Kena: Bridge of Spirits è l’opera prima di Ember Labs per PC e Playstation che ha il sapore dei bei film d’animazione
Normalmente quando si parla di giochi che “sembrano film” lo si fa o con fare denigratorio (non c’è abbastanza azione, intendendo stupidamente il videogioco come utile solo quando intrattiene), o con fare esaltatorio per nobilitarne alcune soluzioni registiche che richiamano un certo dinamismo (cinematografico) che a quanto pare il videogioco non può rappresentare con i suoi soli mezzi.
Posta la pochezza di entrambi gli approcci appena descritti, Kena; Bridge of Spirits non è “cinematografico” per nessuna di queste ragioni. È cinematografico perché da un certo tipo di cinema d’animazione in CGI americano riprende lo stile, il gusto, il tratto e le tematiche. Ember Lab è infatti uno studio che prima di gettarsi nello sviluppo di videogiochi – Kena: Bridge of Spirits è la sua opera prima – si è cimentato proprio con l’animazione in computer grafica, con risultati apprezzabili ed evidenti anche semplicemente osservando le scene di intermezzo del gioco e il design generale di questo action adventure un po’ vecchio stile.
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Kena: Bridge of Spirits si presenta infatti come un’avventura piuttosto lineare, piena di segreti e fondamentalmente strutturata in un alternarsi di puzzle, combattimenti e platform. Il risultato è più che promosso, perché nonostante Ember Lab non voglia reinventare la ruota riesce a far convivere eccellentemente tutti gli elementi che pone sul piatto, decorandoli con un impianto stilistico sublime e una narrativa toccante e delicate, per non dimenticare il sontuoso lavoro grafico. Il gioco ci mette nei panni di Kena, una figura sciamanica che ha il compito di guidare le anime dei defunti verso l’aldilà che si ritroverà in un villaggio deserto, consumato da mostruose piante velenose, con l’obiettivo di svolgere il suo lavoro e riportare la pace agli spiriti inquieti.
Conosceremo così alcuni abitanti del villaggio e i loro sforzi verso la comunità, ma anche le loro relazioni e infine il male che è stato fatto alla natura. Il viaggio di Kena è un viaggio che parla la lingua dell’animazione contemporanea, mantenendone la delicatezza ma anche le tematiche: l’amore, l’affetto sia di coppia sia familiare, il rapporto dell’uomo con la morte e il rapporto della società con la natura sono così trattati in maniera opprimente ed evocativa, senza però mai sfociare nel didascalico, lasciando il racconto svolgersi su più piani di lettura, preferendo la metafora sfumata al dramma sbattuto in faccia.
L’estetica orientaleggiante è a sua volta figlia delle ispirazioni estetiche, ma anche perfettamente coerente alla delicatezza con cui il racconto si dipana e si svolge, senza troppi colpi di scena ma con un ritmo sempre perfettamente bilanciato.
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La struttura di Kena: Bridge of Spirits è infatti molto semplice, vecchia scuola se vogliamo: c’è un hub centrale dal quale si diramano due aree distinte (più una terza) che dovremo esplorare per scoprire cosa è successo a specifici membri del villaggio. Il gioco è piuttosto lineare, con aree abbastanza ampie da esplorare per trovare tutti i segreti e, soprattutto, tutti i Rot, le simpatiche creaturine che abbiamo visto in tutto il materiale promozionale dedicato al gioco. Trovando e aggiungendo al proprio party i rot aumenteremo di livello, sbloccando nuove abilità di combattimento ma soprattutto saremo circondati da sempre più creaturine carine. Che non è mai un male.
Il gioco prosegue sciolto alternando fasi di platforming e arrampicata con la risoluzione di semplici enigmi, intervallando tutto con una serie di arene di combattimento. E anche se non si direbbe, il combattimento è un elemento estremamente importante in Kena: Bridge of Spirits, ed è anche difficile spesso! Non è certamente “Il Dark Souls dei giochi con le creaturine carine”, ma le boss fight soprattutto richiedono un discreto studio dei pattern dei nemici e delle buone capacità di schivata e parata, oltre a una certa reattività nell’attaccare.
Gli avversari sono abbastanza variegati per un gioco di questa durata (circa 10/12 ore), ma quello che è interessante notare è come ogni potere che acquisiremo avanzando nella storia è funzionale a scontrarsi con specifici tipi di nemici, rendendo così gli scontri non soltanto un gioco di schivate e attacchi ma anzi, una continua ricerca della soluzione migliore per esporre il punto debole dei nemici stessi.
L’elefante nella stanza però, dopo i tanti trailer che mostravano un impianto tecnico quasi incredibile per un team indipendente e al suo primo lavoro, è proprio la resa grafica del gioco. Che non delude, anzi!
Kena: Bridge of Spirits è veramente uno spettacolo da vedere, forse solo un po’ statico in alcuni elementi della vegetazione. Per il resto la messa in scena è grandiosa, i personaggi non sfigurerebbero in una pellicola d’animazione per qualità e quantità di dettagli e gli scenari brillanti fanno sognare un mondo da esplorare (abbiamo provato il gioco su PC con tutti i dettagli al massimo, ndr).
Correre nei prati, alzare scudi di luce o lanciare frecce di energia restituisce sempre quella sensazione di magia anche grazie al lavoro fatto dal team artistico e tecnico di Ember Lab, a cui sicuramente non si possono muovere critiche sotto questo profilo.
È veramente difficile trovare difetti in questo Kena: Bridge on Spirits. Certo, non inventa nulla di nuovo, non rivoluziona il videogioco né fa niente di più di quello che ci si aspetterebbe da un action adventure dal gusto un po’ vintage.
Quelli che però erano gli obiettivi degli sviluppatori, quello che volevano comunicare e verosimilmente quelli che ritenevano essere i loro punti di forza su cui investire sono tutti presenti e vibranti nel gioco, che rapisce per il tempo necessario al completamento e spinge sempre a cercare un segreto e poi ancora un altro segreto, anche solo per il gusto di rimanere qualche minuto in più in quelle lande senza tempo.
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