La Casa di Carta parte 4: piena di difetti, irrazionale, con un ritmo non più incalzante come un tempo. Ma prima in top 10 su Netflix…
La Casa di Carta è come quei politici che non piacciono a nessuno, che nessuno sostiene di aver votato ma poi vincono nettamente le elezioni.
A leggere sul web e sui social in questi giorni, infatti, è pieno di utenti, critici e giornalisti che disprezzano a più riprese la serie spagnola, che tuttavia resta prima in classifica nella top 10 dei più visti di Netflix, e niente sembra avere il potere e le capacità di schiodarla da quella posizione.
Come è possibile?
La verità è che le prime due stagioni de La Casa di Carta, al netto di difetti anche marchiani, erano state una lieta sorpresa e soprattutto avevano assicurato un binge watching perfetto. L’entertainment non è mai sbagliato, checché ne dicano coloro che hanno definito lo show il trionfo del populismo, ma rinnovarsi senza diventare ripetitivi non è affatto facile ed allora ecco che la terza parte provò a ripartite con lo stesso schema che ne aveva sancito il successo, diventando però l’allegoria di se stessa. Iniziò con migliaia di persone in piazza ad osannare i truffatori Dalì, a ricordarci ancora una volta che nonostante le critiche e i difetti, La casa di carta è sempre lì, prima in classifica su Netflix. E questo vale anche per la parte 4.
Dove eravamo rimasti?
Siamo ancora nella Banca di Spagna, dove la banda è entrata per fondere l’oro e salvare Rio, catturato e torturato dalla polizia. Il professore ci è riuscito, ma il suo piano sembra pian piano sgretolarsi e lui stesso perde quella razionalità che sempre l’aveva contraddistinto, cadendo nella trappola della polizia, che gli fa credere di aver giustiziato Lisbona. Ma non è il solo a commettere errori e pagarne le amare conseguenze: dall’interno della Banca, la banda spara dei razzi contro un blindato dell’Esercito e di rimando Nairobi viene ferita gravemente con un subdolo stratagemma di Alicia Sierra.
Amore e guerra
“Nell’amore c’è sempre un orologio che fa tic-tac; c’è sempre un conto alla rovescia. Non basta amare qualcuno, devi arrivare in tempo”.
Recita questo la voce narrante di Tokyo, ed è proprio dall’amore e dagli errori commessi in quest’ottica che il prof e la banda devono ripartire. La commistione tra azione e sentimento è quindi sempre di più un fattore preponderante, e se è vero che l’amore non deve mai entrare in questioni “professionali” di questo tipo, ciò sembra valere in egual misura per lo show, ormai indebolito e appesantito da tanta eterogeneità.
L’impostazione da heist movie che ci aveva fatto in qualche modo apprezzare le prime due parti, va via via scemando ne La casa di carta 3 e 4, con un naturale coinvolgimento sentimentale dei personaggi che da spietati e determinati rapinatori si trasformano in protagonisti di una soap.
Le prime quattro puntate de La casa di carta 4 diventano la perenne attesa di un accadimento che sembra non arrivare mai, e si perde persino quel ritmo incalzante che quantomeno spingeva al binge watching. A volte ci chiedevamo “perché diavolo la sto ancora guardando?”, ma continuavamo a farlo. Ora svanisce anche questo, e allora diventa per me incomprensibile il manifesto disprezzo generale verso le ultime tre puntate, tacciate di essere fantascienza e irrazionalità pura, quando almeno si inizia a rivedere un po’ di action.
Anzi, la puntata 5 della quarta parte è forse a livello globale, di tutta la serie, una di quelle in cui l’azione prende maggiormente il sopravvento e in uno show dedito puramente all’entertainment perché dovremmo chiedere di più? Di tutto quello di cui potremmo lamentarci della Casa di carta, perché mai dovremmo restare inorriditi di fronte a Gandìa che si comporta come un novello Terminator?
È proprio lui, anzi, a dare brio e svegliarci dal torpore di una serie che iniziava a farci sbadigliare per la prima volta, e da quel momento in poi sappiamo che, nel bene o nel male, tutto potrebbe accadere.
Farsi domande che presuppongano una risposta razionale non avrebbe senso, ma questo vale sia per la prima che la quarta parte di questo show, che è vero, man mano si sbrodola e si fa sempre più innaturale, eppure ci sembra la semplice evoluzione di una serie che, come tante, si sarebbe dovuta fermare molto prima ma che la gente continua a vedere e ad aspettare, e di conseguenza deve proseguire.
Come siamo passati da “Bella ciao” a “Ti amo” di Umberto Tozzi e “Cerco un centro di gravità permanente” di Franco Battiato? Inutile soffermarsi anche su questo.
La Casa di Carta non è un prodotto eccezionale e non lo sarà mai. Possiamo continuare a disprezzarla, a non comprendere perché se ne parli così tanto. Eppure resta lì, tra i più visti di Netflix e con una quinta e una sesta parte già pianificate. Facciamocene una ragione.