La Belva, il film Netflix di Ludovico Di Martino ci regala un punitore perfetto

Leonida Riva. Il figlio di nessuno, la Belva. Io lo so cosa provi: non vedi l’ora di buttarti nel vuoto, di tornare in missione”. Così il protagonista interpretato da Fabrizio Gifuni, capitano dell’Esercito, viene descritto e dipinto da un collega che lo conosce bene e sa fin dove l’uomo può spingersi, soprattutto considerando il dramma che sta vivendo, ovvero il rapimento della piccola Teresa, la figlia seienne, che ci viene mostrato nelle fasi iniziali del film diretto da Ludovico Di Martino e distribuito da Netflix.

Uno script di base non originalissimo, che senza dubbio avrà già richiamato alla mente dei lettori film come la Trilogia di Taken, ma che diventa un prodotto quasi innovativo se circoscritto al panorama delle produzioni italiane, spesso sin troppo monotematiche.

Qui il nostro Liam Neeson si chiama, come detto, Leonida Riva ed è un protagonista ancora più spietato e aggressivo di Bryan Mills. Il personaggio interpretato da Gifuni è uno dei punti di forza di un’opera che nel complesso non ci fa strappare i capelli, ma ci restituisce a pieno la brutalità di un padre che vede sua figlia messa di fronte al pericolo più grande.

Leonida, un padre condottiero

Leonida è un condottiero che vive delle emozioni, forti e drammatiche, che gli suscita il suo campo d’azione, quello militare, quello delle delicate e terribili missioni e guerre in cui è sempre stato in prima linea. Tutto questo lo ha reso però un uomo chiuso, taciturno e dall’aspetto malmesso, compromettendo la sua salute psichica e di conseguenza il rapporto con la sua famiglia. La Belva, non a caso, inizia proprio durante una seduta psichiatrica e prosegue mostrandoci la situazione familiare di Riva, ai ferri corti col figlio più grande e con la moglie, che prova ancora affetto e amore per lui ma è rassegnata ormai ad aver perso l’uomo che aveva sposato. Solo la più piccola, Teresa, è ancora troppo ingenua per entrare in determinate dinamiche e prova per il padre l’amore naturale di una figlia, ovviamente ricambiato da quell’uomo che di lì a poco non esiterà a mettere a repentaglio la sua vita pur di salvare quella della sua bambina.

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Il personaggio interpretato da Fabrizio Gifuni diventa quindi da subito iconico, fatto di silenzi e tanta azione, e agisce come una schiacciasassi demolendo chiunque si metta sulla sua strada. È un Punitore senza regole e senza remore, che non mostra mai un momento di titubanza o timore, se non quando capisce che per sua figlia la situazione si fa davvero critica, e a differenza degli altri “immortali” del cinema action lui è un uomo che di colpi oltre a darne molti ne subisce altrettanti.

Se quindi Leonida Riva convince appieno, i personaggi che orbitano intorno a questa complessa storia familiare sembrano spesso macchiette con caratteristiche quasi da cartoon. A partire dal commissario interpretato da Lino Musella, che mette da subito in discussione il ruolo di Riva sospettando di lui, fino al bislacco villain Mozart (Andrea Pennacchi).

Roma come Gotham

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Dal punto di vista tecnico invece La Belva di Ludovico Di Martino è una lieta sorpresa. La fotografia a tinte grigio-bluastre dimostra l’ottimo lavoro di cross-processing di Luca Esposito e anche il sonoro si rivela sempre chiaro e pulito pur nelle più concitate scene d’azione.
Anche in questo La Belva ci sembra più un film a stelle e strisce che prodotto nel Belpaese, considerando gli standard a cui siamo abituati, e ricostruisce una Capitale quasi irriconoscibile se non per i romani che individueranno alcune zone a alcune location familiari. Per il resto siamo di fronte a un ambiente lercio, grigio e oscuro come Gotham o come le grandi metropoli dei film americani, in cui bande criminali fanno il bello e il cattivo tempo muovendosi in un luogo per loro “meraviglioso, pieno di pervertiti di merda”, come sottolinea Mozart fiero di come stanno andando i suoi affari.

Tirando le somme dunque La Belva di Di Martino, nonostante la sovracitata scarsa originalità – che dobbiamo comunque tener presente – è una bella novità sia per l’Italia che per il catalogo Netflix, manifestandosi come un’opera che sa come intrattenere lo spettatore e rendere felice l’amante di questo genere di cinema, che in fondo vuole innanzitutto vedere caos, vendetta e tante mazzate.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.