio all’età adulta.
Jiro Taniguchi e il fascino della natura selvaggia
Jiro Taniguchi raccoglie l’eredità del maestro Yoshikawa in diverse opere che mettono l’accento sulla forza irrefrenabile della natura. L’alta montagna, in particolare, sembra catalizzare l’interesse dal mangaka di Tottori: dopo le storie brevi di K-Racconti ecco il mastodontico La vetta degli déi, tratto da un romanzo di Baku Yumemakura. Il fotografo amatoriale Fukamachi ritrova per caso, in un negozio di cianfrusaglie, una macchina fotografica che potrebbe dimostrare che la cima dell’Everest è stata raggiunta trent’anni prima di quanto si creda. Da questo episodio parte una storia densa di avvenimenti, in cui la natura dà prova della propria potenza assoluta: le vicende degli alpinisti coinvolti prendono spesso una piega tragica e proprio quando l’uomo sembra avere la meglio succede qualcosa che ribalta tutto. I numerosi flashback offrono invece uno sguardo sulla psiche dei personaggi e sulle loro motivazioni.
Jiro Taniguchi è sicuramente un mangaka particolare. La sua arte, così caratterizzata da ritmi lenti e atmosfere sospese, può essere mal digerita nell’epoca degli shonen sempre più frenetici e del consumo seriale. Se però riuscissimo ogni tanto a fermarci un attimo per godere dei piccoli particolari, come il volo di un uccello nel cielo o uno scorcio mai considerato prima del luogo in cui viviamo, probabilmente la nostra sanità mentale ne gioverebbe.