Sparito dai radar da diversi anni, l’ex grande promessa di Hollywood Josh Hartnett sembra pronto a tornare
Agli inizi del nuovo secolo, Josh Hartnett era considerato una grande promessa di Hollywood, in grado di monopolizzare di lì a poco lo star system. Il successo con Pearl Harbor di Michael Bay, la conferma del talento in un film pur controverso quale O come Otello di Tim Blake Nelson, ma soprattutto i ruoli da protagonista in Black Hack Dawn di Ridley Scott, Slevin di Paul McGuigan, Black Dahlia di Brian De Palma, oltre a un ruolo nel corale Sin City di Rodriguez, Miller e Tarantino, per un totale di quindici film da accreditato dal 2000 al 2006 (sedici con Il giardino delle vergini suicide del ’99), roba da far impallidire Alvaro Vitali nel pieno della carriera.
Eppure, su quella strada che appariva così spianata e in grado di portarlo al successo e a meritati premi, è apparso improvvisamente un muro dietro il quale l’attore si è nascosto per anni, eclissando il suo talento e ponendo un freno ad un’ascesa che appariva certa.
Ma dove finisce la sfortuna e iniziano le colpe? È sempre difficile dimostrarlo, tuttavia quel che è certo è che Hartnett, come molti altri colleghi, ha provato una sorta di amore e odio per il successo.
Potremmo far coincidere l’inizio della fine col rifiuto a interpretare Superman, poi andato a Brandon Routh (che pure non è che abbia giovato così tanto dal ruolo), ma già prima l’attore aveva avuto la tentazione di fare un passo indietro.
In una vecchia intervista sul The Guardian Josh Hartnett infatti ammise di aver pensato di rifiutare anche il ruolo in Pearl Harbor quando gli venne offerto. “Non volevo necessariamente che le cose cambiassero così tanto. Ero felice della fama che avevo e dei tipi di ruoli che stavo ottenendo. Allo stesso tempo, mi sono chiesto se non avessi soltanto timore che facendo Pearl Harbor sarei entrato in una nuova categoria di film-making per cui forse non mi sentivo pronto. Alla fine ho scelto di farlo, ma solo perché rifiutarlo sarebbe stato un atto basato sulla paura”.
Fu allora che la sua ritirata ebbe pian piano inizio. E le voci che circolavano di certo non lo aiutarono. Dopo Superman, si diceva che avesse rifiutato anche Batman di Nolan, sebbene in realtà si trattava solamente di una conversazione col regista britannico. Eppure a Hollywood iniziarono a guardarlo come qualcuno che stava sputando nel piatto doveva aveva mangiato, e anche bene.
“Così ho cercato di trovare film più piccoli dove lavorare e, nel farlo, ho tagliato i ponti con gli studios perché non partecipavo ai loro progetti. I nostri obiettivi non erano più gli stessi”, dichiarò l’attore.
Josh Hartnett decise di diventare attore mentre lavorava in un negozio di home video, grazie a film come Trainspotting, 12 Monkeys e I soliti sospetti. Iniziò a studiare recitazione alla State University di New York, ma quando scrisse una lettera al preside sostenendo che il sistema di valutazione soffocava la creatività degli studenti, venne espulso.
Poco male, perché molto presto avrebbe sbancato Hollywood. Alla fine degli anni ’90, già al suo arrivo Los Angeles quella che al tempo era la sua manager, Nancy Kremer, lo stava aspettando con circa 80 audizioni programmate in tre settimane, finendo dunque scritturato per Halloween – 20 anni dopo, The Faculty e Il giardino delle vergini suicide.
La stampa già stravedeva per lui. “Pronto per il decollo”, era la copertina della rivista People prima dell’uscita di Pearl Harbor. Il resto è storia.
Dopo la sovracitata full immersion di inizio anni Duemila, Hartnett tornò in Minnesota trascorrendo circa un anno e mezzo senza leggere una singola sceneggiatura. Aveva così tanto bisogno di staccare la spina, di riconnettersi con la sua vecchia vita che ricominciò persino a frequentare la sua ex fidanzata del liceo.
La carriera di Hartnett è stata vista come un fallimento soltanto perché non ha mantenuto le aspettative dello star system, quelle che la grande industria cinematografica aveva sognato per lui. Ma i sogni di Josh era ben diversi.
Sono passati ormai un bel po’ di anni, in cui l’attore di Saint Paul ha comunque proseguito la propria carriera tra film indie e cortometraggi, oltre a qualche apparizione in delle serie TV.
“I ragazzi che sono in cima sono terrorizzati dal fatto che qualcuno stia compiendo la scalata dietro di loro. Se questa è la tua vera ambizione, essere sempre in cima, passerai tutta la vita a guardarti le spalle. Io non ho mai voluto questo”, ha dichiarato l’attore a El Paìs.
Ha messo la vita al primo posto, ma adesso, con la maturità dei 40 anni, Josh Hartnett si sente evidentemente pronto per un ritorno al mainstream e a rimettere piede nello star system. A modo suo, un passo alla volta, e attraverso quello che vede come un porto sicuro, ovvero il regista Guy Ritchie.
Ritrovarlo sugli schermi – sebbene non nei panni del protagonista – in La furia di un uomo (Wrath of Man), disponibile su Amazon Prime Video, ci catapulta indietro di una quindicina d’anni, ma ci rende felici e probabilmente rende felice anche lui. Lo stesso Ritchie lo ha scritturato anche Operation Fortune: Ruse de guerre, che vedremo nel 2022 e che sancirà di fatto un ritorno ufficiale e, probabilmente, in pianta stabile. Nonostante Hartnett ci abbia insegnato che con lui nulla è certo, la grande fiducia che sta riponendo Guy Ritchie nell’attore sembra comunque darci delle garanzie.
Del resto ci sono altri casi illustri di star che, per svariati motivi, hanno visto spegnere su di loro i riflettori per molti anni per poi riaccenderli improvvisamente e con costanza, ottenendo risultati persino maggiori di prima: Robert Downey Jr docet, e chi lo sa che Josh Hartnett non intraprenda un percorso simile.