Kodomo e anime: crescere in Giappone dal dopoguerra a oggi
Nel panorama degli anime del Giappone parlare del genere Kodomo (parola che indica letteralemente il termine bambino) implica anche trattare di un discorso più ampio. Quello della pedagonia e dell’infanzia in Giappone. Lo abbiamo detto spesso: per gli occidentali comprendere a fondo il pensiero e le abitudini del Sol Levante non è semplice. E, quando si parla dell’educazione infantile, la cosa non fa certo eccezione.
In occidente lo scopo dei programmi per bambini è quello di aiutare l’infante a ottenere una maggiore comprensione si sé e del mondo. Questo si riflette anche nell’educazione, basti pensare al Metodo Montessori, così diffuso nella civiltà occidentale, mirato a una crescita dell’infante che possa coniugare le sue attitudini individuali con il microcosmo che lo circonda: la famiglia, la scuola, il mondo.
E il Giappone? Le cose vanno un po’ diversamente. Si tende a responsabilizzare il bambino sin dalla prima infanzia. Alcune scene che a noi appaiono distanti, come gli alunni intenti a pulire aule e corridoi alla fine della scuola, sono una delle basi del metodo giapponese. Senza dilungarci troppo, questo genere di attività aiutano il bambino a crearsi delle responsabilità, un obiettivo e un senso di comunità al di là dell’individualismo.
Questo, ovviamente, non può che riflettersi nel modo di concepire l’animazione per l’infanzia giapponese. Ecco quindi che nell’osservare i colorati e vivaci disegni di Astro Boy, oppure il faccione sorridente di Doraemon, dobbiamo individuare anche un altro aspetto. Qualcosa che forse ci appare latente, ma che a ben vedere costituisce il modo di fare animazione per un’intera fascia di età.
Nascere e crescere
Si potrebbe dire che il manga per bambini nasca con la nascita stessa del fumetto giapponese. Se non esiste concordia nel trovare una precisa data di nascita per il manga (tra chi fa risalire questo termine a Hokusai e chi vede la sua nascita solo con l’imposizione voluta di Yukichi Fukuzawa), più comunemente si fa risalire il kodomo al secolo XIX, nel pieno della restaurazione Meiji. Già nel corso di questo secolo erano presenti campagne per l’alfabetizzazione dei bambini, con risultati soddisfacenti in fatto di istruzione. Proprio in questo periodo il governo centrale iniziò la diffusione di piccoli volumi di quindici pagine, per incentivare la lettura tra le fasce di età più giovani.
Si tratta, a ben vedere, di precursori del genere, che tuttavia mostrano da subito un intento didattico e pedagogico (alle volte propagandistico) rivolto al miglioramento della popolazione. La loro diffusione fu tale che già nel 1914 erano presenti pubblicazioni dedicate ai più giovani, come Shonen Club, pubblicato dalla Kodansha.
È bene non farsi ingannare dal nome della rivista: per quanto oggi sia facile associare il termine shonen a pubblicazioni rivolte ai ragazzi e ai giovani adulti, molti dei fumetti pubblicati sulla rivista erano rivolti a fasce di lettori molto giovani. Proprio tramite questo magazine il Giappone conoscerà, il 3 Aprile del 1952, uno dei manga (e, successivamente, anime) più conosciuti e apprezzati al mondo, a modo suo una pietra miliare nella categoria kodomo, Astro Boy di Osamu Tezuka.
La storia del robottino Atom, oltre a contenere elementi di fantascienza visionaria e di struggente sentimento, presenta in sé anche alcuni dei caratteri tipici dell’educazione giapponese. Ci troviamo di fronte a un bambino che, pur con poteri super umani, va a scuola e segue le regole della propria società ed educazione. Insomma, un bravo bambino giapponese, con una famiglia robotica che lo protegge e lo cura.
Fulcro della vicenda rimane tuttavia la crescita interiore di Atom. In un mondo dove essere un robot vuol dire anche subire una forte discriminazione, il piccolo dovrà fare sin da subito i conti con una realtà a tratti feroce, la stessa che lo porterà al momento della sua nascita a essere “scartato” dal suo padre e creatore, finendo a lavorare in un circo.
Le tematiche di crescita, convivenza e rispetto presenti in Astro Boy sono del tutto paragonabili a quelle di un occidentale romanzo di formazione. Se per i ragazzi del libro Cuore lo scopo è quello di diventare adulti, per Atom lo scopo è cercare di diventare umani, sia per il protagonista che per le persone che circolano attorno a lui.
Le tematiche presenti in Astro Boy sono chiaramente figlie del periodo storico in cui nasce. L’occupazione statunitense dell’arcipelago giapponese si concluse poche settimane dopo la prima storia del manga (28 Aprile 1952). Tezuka sembra così suggerire un percorso di crescita per la nuova generazione giapponese, non solo legato a un miglioramento interiore e personale, ma rivolto all’intera società e al mondo, per far sì che gli orrori passati non si presentino ancora in futuro.
Obiettivi
Tra i manga e anime inseriti nella categoria Kodomo quello più popolare e senza dubbio più conosciuto fuori dal Giappone è Doraemon, opera degli artisti Hiroshi Fujimoto e Motoo Abiko, noti come Fujiko Fujio.
L’apprezzamento e il successo di Doraemon sono noti in tutto il mondo. Basti pensare che una rivista affermata come CoroCoro nacque con lo scopo di dare uno spazio privilegiato all’amatissimo gattone blu, divenuto negli anni un vero e proprio ambasciatore della cultura giapponese, al di là dell’intrattenimento.
La storia di Doraemon è un racconto di formazione squisitamente giapponese, non solo per il contesto quotidiano in cui si inserisce (quello dei quartieri periferici del Giappone in pieno boom economico), ma anche per le vicende da cui prende il via la trama. Tutto si incentra sul futuro del giovane protagonista, Nobita.
Pur essendo un ragazzo gentile e premuroso la sua sfortuna e la sua pigrizia sembrano destinarlo a un completo fallimento nella vita, che si rifletterà anche sul futuro della sua famiglia e dei suoi discendenti. Questo può apparire paradossale per la nostra cultura, ma nei fatti il sistema di istruzione giapponese già a dieci anni inizia a prefigurare quello che sarà il percorso di un ragazzo.
Nobita ha solo dieci anni, ma la sua scarsa attitudine agli studi porta i genitori a disperarsi e a etichettarlo come un potenziale fallimento. Proprio per questo un suo discendente lo affiderà alle cure di Doraemon, in modo da indirizzarlo verso un futuro migliore e garantirgli di poter ottenere l’agognato successo nella vita.
Ecco quindi che le avventure di Doraemon assumono un intento diverso per il pubblico a cui sono destinate. Non più quello di mero intrattenimento per l’infanzia, ma di strumento pedagogico, un monito che ci ricorda quale sia il futuro di ragazzi come Nobita che, per sorte o indolenza, non riescono a compiere l’ultimo salto di qualità, quello in grado di permettergli una perfetta integrazione nella vita adulta.
Proprio l’ambiente in cui si svolgono le avventure di Doraemon porta a una facile immedesimazione dei giovani lettori e spettatori nel protagonista. La vita di Nobita è quella di un qualsiasi ragazzino di dieci anni del Giappone di fine anni ‘60. I suoi giorni sono fatti di scuola, studio e compiti. Di amicizie altalenanti, situazioni quotidiane e familiari che ricalcano in tutto il ceto medio di quel periodo. L’opera sembra suggerire che tutti i bambini avrebbero bisogno dei proprio Doraemon personale. Qualcuno che sappia indirizzarli verso il giusto percorso di crescita e, di conseguenza, gli adeguati obiettivi nella vita.
Un errore è una chance per crescere
Porsi un obiettivo e realizzarlo diventa quindi uno dei tratti salienti dei prodotti di intrattenimento destinati alle fasce di età più giovani. Talvolta questo genere di situazioni è capace di influenzare anche altre produzioni, non esattamente ascrivibili alla categoria kodomo.
Un esempio è l’opera di Hideo Azuma, C’era una volta Pollon. Prima delle polverine magiche dell’allegria (sic!), l’opera rappresentava un percorso verso l’età adulta, incarnato dalla volontà della protagonista di diventare una dea.
L’Olimpo di Azuma crea una crasi unica tra la società giapponese dei primi anni ‘80 e il mito greco. Pollon acquisisce così un contesto con elementi familiari per i giovani spettatori, seppure inseriti in dinamiche esotiche e diverse dal solito. Questo non toglie che Pollon debba, poco alla volta, compiere un percorso di crescita per raggiungere il suo obiettivo.
Non importa che spesso questo implichi degli errori. L’importante, nell’opera di Azuma, è saper rimediare a essi, facendo in modo di essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni. Poco alla volta Pollon impara dai suoi sbagli. E proprio la loro comprensione permetterà alla giovane figlia di Apollo di migliorarsi quanto basta per raggiungere il proprio obiettivo.
Il futuro, a qualunque costo
Nel panorama degli anime Kodomo occupano un posto di riguardo le opere dedicate ai videogiochi, un piccolo must del Giappone, come possono essere i Pokémon. Abbiamo parlato in passato anche degli aspetti pedagogici dei videogiochi di Satoshi Tajiri. In essi esiste una forte propensione a creare un senso di comunità e confronto nei giovani giocatori.
Un aspetto che si riscontra molto spesso anche in questo tipo di prodotto. Pensiamo a tutte le difficoltà sostenute da Ash per riuscire a diventare un Pokémon Master. Nella sua carriera di allenatore il giovane di Biancavilla deve fare appello alla sua forza di volontà per superare le difficoltà che gli vengono imposte. Nel farlo dovrà tuttavia imparare a confrontarsi con gli altri. Prima i suoi Pokémon, di cui dovrà riuscire a guadagnarsi la fiducia. Quindi gli altri allenatori, dei quai dovrà sapersi conquistare il rispetto, battaglia dopo battaglia.
Proprio in questo genere di produzioni notiamo uno dei tratti caratteristici di molte produzioni kodomo: il superamento dei propri limiti e il desiderio di migliorarsi. Non si tratta solo di un’azione fine a se stessa. Essa è parte di un obiettivo più grande, sempre corroborato da uno spirito di comunità fortemente presente in produzioni di questo tipo. Ma il messaggio non sembra distaccarsi troppo da quello presente in produzioni come Pollon o Doraemon: è necessario porsi un obiettivo e combattere per esso.