Sedici anni dopo i cloni di Non lasciarmi e a quattro anni di distanza dalla vittoria del Nobel per la letteratura, Kazuo Ishiguro torna in libreria con Klara e il sole, una storia di amicizia artificiale e amori reali
Klara è una AA, Amica Artificiale. Klara è un robot, un’androide dai capelli corti e neri, un modello B2 con una straordinaria propensione per l’osservare i più piccoli particolari. Klara è empatica e altruista, l’amica perfetta. Klara è la protagonista del nuovo romanzo di Kazuo Ishiguro – il primo dopo il premio Nobel del 2017 – che si intitola proprio Klara e il sole ed è pubblicato in Italia da Einaudi. Dopo più di tre lustri Ishiguro torna a quella soft-sci-fi che gli ha permesso di scrivere Non lasciarmi e lo fa indagando la solitudine del cuore umano.
Close your eyes / Clear your heart / Cut the cord
La storia che sorregge le quasi trecento pagine di questo romanzo è sottile, una storia che potrebbe essere messa in scena in un piccolo teatro sperimentale: poche attrici e attori, poche scenografie, un’atmosfera che accompagna la persona che legge a voltare ogni pagina non tanto domandandosi cosa succederà dopo, ma perché succederà. Conosciamo Klara nel negozio di AA, in attesa del suo turno per sedersi sul divano in vetrina; vediamo Josie per la prima volta attraverso il vetro che la separa da Klara e non sappiamo niente di lei – niente sa Klara di quella che diventerà la sua bambina; solo a poco a poco scopriamo, attraverso gli occhi dell’androide, chi è Josie, chi è sua Madre, i vuoti che si celano nel loro cuore e le ferite che sono disposte a infliggersi per cercare di riempirli.
“Tu credi al cuore umano? Non intendo semplicemente l’organo, è ovvio. Parlo in senso poetico. Il cuore umano. Tu credi che esista?” È il padre di Josie, Paul, a rivolgere questa domanda a Klara. Klara un cuore non ce l’ha, ma come l’uomo di latta al cospetto del meraviglioso mago di Oz, scoprirà di contenere dentro di sé tutta la generosità, l’altruismo e la gentilezza che servono per restare un’amica fedele per Josie anche quando sarebbe più vantaggioso, per lei, smettere di credere, smettere di sperare.
Klara e il sole è infatti un romanzo che ruota intorno a due punti fissi: la speranza e la solitudine. L’ingenuità di Klara, un’assenza di pragmatismo che sfocia in un culto taumaturgico del sole, è il motore che muove gli eventi principali della narrazione: Klara, soggetto – e non oggetto – della narrazione, affida la guarigione di Josie al sole – entità reale che va a dormire ogni notte dietro il fienile di Mr McBain e con cui l’androide dialoga a cuore aperto in due occasioni.
Gli errori delle vecchie generazioni
Josie è malata. Non sappiamo come, ma sappiamo perché: in questo mondo simile al futuro generico che ci si immagina quando si pensa al mondo immediatamente successivo alla nostra morte, l’editing genetico in gravidanza è non solo permesso ma anche caldeggiato e ai bambini potenziati sono riservate le migliore scuole e le migliori carriere. A volte, però, con i geni modificati arrivano anche malattie potenzialmente mortali, come quella che affligge l’amica umana di Klara. “Volevo il meglio per lei. Volevo che avesse una vita bella” si sfoga la Madre, “L’ho voluto, e ora Josie è malata. A causa di quel che ho deciso.”
Il rimpianto della madre di Josie sembra quasi riecheggiare del mea culpa di un’intera generazione – quella che in forma di disprezzo le nuove generazioni chiamano boomer – che nell’opulenza di un periodo florido e pieno di opportunità ha erroneamente creduto di prendere tutte le decisioni giuste per i figli a venire e si trova invece a scendere a patti con i danni di scelte fatte in buona fede ma, alla luce dei cambiamenti in atto, non proprio lungimiranti. Nella minaccia della scomparsa della nuova generazione rappresentata da Josie, si legge un ammonimento, forse, a non ripetere di nuovo gli stessi errori, a non desiderare per il futuro una vita bella dal costo esageratamente alto proprio per chi dovrebbe goderne i benefici.
Il cuore di Klara, il disegno del sole
Klara, assoggettata come da manuale alle tre regole asimoviane della robotica, entra ed esce dalla vita di Josie come un essere benevolente che, chiamato ad alleviare la solitudine della bambina, si fa simulacro di possibili scenari che la vedono sostituirsi a essa – una prosecuzione di Josie – in caso questa non riuscisse a sopravvivere alla malattia. Come i cloni di Non lasciarmi, ancora una volta Ishiguro ci racconta la storia dei pezzi di ricambio, di chi non viene considerato una vera persona, e lo fa attraverso le parole di queste non-persone, attraverso i loro sentimenti e i loro desideri. “Forse tutti gli umani si sentono soli. Almeno potenzialmente” riflette Klara.
La solitudine della Madre, intrisa di senso di colpa, quella di Ricky, sano ma non potenziato – irrimediabilmente diverso da Josie, la solitudine della stessa Josie, tutte queste solitudini umane vengono distillate dallo sguardo attento di Klara, che le traduce in speranza, in un pellegrinaggio sconclusionato che, come quello dell’uomo di latta alla Città di smeraldo, avrà successo proprio perché Klara, un cuore, l’ha sempre avuto; un cuore in grado di credere ai miracoli, alle favole, ai lieti fine da raccontarsi ancora e ancora, seduta in solitudine dove finiscono gli Amici Artificiali che hanno portato a termine la loro missione.