La casa delle bambole: Ghostland, il sorprendente film di Pascal Laugier, si rivela come uno degli horror più belli del 2018
Il regista e sceneggiatore Pascal Laugier è un autore francese a tutto tondo che si è più volte approcciato al genere horror con risultati discreti come I bambini di Cold Rock o Martyrs, ma con La casa delle bambole: Ghostland, si è sicuramente superato realizzando a mio avviso, uno dei migliori horror degli ultimi tempi.
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Le premesse del film sono semplici, ma efficaci, grazie ad un ritmo galoppante nell’antefatto e alla buona scrittura dei protagonisti presentati senza indugio in maniera sintetica ma estremamente efficace: Pauline e le due figlie adolescenti Beth e Vera.
La famiglia riceve in eredità una vecchia casa da una zia scomparsa, piena di bambole antiche e cimeli misteriosi. Beth è una ragazza introversa e appassionata di letteratura horror, soprattutto Lovecraft. Vera è una personalità totalmente agli antipodi, decisamente più spigliata e molto più pragmatica della sorella. Durante il viaggio verso la struttura ereditata, la macchina di Pauline con le sue figlie viene seguita da un furgone sospetto, dall’aria palesemente minacciosa. Un’inquietante presenza che irrompe nella vita delle protagoniste fin dai primi istanti della pellicola, e che si paleserà molto presto, una volta raggiunta l’abitazione.
Il film di Laugier è proprio da questo punto che si fa spiazzante e inaspettato, al punto tale che è difficile parlarne preservando la potenza di una visione “vergine” del suddetto, i cui meriti maggiori sono l’estrema originalità e la capacita di sperimentare non solo rielaborando e mischiando alcuni stilemi del genere horror, che vanno dallo slasher al torture, ma anche sconvolgendo le normali convenzioni narrative e la loro grammatica. Ove infatti altre produzioni una volta settate simili premesse svilupperebbero l’intero racconto in una direzione inflazionata e lineare, Ghostland gioca con le aspettative dello spettatore, con la prevedibilità degli eventi, andando a ridefinire scena dopo scena nuovi obiettivi narrativi e stravolgendo più volte le carte in tavola.
In questo salto nel vuoto l’occhio però rimane sempre puntato su Beth, sul rapporto con se stessa, sul suo passato e futuro. Infatti il film si gioca su due linee temporali, su diversi piani dell’esistenza condivisi da Beth con la sua famiglia, sul trauma che li lega insieme, e su questa costante e insalubre aria che trapela dalle mura della grottesca magione piena di bambole, che permea l’intera pellicola di atmosfera angosciosa capace di tenere col fiato corto fino alla fine.
Sono consapevole di essere stato oltremodo vago nel definire i capisaldi del racconto, ma più che mai ci troviamo di fronte ad un film la cui potenza espressiva prospera ed esplode solo dinnanzi a uno spettatore totalmente ignaro di quello che lo aspetta (un po’ come nel caso di Madre! di Aronofsky).
Anche dal punto di vista formale, il film è squisitamente rigoroso nello stuzzicare le “pupille gustative” dello spettatore vorace del genere, settando la violenza e la messa in scena sui livelli adeguati al dramma esposto. La regia è all’altezza ma ancora più estrosa in tal senso, decidendo di piazzare la telecamera all’altezza dello sguardo di Beth, fornendoci quindi una prospettiva della protagonista, in grado di caricare ancora di più la tensione che deriva non solo da quello che si vede e dai dettagli, ma anche e soprattutto da quello che viene lasciato fuori scena.
Sfruttare i dettami dell’horror per creare qualcosa di nuovo
Visionario, potente, surreale, talvolta indecifrabile. La casa delle bambole: Ghostland riesce brillantemente a sfruttare i meccanismi dell’horror classico per creare qualcosa di nuovo, sorprendendo lo spettatore, inserendo una variabile fortemente introspettiva nella traumatica e asfissiante vicenda di Beth, le cui coordinate sono tutte da scoprire e gustare direttamente in sala. Giocate le sue carte in tal senso, riesce a mantenere alta la tensione fino alla fine grazie all’ottima messa in scena e alla capacità di muoversi con disinvoltura all’interno dei sotto generi più disparati dell’horror. Ci stanno infatti un sacco di contaminazioni: lo slasher, il Bumpkin & Redneck (il filone di Non Aprite quella porta per intenderci), l’Home Invasion, e c’è anche margine per la deriva psychological e addirittura una punta di Paranormal. La cosa sorprendente è che non ci troviamo assolutamente di fronte ad un minestrone indefinito, bensì ad un film coerente, carismatico, violento, intimo, truce e avvinghiante. Non potete perdervelo.