Non sapevo fosse già uscito il nuovo film dei Vendicatori…
Che l’universo cinematografico DC sia vincente solo sulla carta, e un po’ meno nei fatti, non dovrebbe essere un mistero. Nonostante le numerose controversie, scaturite più che altro dai gusti soggettivi dei fan, è innegabile come le più recenti uscite abbiano calamitato l’attenzione di un gran numero di commenti negativi tra cui, non ultimi, i nostri, che da sempre abbiamo riconosciuto in film come Batman Vs Superman tanta buona volontà, ma poca capacità di metterla in atto. Sarà forse proprio per questo che siamo arrivati a Justice League con moderata titubanza, consci che il film potrebbe essere un punto d’inizio (più che d’arrivo, a differenza ad esempio del corrispettivo marvelliano del primo Avengers) ma che anche per questo potrebbe essere minato da diversi problemi e difficoltà.
E dunque Superman è morto, e il mondo è andato per la sua strada. La criminalità è aumentata e il faro di speranza che era il kryptoniano è ormai uno spettro di un passato che sembra distantissimo. Proprio il fardello della morte di Superman sarà uno dei temi principali del film, tanto preponderante da mettere quasi in secondo piano la minaccia interdimensionale del nuovo villain, Steppenwolf, la cui realizzazione, per altro, è veramente sottotono, tanto sotto il profilo narrativo che visivo. Avremo quindi a che fare con una storia che cerca un mero pretesto per far unire le forze ai sei eroi della pellicola, capeggiati per altro da un Batman che, su imprinting Snyderiano, è forse uno dei personaggi di maggior pregio della pellicola (questo, almeno, fino al momento in cui si avvicenda il lavoro di Joss Whedon che ha concluso il film in vece del suo collega). Fintanto insomma che guardiamo la versione (e visione) di Snyder, ci troviamo ad interfacciarci con temi tanto cari al regista, e alla base dei suoi precedenti lavori in casa DC: l’inadeguatezza supereoirstica, la tragicità e il peso del fallimento dell’eroe, ma anche la sua caparbietà e la sua “redenzione”. Tutti spunti che si consumano nella prima parte del film, ove assistiamo tanto alle conseguenze dell’assenza di Sups (per altro anche attraverso un montaggio in rallenty dei titoli di testa molto bello e funzionale), quanto all’impatto che questi ha avuto su Batman, che è qui un personaggio che vive di un contrasto a dir poco fondamentale tra i limiti del suo corpo umano, praticamente in coda al gruppo composto da eccezionali super e meta-umani, e la propria inflessibile caparbietà, che lo porterà nella posizione di creatore ma anche di leader del gruppo, questo almeno finché qualcun altro di più idoneo non possa prendere in mano le redini della squadra.
Si fosse sviluppato solo su queste tematiche, se insomma si fosse sforzato di dare una ridefinizione più rotonda e completa ai suoi eroi, forse Justice League sarebbe stato un grande, grandissimo film, ma è nella costruzione dell’opera assieme a Whedon che il tutto miseramente inciampa e cade. La continuità è qui meramente dettata dal montaggio che per quanto buono e funzionale alle due ore di pellicola, non riesce proprio a mettere una pezza alle due anime dell’opera. Quella cupa e riflessiva di Snyder, quella più colorata e caciarona di Whedon. Passato il testimone dal primo a secondo si nota innegabilmente un cambio di rotta. Le tematiche si afflosciano, e gli eroi stessi perdono la loro aurea epica per cercare una più comoda e spiritosa leggerezza. Mutano le tecniche registiche, ma soprattutto la fotografia, che nella seconda metà del film passa dai cupi scorci metropolitani di Snyder agli scenari più colorati e chiari di Whedon. È come se qualcuno avesse fuso due film diversi ma con gli stessi attori e questo, purtroppo, finisce per pesare non poco sul risultato finale.
Se non fosse un mero problema di estetica, realisticamente non percepibile a tutti, è proprio nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi che troviamo il più grande inciampo di Whedon. Justice League finisce per diventare un carrozzone di stereotipi ereditati dai Vendicatori. Anzi, non fatichiamo a credere che qualcuno completamente a digiuno di fumetti farà la stessa elementare associazione. Passare da un Batman cupo, riflessivo e assolutamente Milleriano ad una versione imbolsita e goffa di Tony Stark (per inciso: la battuta sul fatto che il superpotere di Batman siano i soldi non fa più ridere più o meno da quando esiste Reddit) è semplicemente imbarazzante. E l’imbarazzo è da ricercarsi nella vittoria del botteghino che ha, in ultima istanza, decretato il fallimento del progetto autoriale dell’universo cinematografico DC. La ricerca perpetrata ad oggi per costruire film con un vago sottofondo autoriale, e che dunque fossero demandati alla visione del regista (come, per altro, è stato recentemente per la Wonder Woman di Patty Jenkins), si trasforma qui in una mera corsa alla copia della concorrenza. Lavoro per altro semplice, visto che proprio a Whedon dobbiamo lo straordinario successo del primo Avengers. Per quanto controversa, per certi versi grottesca e cupa, la visione che Snyder aveva regalato ai suoi primi due film era qualcosa di privato e personale, facente parte di quella che doveva essere la filosofia del cinema DC, per sua stessa ammissione desideroso di prendere le distanze dalla bagarre fumettosa dei Marvel Studios.
Invece con Justice League assistiamo ad un netto passo indietro, tale che quello che vedrete al cinema è, semplicemente, l’ennesimo cinecomics dell’anno, praticamente sovrapponibile per buona parte di svolgimento e filosofia a qualunque film a tema supereroi che non scelga una sua personalissima strada (la qual cosa si conta ad oggi per pochissimi lavori: primo su tutti Deadpool). Persino il Thor di Waititi è autorialmente una spanna sopra Justice League, l’errore lì, semmai, era l’aver scelto di abbassare tremendamente il livello dello sviluppo infarcendolo di riferimenti alle scuole elementari, qui lo sbaglio è altrove e va compreso che la differenza non si basa su chi conosce la battuta più spiritosa, semmai a chi sa raccontarcela meglio. Come sia sia, battute spiritose ce ne sono, demandate per altro praticamente al solo Flash (anche qui nulla più che una fusione tra il Quicksilver di Evan Peterson e il più recente Spiderman di Tom Holland) ed è innegabile che nella visione di Whedon funzionino, tuttavia nel complesso è tutto un po’ straniante e occorre forse mettere da parte i primi (e ben più ispirati minuti) per digerire la deriva chiassosa che il film prende e con cui conclude senza remore.
Gli altri personaggi, del resto, ad esclusione di Wonder Woman, non si comportano meglio. Gal Gadot è semplicemente meravigliosa, ormai più che nei panni di Diana Prince, è una Wonder Woman con tutti i crismi. Carismatica, dura, umana ma comunque divina, persino in abiti civili. Enfatizzata dal suo ruolo di browler al femminile è quella che mena le mani più di tutti, mantenendo una grazia e uno stile ammirevoli, tali da richiedere (quasi) la visione immediata di un secondo film. In fanalino di coda Momoa con il suo Aquaman esteticamente cazzuto e fighissimo nei suoi richiami alla versione novantina di Arthur Curry, ma purtroppo vincolato ai momenti da “duro carismatico” con cui l’attore sembra ormai intrappolato dai tempi di Khal Drogo. Cyborg, la cui prova attoriale commentiamo con un sintetico “non pervenuto” è in ballo per meri motivi di trama e resta, tanto esteticamente quanto narrativamente, un personaggio di rara inutilità. Dimenticabile.
Ma allora perché il film resta sufficiente? Perché complice un montaggio serrato e funzionale, il film si lascia godere, scorrendo in avanti come una run fumettistica chiassosa in stile “maxi evento estivo”, in cui le pretese narrative sono superflue come in un porno, ed è sufficiente dare un’altra occhiata ai propri beniamini (specie se infervorano una certa fetta di pubblico maschile e femminile) per concludere la proiezione con un applauso scrosciante e una standing ovation. “Che cazzo vi applaudite?” mi verrebbe da dire. A sto punto Indiana Jones e il teschio di cristallo è un fottuto capolavoro. Ma questo è un problema tanto di pubblico quanto di critica, non si sa bene perché, scarsamente a suo agio con i fumetti al cinema. Come se un film di Spiderman, per dire, non possa costruirsi e cercasi una sua dignità semplicemente perché deriva da un modello narrativo che per taluni non ha nessun contenuto di spessore, nessun aulicismo. Occorre comprendere che la godibilità di un film può esulare dai suoi pregi, e viceversa. E quindi capire che Justice League è un film che complessivamente funziona, ma che nelle sue parti, nelle sue unità, è così minato da incertezze e irregolarità da non poter sopravvivere degnamente ad un’analisi a tutto tondo. In sostanza Justice League è un enorme vorrei ma non posso. Poco più che sufficiente in termini di mero intrattenimento da divano, del tutto glissabile nella sua volontà di costruire un’epica solida e funzionale. Addirittura apocrifo se si pensa a quello che DC ha dichiarato per anni in termini di supereroi al cinema.
Nonostante tutto resta, incredibilmente, sul podio dei migliori film DC confezionati fino ad ora. Un podio su cui ci finisce roba come Suicide Squad, e che restituisce un andazzo piuttosto chiaro di quanto sgangherato sia il progetto della DC cinematografica, costantemente minata da goffaggini e incertezze tali da azzopparla ad ogni uscita. Che questo sia un punto d’inizio nuovo, dunque, è ipotizzabile per meri motivi di continuity. Per tutto ciò che concerne invece il profilo narrativo e soprattutto produttivo, DC si trova sempre più indietro rispetto alla concorrenza. Manca una visione totale, un progetto di costruzione che in modo certosino dia ad ogni eroe una sua precisa identità che non sia invece demandata ad un vezzo registico. Paradossalmente, se il tutto fosse rimasto a Snyder, complice la sua visione controversa ma concreta della direzione che questi eroi avrebbero dovuto prendere, avremmo forse visto un film più complesso e sfaccettato ma forse meno godibile, così come se fosse stato un film di Whedon, avremmo avuto una copia a tutto tondo dei Vendicatori, ma senza altro da raccontare se non un doveroso cambio di costumi.
Verdetto
Nel suo dualismo improbabile e forzato, Justice League in sintesi funziona, ben inteso che soffre di ogni cambio di rotta, inquadratura, stile e toni, secondo quelli che sono gli stilemi e i gusti dei due registi che lo hanno creato. Il cruccio più grande è quindi il modo diseguale con cui le due ore di film vengono offerte al pubblico, tra un prologo fighissimo, uno svolgimento raffazzonato e un finale semplicemente dimenticabile. In questo film assistiamo ad un Batman a cui non manca il coraggio di crederci fino alla fine. Un Batman che nonostante tutto ci prova con tutte le sue forze e che è pronto, in ultima istanza, a morire per amore del proprio ideale. Ecco, DC dovrebbe imparare dal suo stesso personaggio, che da solo ha molte più palle di quante non dovrebbero avere gli autori che devono venderlo.