“La follia è come la gravità, basta solo una piccola spinta”
È il 1511.
In Europa affiora il genio di Raffaello, il Brasile ed il Madagascar vengono scoperte, e le guerre religiose impazzano. In mezzo a questo anarchico ordine storico, il teologo e filosofo olandese Erasmo da Rotterdam, decide di pubblicare, quasi a scopo ilare, un saggio che in poco tempo è divenuto uno dei pilastri della letteratura mondiale.
Un Inno alla Follia, dove è la stessa entità, mai del tutto astratta, a prendere la parola per diffondere il proprio verbo, arrivando ad influenzare milioni di persone.
Quasi 400 anni dopo, la signora Follia, decide di infiltrarsi nelle menti di Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson, offrendo loro un dono, un’idea, una malsana, folle e geniale fantasia. Da quella scintilla, da quella piccola spinta, nacque l’antagonista più iconico della storia dei fumetti e del cinema: il Joker, il re della follia.
Per l’iconico principe della risata sono state spese montagne di parole e fiumi d’inchiostro digitale per poter descrivere la geniale follia dietro uno personaggi più articolati e meglio costruiti nella storia della cultura pop, tanto da venir studiato, assieme alla sua controparte incappucciata, anche nelle università di criminologia americane.
Dalle origini dubbie, mai confermate realmente nelle sue apparizioni su carta e pellicola, il Joker è diventato in poco tempo una figura simbolo del camaleontismo criminale, figlio della follia totale che pervade il suo animo. Joker è il re della follia, non perché debba riprendere gli stereotipi macchiettistici di figure più o meno iconiche del passato, ma perché ne è l’esatta incarnazione.
In molti hanno provato a rappresentarlo degnamente, da Cesar Romero a Jack Nicholson, passando per Mark Hamill, Heath Ledger, Jared Leto e Joaquin Phoenix. Tutte facce della stessa poliedrica ed antieuclidea moneta, interpretazioni diversi della medesima identità.
Con i primi tre abbiamo visto l’aspetto più “fumettoso” e “cartoonesco”, dove giochi e trucchi erano degli espedienti per mettere in mostra la follia omicida del Joker, sempre pronto a seppellire le sue vittime con una teatrale ed agghiacciante risata. Mentre con Ledger abbiamo visto l’aspetto più maniacale, viscerale, tribale del pagliaccio di Gotham.
La creatura diretta da Christopher Nolan è un concentrato di pazzia e brutalità, un Joker anarchico devoto alla sua ignota crociata, pronto a tutto per schiacciare la quiete con il caos. La quintessenza dello squilibrio.
Un storia artistica che risulta essere un costante crescendo di “potenza” che raggiunge il suo culmine con una delle versioni più affascinanti, disturbanti e violente mai viste su carta: il Joker nato dalla penna di Greg Capullo.
Una versione talmente alienata dalla realtà e priva di senso etico e morale che non indugia a strapparsi la faccia per poi ricucirsela con pinze e graffette. Una bestia desiderosa di scoprire pelle e mostrare il sangue, i nervi e i muscoli. Il Joker qui, come nelle altre sue versioni, in preda alla sua lucida follia, ci mostra qualcosa. Squarcia per l’ennesima volta nella sua turbolenta vita, il velo di Maya e ci mette dinnanzi ad una società marcia e corrotta. Solo che non si limita a tagliare il filtro onirico che ci cela la realtà, ma si espone anche accoltellando Schopenhauer, perché la verità è brutale e violenta e non può essere mai fine a sé stessa.
Il re del crimine di Gotham è un benefattore tanto quanto la morte. Il primo ci mostra la realtà, la seconda ci toglie le sofferenze, solo che quest’ultima lo fa per “lavoro”, il pagliaccio no.
La pazzia del Joker è figlia della sua libertà, della sua anarchica gioia, perché, come ci ricorda Erasmo: “Eppure, ve lo assicura la Follia in persona, uno è tanto più felice quanto più la sua Follia è multiforme.”
Non c’è un trauma, non c’è un fidanzato abbandonato dalla compagna dopo essere stata sfregiata dai creditori, non c’è un gangster finito in una vasca di prodotti chimici, non c’è un comico sventurato, calpestato dal mondo, che ha scelto il mondo del crimine. Non c’è niente di tutto ciò alla base della schizofrenia del Joker.
Lui è così perché non può essere altro. Lui è così perché è un sano e gioioso messaggero della dea della discordia.
“ La natura del Joker è plasmata dalla follia, ed è essa stessa genitrice dello squilibrio. Un brodo primordiale di caotica irrazionalità”
Il signore del crimine di Gotham, il doppio della medaglia di Batman, non è altro che la parte più visceralmente complementare della rettitudine dell’uomo pipistrello. Non è un giustiziere schizoide alla Travis Bickle, né tanto meno un Drugo selvaggio come Alex DeLarge, ma il perfetto peso della bilancia della vita, la quintessenza dell’irrazionale applicato alla quotidianità. Una figura impossibile da caratterizzare o apostrofare se non tramite una gelida e tetra risata.
Joker non fa altro che porci costantemente dinnanzi ad un quesito: e se tutte le regole del quotidiano, tutti gli schemi che ci vengono prefigurati per il resto dei nostri giorni, non fossero semplicemente catene mentali volte a vincolare il nostro animo? E se l’irrazionale fosse il giusto, la quiete la reale tempesta, e l’anarchia la reale condizione umana?
Probabilmente nulla di quanto detto è vero, e paradossalmente anch’esso risulterà uno dei tanti sproloqui senza senso che ammorbano la realtà d’incastri che ci appartiene. In fin dei conti ci basta sapere che Joker e follia non sono sinonimi, ma entità inscindibili come anima e corpo, come Gotham e Batman, come morte e genio. E tutto ciò è abbastanza ilare, ma in fin dei conti sappiamo che sarà una risata a sotterrarci tutti quanti.