Su Netflix sbarca Ju-On: Origins e il risultato è sorprendente
Se il nome Ju-On vi è familiare, probabilmente è perché si tratta della saga horror più famosa in assoluto proveniente da Giappone. Innumerevoli infatti sono state le iterazioni dell’opera da quando ormai venti anni fa Shimizu realizzò il primo celebre capitolo cinematografico. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata e con lei sequel, reboot, remake e curiosi spin-off come La battaglia dei demoni. Nonostante quindi la storia della famigerata casa maledetta sia stata spremuta all’inverosimile (l’ultimo adattamento americano, The Grudge, risale solo a pochi mesi fa) evidentemente si tratta di un nome ancora forte a livello commerciale e per questo Netflix ci presenta oggi Ju-On: Origins, una serie che tenta per l’ennesima volta di portare in auge Ju-On.
Non faccio mistero di essermi approcciato alla visione con un certo scetticismo visto che la saga brancola nella mediocrità da diverso tempo, e troppe volte il suffisso “Origins” nella titolazione è sintomatico di pigro espediente per sfruttare oltre misura un universo narrativo con superflue storie di origini che raramente soddisfano. Eppure, al di là di ogni bassa aspettativa, questo Ju-On: Origins mi ha abbastanza stupito. Un po’ perché mi ha convinto della sua bontà -pur con qualche piccola riserva- e un po’ perché non è esattamente la storia di origine che mi aspettavo.
I 6 episodi da circa mezzora l’uno infatti non si propongono di raccontarci come è nata la maledizione della famosa casa infestata di Nerima a Tokyo, sebbene sia un tema che alla fine verrà comunque affrontato verso la fine della serie, bensì di narrare quali sono i presunti “fatti reali” che hanno ispirato Takeshi Shimizu a realizzare il primo film della saga.
L’aspirazione di Ju-On: Origins, abbastanza palesata dal disclaimer iniziale “gli eventi reali furono ben più spaventosi del film”, è quella di partire dallo stesso folklore per creare qualcosa di ancora più inquietante. Obiettivo che a mio avviso è stato raggiunto. La serie racconta un decennio di fatti e misfatti che ruotano intorno alla casa, dal 1988 al 1997. L’approccio è quanto mai interessante. Ancor più che nei film però, la casa maledetta è sì protagonista, ma rimane sullo sfondo delle vicende mentre ci si concentra per lo più su ciò che accade esternamente.
Il paranormale subentra dai primi istanti della storia, con una giovane attrice Haruka Honjo (Yuina Kuroshima) che racconta pubblicamente di sentire dei misteriosi passi nella sua abitazione, catturando subito l’attenzione di Yasuo Odajima (Yoshiyoshi Arakawa) scrittore e indagatore dell’occulto che deciderà di scoprire dove risiede la matrice di questo ed altri macabri avvenimenti che avverranno durante il decennio raccontato. La forza di Ju-On: Origins è di allontanarsi dagli archetipi classici horror con cui i film condensavano il tema portante della storia, ovvero il rancore immortale della spettrale figura di Kayako, che si palesava in maniera esplicita visivamente e concettualmente.
L’atmosfera che si percepisce in Origins è meno oscura ma ugualmente, se non più, inquietante, e si diffonde in maniera sibillina in tutto il quartiere di Nerima e anche oltre. Misteriose sparizioni, ragazze che subiscono stupri la cui vita successivamente tracolla miseramente, pedofili assassini, e storie di maternità (vero leitmotiv della storia) che finiscono nella tragedia. L’orrore viene raccontato attraverso fatti spietatamente umani, in cui aleggia una maledizione, un fantasma, che ci viene suggerito come “causa” ma rimane per lo più passivo spettatore.
Una serie intrigante con pochi inciampi
Da questo punto di vista, mi sovviene una facile analogia con la Derry dell’IT di Stephen King, in cui la figura sovrannaturale del clown Penny Wise in qualche modo si sovrapponeva in maniera allegorica con la malvagità che può risiedere nell’uomo parlando di una cittadina corrotta a livello spirituale. Allo stesso modo, l’incensante catena di brutalità alla luce del sole che vediamo in Origins, disturba lo spettatore proprio perché miscela il paranormale in maniera indefinita con eventi verosimili e apparentemente fuori dai confini della storia (in scena ci sono spesso televisori accesi su notiziari che riportano eventi tragici come quello di Cernobyl).
Il mood della serie Netflix Ju-On: Origins rimane quindi tetro e compassato per tutta la serie, senza ricorrere per forza ad artificiosi angoli oscuri di magioni spettrali o spaventose volti di fantasmi pronti all’aggressione. Eppure Origins non racconta qualcosa di diverso dall’opera originale, il rancore della triste Kayako come un virus infetta tutti quelli che per un motivo o per l’altro entrano in contatto con la sua abitazione, ma ritengo che con queste modalità e questi tempi narrativi, la storia sia più efficace.
Le scene di violenza estrema non mancano ma sono circoscritte a specifici e significativi momenti, i personaggi si moltiplicano episodio dopo episodio, in maniera talvolta disordinata, che potrebbe far perdere momentaneamente la bussola allo spettatore sul focus del racconto, ma attraverso due archi narrativi principali si portano le poche figure positive della serie (tra le quali lo scrittore Yasuo) a convogliare verso l’epicentro di tutto, in una fase finale che intreccia storie apparentemente distanti tra loro e porta ad un epilogo che come sempre in questi casi è tutt’altro che confortante, ma riesce comunque a dare rotondità all’intera narrazione.
La serie Netflix Ju-On: Origins non è perfetta, la sua scrittura implicita sovente causa qualche frangente di disorientamento o sequenza di montaggio un po’ strana. Il finale risulta inoltre sbrigativo e condito da alcuni effetti visivi davvero dozzinali. Ciò non intacca la sua qualità generale che adatta il soggetto originale al format seriale molto bene. Gli episodi non sono molti e hanno una durata contenuta, questo rende lo svolgimento degli eventi piuttosto denso, ma allo stesso tempo ha il respiro necessario per darci l’idea di”quell’effetto virale” che sta alla base della storia: il rancore che porta alla degenerazione del tutto.
Per chiudere, ho trovato gli interpreti ben sopra la media di tutti gli altri comparti che comunque rimangono più che dignitosi. Un esperimento inaspettatamente riuscito che speriamo non venga annacquato da altre ridondanti stagioni.