Da Le Superchicche a Kid Cosmic, Craig McCracken continua a giocare con i supereroi d’animazione
Ci sono dei cult anche tra i cartoni animati a cui viene riservato un posto d’onore nella memoria di generazioni di ex infanti.
Fenomeno tra i fenomeni sono state Le Superchicche che, nate da un pizzico di zucchero, di cannella e di ogni cosa bella ci sia, hanno “conquistato il mondo prima di andare a nanna” e fatto la gloria dell’ideatore Craig McCracken, che se già nel 1996 aveva cominciato a far parlare di sé con Il laboratorio di Dexter, nel 1998 raggiunge una notorietà tale data proprio da quell’empowerment rafforzato dal terzo femminismo che ha caratterizzato le sfide e le battaglie delle sue bambine-supereroine protagoniste.
Nell’era contemporanea, però, dove la distribuzione diventa frammentata e, soprattutto, le serie animate per adulti hanno preso il sopravvento derubando un po’ la natura fanciullesca del genere televisivo, è ancora una volta McCracken ad offrire uno degli espedienti più appassionanti per i piccoli spettatori, facilmente trasferibile a una schiera di pubblico adulto, il quale può scegliere di dedicarsi a visioni non convenzionali e dalla bellezza infantile.
Rispetto ai canali via cavo, però, cambia la piattaforma, dato che Craig McCracken approda direttamente su Netflix assieme ai suoi collaboratori Lauren Faust e Francisco Angones, andando divertendosi nuovamente con elementi supereroistici come quelli inseriti nella serie Kid Cosmic.
Kid Cosmic e le gemme del potere
Se il successo di McCracken mescolava l’irrealtà dei poteri a un universo in cui le superchicche svolgevano il loro ruolo da salvatrici della città, nel cartone che dà anche nome al suo stesso protagonista è l’ispirazione in se stessa a voler far ricoprire il ruolo di eroe al ragazzino protagonista, quella volontà di essere “super” ad ogni costo che pervade ogni puntata del prodotto seriale.
Un espediente che si accosta alla perfezione al concetto contemporaneo dell’importanza riservata al supereroe nella società, che non è più solo figura finzionale, ma possibilità concreta di ricoprire un mestiere inusuale di cui si sono apprese le mansioni passando le giornate a leggere pile di fumetti e guardando i personaggi combattere in tv.
Poteri che il Kid Cosmic del cartone acquisisce con delle pietre che la nostra memoria da spettatori riconduce immediatamente a quelle gemme assai più famose che hanno attivato l’universo Marvel per la loro conquista.
Un rimando casuale, forse, o un riferimento ben specifico che instaura un collegamento meta-testuale all’interno di un’operazione animata le cui premesse sono, è doveroso ammetterlo, sicuramente viste e sdoganate, ma che la tenerezza del prodotto riporta con una dimestichezza tale da generare verso il cartone una genuina affezione.
Il desiderio di essere speciali
Prima di tutto è nell’incanto dietro al discorso della necessità di mostrarsi come salvatore che la serie smuove l’animo del pubblico totalmente empatizzante nei confronti di quel bambino il cui unico scopo è, inconsciamente, rimediare a una perdita che lo ha travolto rinchiudendolo direttamente nel proprio mondo di fantasia.
A cui va aggiungendosi, con gli stilemi del racconto d’animazione, il rapportarsi a quegli insegnamenti che in Kid Cosmic hanno sempre quel sottofondo surreale, la comicità bonaria, la meraviglia di chi non si lascia spaventare da un’invasione aliena, ma va vivendola come opportunità per rendersi utile agli occhi della propria cittadina e dei suoi amici.
Se Shazam! finiva involontariamente per diventare un campione e i personaggi della trilogia di Unbreakable si convincevano di essere supereroi, se il nuovo Spider-Man di Tom Holland abita in un mondo dominato dalla celebrità degli Aveng0ers e il suo corrispettivo nel multiverso dimostra che ci sono più Uomini Ragno in circolazione, in Kid Cosmic la follia arriva dalla parte animata che riflette sulle osservazioni della nostra realtà.
Un cartone buffo, dall’intrattenimento avvincente, con una squadra di supereroi locali e un sentimento di fondo tanto dolce che ha come scopo quello della comprensione: è normale volersi sentire speciali, sia per se stessi che per gli altri.