In realtà tutto ebbe inizio negli anni Novanta
opo la wave anni Ottanta, siamo già da un po’ immersi in quella anni Novanta (non è assolutamente dovuto al fatto che in questi anni i nati in quel decennio stanno diventando trentenni, no), caratterizzati da eventi e mode che li hanno resi iconici e peculiari.
Non dovrebbe stupire quindi la nascita, a suo tempo, di un fenomeno letterario che vede le sue radici proprio in un periodo in cui la tecnologia inizia a fare quei primi passi che porteranno poi alla sua evoluzione in quanto a condivisione di dati, messaggi e contenuti cui ora siamo quasi assuefatti: i keitai shōsetsu, letteralmente romanzi per cellulare, hanno origine proprio qui, tra tastierini in T9, simboli e punteggiatura usati per creare emoji e racconti dall’atmosfera drammatica ed emotiva.
Sostanzialmente, questa nuova forma letteraria ha origine grazie alla diffusione dei cellulari, che si affermano negli anni Duemila quando noi giovanissimi nati del decennio precedente iniziavamo a scambiarci i primi SMS, in maniera più o meno parsimoniosa. Questo genere di romanzo è fatto apposta per essere distribuito solo su dispositivi portatili e consiste dunque in composizioni che, nella forma, sono molto simili a lunghi SMS (o mail, che in Giappone venivano usate come SMS prima dell’avvento di app come LINE).
Ciò che ne ha permesso la diffusione oltre la propria cerchia ristretta di amici è stato un software nato, guarda un po’, sempre negli anni Novanta: Mahō no iRando, L’isola magica, offriva agli utenti la possibilità di creare vere e proprie homepage da cui scaricare direttamente i capitoli del romanzo. Questo sistema di divisione in capitoli ricorda il fenomeno precedente e già affermato degli shinbun shōsetsu, ovvero l’uscita di un capitolo alla volta sul giornale, in una pubblicazione dunque serializzata che manteneva viva l’attenzione fino al capitolo successivo e del tutto simile a quel che è avvenuto anche in Occidente con grandi nomi della letteratura occidentale (Charles Dickens e H. P. Lovecraft per citarne un paio).
Nonostante siano bistrattati e mal considerati dai grandi autori contemporanei, in realtà vi si possono individuare anche aspetti comuni alla letteratura più classica, fino addirittura al Genji monogatari (che ha praticamente influenzato qualunque cosa scritta successivamente, come la nostra Divina Commedia): come la più grande opera di narrativa giapponese, anche i keitai shōsetsu hanno un particolare stile di scrittura e l’identità dei loro autori è perlopiù sconosciuta, come fu per la dama Murasaki Shikibu. Ma le influenze non si fermano qui.
I temi e le caratteristiche
Questi romanzi, infatti, hanno in comune anche un tratto dei cosiddetti shishōsetsu: questo genere, nato nel periodo Meiji, si distingueva per la loro natura confessionale, poiché i fatti narrati potevano corrispondere agli eventi realmente vissuti dall’autore. Può darsi che anche molti degli autori anonimi di keitai shōsetsu traessero ispirazione dalle proprie vite, specialmente quando vi erano tematiche riguardanti l’amore, la perdita e la vita in generale e che per questo i lettori si sentissero particolarmente coinvolti.
Una delle cose che li contraddistingue di più è, come anticipato, il linguaggio con cui sono scritti, molto differente dagli stili più comuni: proprio perché nati e distribuiti su cellulare, i keitai shōsetsu hanno una prevalenza del katakana (l’alfabeto con cui in giapponese si traslitterano termini occidentali) e soprattutto la presenza massiva di linguaggio da messaggistica istantanea, con abbreviazioni delle parole in codici numerici (ad esempio la parola sankyu, cioè la pronuncia alla giapponese di Thank you in inglese, viene codificata con i numeri 3 e 9 che in giapponese si pronunciano proprio san e kyu) ed emoji create con simboli e segni di punteggiatura (come le cosiddette kaomoji che riproducono espressioni del viso stilizzate, molto usate soprattutto dalle ragazze).
Molto più di semplici fanfiction
Insomma, il keitai shōsetsu è una sorta di specchio generazionale in tutto e per tutto, tanto nei contenuti quanto nello stile. I più amati sono diventati dei libri cartacei e dei veri e propri best seller. Un esempio iconico è il famosissimo Densha Otoko: non si tratta di un testo volutamente scritto per essere un romanzo, ma diventò tale (oltre a essere trasposto in un film, manga e serie tv) in quanto il suo autore, Nakano Hitori (gioco di parole per indicare “uno di noi”) condivise una sua esperienza su un forum, grazie al quale la storia si è evoluta prendendo determinati sviluppi.
L’utente 731, infatti, suddetto Nakano Hitori, salva una ragazza dalle molestie di un tizio ubriaco, pur essendo un tipico “otaku di Akihabara” che se ne sta in disparte. Per tutti i membri del forum allora egli diventa il Densha Otoko, l’Uomo del Treno, e questi gli saranno di supporto quando lui vorrà invitare la ragazza a cena, dopo che lei si è sdebitata dell’aiuto facendogli un regalo.
Di conseguenza il keitai shōsetsu, nascendo in un contesto di comunità, rende partecipi i lettori in modo naturale: questi possono scrivere agli autori delle loro storie preferite e suggerire il proseguimento della trama, riuscendo a volte a influenzare le scelte narrative degli scrittori anonimi.
Tale coinvolgimento mi ricorda in modo molto personale la scrittura di fanfiction, attività che ho svolto con grande passione nel periodo tra medie e liceo. Su un sito ancora oggi esistente dedicato a questi racconti amatoriali, che prendevano in prestito personaggi o ambientazioni di altre opere più famose, condividevo i miei racconti e ricevevo commenti con impressioni e speranze dei miei lettori per i risvolti della storia. Si creava un senso di intimità particolare con persone del tutto sconosciute che però dimostravano di tenerci alla tua storia e che ti spingevano dunque a proseguirla nel modo migliore, per riuscire ad accontentare anche le loro aspettative. Lo stesso avveniva e avviene con i keitai shōsetsu, nei quali i lettori percepiscono il loro contributo e perciò sostengono anche la loro eventuale pubblicazione comprando una copia cartacea.
In questo caso, però, si va oltre la fanfiction: i personaggi sono originali e veri, le esperienze spesso reali e l’autore non è unico ma potenzialmente un’intera community è partecipe, attiva e affezionata. Il mezzo dei keitai shōsetsu mantiene ancora vivo, a modo suo, l’interesse per le storie, che sono così radicate nella cultura giapponese da secoli ma che stanno perdendo terreno tra le generazioni più giovani che leggono sempre meno. Dunque, nonostante i detrattori e il dibattito, personalmente non ritengo si debbano escludere dal concetto di letteratura, che da sempre ha subito trasformazioni e passaggi tra correnti con intenti sempre diversi ma con un unico scopo: trasmettere messaggi che fossero comprensibili e assimilabili dai destinatari di quelle storie. E in questo senso mi sembrano più che mai corrette le parole del critico Nobuyuki Okuma: “la letteratura non è un immortale decreto scolpito su di una lastra di pietra eterna, ma è una forma di vita creata e sviluppatasi insieme con il lettore”.