Fuoco sangue e metallo
Il tempo di inforcare gli occhialini 3D e siamo di nuovo nella sconfinata, vasta e pulsante Terra di Mezzo. Ci metto poco per riabituarmi ai canonici 48 fotogrammi al secondo dei precedenti film, tutto è nitido, concreto e reale. Non c’è nulla da ricapitolare, vengo tuffato subito nell’aria fredda di Erebor, un battito di ciglia e dal ghiaccio si passa al cremisi delle fiamme. C’è Smaug dinnanzi a me. Imponente, intelligente, spietato. Da protagonista assoluto del precedente film, tocca a lui aprire le danze, volteggiando in un cielo cupo, portando ancora una volta morte e distruzione. La ripresa si fa più ampia, siamo quasi in volo con lui, contro di lui. Avverto l’impotenza di essere un semplice essere umano al cospetto di una creatura antica, che appartiene ad una mitologia pregiata; la sua voce profonda e sarcastica è come la sua anima: ardente e iraconda. La montagna osserva, lì, al centro. Cupa e silenziosa, custode di un tesoro immenso ma malato e corrotto. E’ lei la protagonista in questa storia: tutti la bramano, tutti guardano a lei, maestosa e foriera di sventura. Tornano i nani, non più in una allegra compagnia ma emblemi di un desiderio passato e di un orgoglio mai esaurito, che fatica a spegnersi come una fiamma ardente. Bilbo invece è la mia (la nostra) umanità, piccolo eppure così saggio, ma così diverso da quell’hobbit con la testa fra le nuvole del primo film. E’ lui ancora una volta la chiave di volta di tutto.
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Una battaglia epica
Ma il Signor Baggins non è che una piccola goccia nell’oceano della guerra: un conflitto enorme, epico, questo è fantasy allo stato puro. La Terra di Mezzo diventa un enorme campo di battaglia, vivo e brulicante d’azione. Dimenticate le battaglie viste nel Ritorno del Re. Qui la violenza non conosce limiti: Jackson mostra una battaglia fantasy degna di questo nome; se Tolkien potesse vederla, sono certo che anche lui apprezzerebbe. I dialoghi vengono meno, le musiche orchestrate anche. L’unica cosa che sento è il clangore delle armi che cozzano le une contro le altre, le urla e i corni di battaglia; e dentro di me godo. Non c’è un attimo di respiro, il ritmo è serrato ma allo stesso tempo perfetto. Riesco a seguire perfettamente le dinamiche di ogni armata: elfi precisi e disciplinati nel dispensare morte, nani irruenti e sfrenati, umani in balia degli eventi contro orchi e goblin… tanti orchi e tanti goblin. Sporchi e spietati, eppure tremendamente reali. Minuto dopo minuto, mi passano davanti agli occhi creature di ogni forma e dimensione: Troll enormi, Worg, Arieti e cinghiali, pipistrelli giganti,… World of Warcraft mi strizza l’occhio, i suoi Full Motion Video gli vanno vicino in quanto ad epicità, ma questo per fortuna non dura solo qualche minuto, ma più di due ore. E il bello è che non mi stanco mai, è tutto concatenato in una sequenza di eventi perfetti, dosati al secondo, colpo dopo colpo. E’ questo il segreto vincente. La guerra ingloba tutto: un freddo abbraccio di morte che però porta con se emozioni insperate: amore, lealtà, coraggio non mancano; lentamente vedo una storia scritta quasi 80 anni fa prendere vita in un film ampio e ben strutturato, mai sazio di emozioni. Il duello finale è il climax ascendente: un odio antico che si tramuta in uno scontro silenzioso, che si consuma e mi consuma minuto dopo minuto, lasciandomi incerto su quale sia il vero vincitore. Ogni vittoria esige un prezzo.
“There and back again”
Niente sembra lasciato al caso: Peter Jackson ha creato un enorme mosaico, tassello dopo tassello, che si va ad incastrare ottimamente in un’opera che termina lì dove nasce il prologo del Signore degli Anelli. Anche se qualche forzatura qui e là si avverte, specie durante le scene finali (il discorso riguardo Grampasso è alquanto surreale).
Ma perfino queste parti extra libro come le scene di Sauron e Tauriel finiscono per risultare quantomeno godibili e lo dico da normale lettore dei libri di Tolkien, non mi ritengo certo un purista della saga ma ho accettato questi innesti di buon grado, perché hanno conferito corpo e volume ad una storia già discreta di suo.
Discorso diverso se partite con l’idea di vedere una perfetta e fedele trasposizione cinematografica del libro di Tolkien. In quel caso potreste storcere un po’ il naso e avreste perfettamente ragione a farlo.
Non mancano alcune chicche: se vi eravate esaltati per le prodezze passate di Legolas, ne avrete ancora di più. Se vi siete sempre chiesti cosa può creare un nano incazzato con un martello più grande di lui sarete accontentati.
Menzione speciale per le musiche della New Zealand Symphony Orchestra, necessarie, immense, capaci di fomentarti quando l’adrenalina scorre veloce e di emozionarti quando ti ritrovi davanti la cara vecchia e dolce Contea, fino a “The last Goodbye”, la canzone che suona durante i titoli di coda e che mi congeda una volta per tutte dalla cara Terra di Mezzo.
Sopra a tutto quanto però, svetta un cast stellare: partendo da Martin Freeman, passando per Cate Blanchett, Richard Armitage e l’immenso Ian McKellen, tutti incarnano alla perfezione personaggi che nel mio immaginario di piccolo nerd alla prima lettura dell’ opera di Tolkien, erano esattamente così. Gliene sono grato. Saranno immagini sempre vivide per me.
Ripeto, se avete amato il libro originale, alcune modifiche vi sembreranno fuori luogo ma se amate il fantasy duro e puro, adorerete questa pellicola. Il giusto epilogo di un’avventura straordinaria.