Un racconto inaspettato
La pubblicazione del Legendarium di J.R.R. Tolkien è senza dubbio una delle opere più complesse affrontate dall’editoria degli ultimi anni. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1973, il Professore lasciò un’immensa quantità di materiale inedito che, grazie al costante lavoro di suo figlio Christopher, ha poco alla volta completato l’intera figura dell’epopea di Arda.
Non sono mancate critiche per questa scelta, vista – sotto una certa prospettiva – come una scelta fatta solo per continuare a sfruttare un filone letterario fino al totale esaurimento. È così che siamo giunti al terzo grande racconto di questa saga. Il terzo a essere pubblicato, ma il primo in ordine di stesura, visto che le prime tracce di quella che diverrà La Caduta di Gondolin si trovano già negli appunti del 1917.
La stessa pubblicazione di questo nuovo libro costituisce una sorpresa: Christopher aveva annunciato nella prefazione di Beren e Luthien che non avrebbe più curato l’edizione di altre opere del padre, lasciando inoltre la direzione della Tolkien Estate. L’arrivo di questo nuovo libro costituisce perciò a modo sua qualcosa di inaspettato.
I fan del Professore conosceranno di certo la città elfica di Gondolin: il suo nome riecheggia per tutto il Legendarium e si trovano riferimenti alla sua fine sin da Lo Hobbit, dove vengono presentate le lame forgiate nella città ai tempi della prima era; anche nel Signore degli Anelli abbondano i riferimento alla rocca nascosta tra le montagne, ricordata come un luogo di pace, prosperità e bellezza, dove Noldor e Sindar convivevano in armonia sotto la guida di Re Turgon.
Il sovrano aveva fondato la città seguendo il consiglio di Ulmo, uno dei più potenti signori dei Valar, patrono delle acque. Lo stesso Vala aveva tuttavia avvisato Turgon che presto o tardi Gondolin sarebbe caduta e che lui avrebbe inviato un messaggero per avvisare il re dell’approssimarsi del momento.
Il messo si rivelerà essere l’umano Tuor, un Edain della stirpe di Hador. Ed è proprio Tuor il vero protagonista dell’intera vicenda, narrata a partire dal suo viaggio di avvicinamento a Gondolin.
I lettori meno appassionati di Tolkien difficilmente potranno gradire questo libro. Specie nella prima parte, dove viene riportata la prima stesura del racconto, lo stile si avvicina molto più all’epica che alla narrativa, seguendo strettamente quella che era la vena poetica ed elegiaca del primo Tolkien. Uno stile che invece non sembrerà nuovo ai lettori che, nel corso degli anni, sono stati abbastanza fortunati da mettere mano ai primi due volume della History of the Middle-Earth, pubblicati in Italia con i titoli I Racconti Ritrovati e i Racconti Perduti. Lo cosa potrà facilmente essere ravvisata anche nell’utilizzo di alcuni particolari nomi, come Melko, Gnomi e Noldoli.
Meno ostico sarà il rapporto con le ultime stesure, le quali si avvicinano molto a una versione ampliata, riveduta e corretta di quanto raccontato nel Silmarillion. Il lettore meno esperto potrebbe trovarsi perciò smarrito nelle prime battute, inciampando in un vero e proprio testo di filologia, per poi ritrovare la strada solo alla fine, quando il racconto assume il ruolo dominante all’interno del volume.
La Caduta di Gondolin si dimostra perciò per quello che è, un libro riservato a una fascia di pubblico molto ristretta, quella che nutre verso il lavoro del Professore una vera e propria venerazione. E, proprio per questi lettori, sarà possibile cogliere il lato migliore di quest’opera.
Da un lato il raffinato lavoro di mitopoiesi proprio delle opere di Tolkien, visto in una delle sue fasi preliminari, in una delle sue prime stesure. In questo il confronto con le altre versioni dello stesso racconto può dare ai lettori delle piccole gioie inaspettate, mostrando l’evoluzione di quanto narrato dal Professore nel corso della sua carriera.
Ma è soprattutto nel messaggio presente nella Caduta di Gondolin la maggiore fonte di piacere. Per la storia di Arda, la fine della città di Turgon fu il momento più buio della Prima Era, quello in cui lo strapotere di Morgoth sembrava tale da non poter essere sconfitto. L’oscurità a cui segue l’alba, che proprio nel tramonto dell’ultima luce del Beleriand vedrà nascere la stella di Eärendil il Marinaio.
Tolkien sembra proporre ai lettori una sua personale visione dell’umanità, mettendola a nudo in uno scenario di profondo dolore e sofferenza. Qui assistiamo tanto alla meschinità quanto alla grandezza che può albergare nel cuore delle persone, incarnata nella superbia di Turgon e nel suo sacrificio, nella gelosia di Maeglin e nelle rettitudine di Tuor. Diverse facce di quello che è lo spirito umano, incarnato in maschere che Tolkien ha saputo, anno dopo anno, stesura dopo stesura, intagliare e far conoscere ai propri lettori.
Inutile girarci troppo intorno: lo stile con cui è narrata La Caduta di Gondolin apparirà senza dubbio alcuno datato alla maggior parte dei lettori. Si tratta di un’opera che possiamo consigliare solo a chi ha una vera passione per Tolkien e per quanti vogliono esporre in libreria tutti i volumi del Legendarium.
Ci troviamo di fronte a un volume che ha poco a che spartire con la narrativa, mentre sembra essere legato più alla filologia e all’epica. Un’opera tolkieniana a 360°, per niente adatta a chi vuole rilassarsi e cerca una lettura d’evasione tout-court. Chi invece apprezzerà questo volume sono i lettori capaci di cogliere oltre il mero racconto e ritrovare al suo interno i tratti che hanno reso grande il lavoro di John Ronald Reuel Tolkien, la sua visione del mondo e dell’uomo, gli ideali di una persona dotata di una sensibilità rara per la razza umana, capace di donare un po’ di questi sentimenti ai propri personaggi, fondendoli in un contesto epico.