La partita: il nuovo film Netflix diretto dall’esordiente Francesco Carnesecchi
“Lo Sporting Roma è stata una squadra di calcio della periferia di Roma per molti anni. In tutta la sua storia non ha vinto mai un cazzo”.
Inizia così La partita, il nuovo film Netflix (dal 1° settembre sulla piattaforma) del regista esordiente Francesco Carnesecchi, con Francesco Pannofino (Claudio) e Alberto Di Stasio (Italo, il Presidente) tra i protagonisti.
I fan di Boris avranno già drizzato le antenne, ma a dirla tutte le similitudini tra questa pellicola e la nota fuori serie italiana non sono poi molte, salvo il fatto che in entrambe l’insuccesso si manifesta come una sorta di leitmotiv. In Boris Renè si imbestialisce per le pessime performance degli attori, qui per quelle dei calciatori: dal set al campo di calcio, quindi, la sostanza sembra non cambiare poi molto.
Quello che cambia però, oltre al contesto, è tutto il racconto che ruota intorno a questa maledetta partita e i tanti aspetti che essa rappresenta.
È una domenica mattina; è il 5 maggio 2002. La data non ci viene svelata, ma è facilmente desumibile dalla cronaca di Riccardo Cucchi, che arriva a noi attraverso la radio di uno dei protagonisti. Il giornalista ci racconta i momenti che precedono una fatidica Lazio – Inter, decisiva per lo scudetto e che si tramuterà in una memorabile disfatta per i nerazzurri del fenomeno Ronaldo.
Mentre lo stadio Olimpico di Roma è in fermento per un match fondamentale per l’esito del campionato di Serie A, a qualche chilometro di distanza, nella periferia romana due squadre di ragazzi si apprestano a battersi per la finale di Coppa.
Il team di casa, lo Sporting Roma, è allenato da Claudio (Francesco Pannofino), che in tanti anni non è mai riuscito a vincere nulla. Questa è la sua grande chance e punta tutto sul capitano della squadra, Antonio (Gabriele Fiore), un enfant prodige che sogna di arrivare in alto, anche perché le potenzialità non gli mancano.
Il risultato della partita però non sarà soltanto legato alle trame di gioco tessute dalle due compagini in campo, ma anche e soprattutto da sottotrame pericolose che danno a questa storia un’impronta da noir, rendendo l’esito della finale una faccenda di vita o di morte.
La partita, Netflix: il calcio prima di tutto
“L’Italia è una Repubblica fondata sul pallone. Ci sono tremila scuole di calcio in tutto il paese, un numero impressionante se paragonato alle ottomila scuole medie e sedicimila elementari. Un esercito di mini calciatori con aspirazioni da grandi, trecentomila soldatini con la maglia sempre un po’ tropo larga, che secondo la regola sono destinati a fare altro. Solo uno su cinquemila arriva in Serie A. Non bisogna bruciare i sogni, ma neppure alimentare farsi illusioni. Bisogna insegnare loro che nella vita c’è altro.”
Con queste parole, affidate ancora una volta a Riccardo Cucchi tramite una radio lasciata metaforicamente inascoltata, Francesco Carnesecchi ci racconta della forte rilevanza del calcio in Italia, di quanto sia vissuto come una sorta di valore, fondamentale, e che una finale diventa irrinunciabile e quindi più importante della comunione di una nipote o di una cuginetta.
Il calcio è una passione che la stragrande dei bambini vive intensamente, credendo e sperando di poter calcare palcoscenici nazionali e internazionali, dalla Serie A alla Champions League, supportati spesso da genitori che vedono in loro dei futuri Lionel Messi e che litigano sugli spalti di quei campi terrosi di periferia, dando vita a scene riprovevoli e che ben poco hanno a che fare coi valori dello sport.
Proprio il complicato rapporto padre-figlio è un altro degli aspetti toccati dal regista, mostrandocene varie dinamiche e sfaccettature. C’è il padre eccessivamente premuroso e protettivo, anche verso un figlio ormai allo sbando; c’è quello che si preoccupa del futuro della figlia che deve nascere e in base a questo si trova costretto a prendere importanti decisioni professionali; e c’è infine chi, al fine di provare a garantire un piatto caldo a tutta la famiglia, chiede al figlio il sacrificio più grande: rinunciare alla propria passione, rinunciare a vincere e a dimostrare le proprie qualità.
L’ombra del calcio-scommesse, di uno sport malato e compromesso si affaccia prepotentemente nel racconto de La partita, aprendo bivi nelle strade dei protagonisti e prenderne una anziché un’altra segnerà il loro futuro.
Un futuro che per i giovani, come ci ricorda Cucchi, molto spesso porterà ben lontano da quelle che erano le loro ambizioni e seranze, ma anche a distanza di molti anni calciare un pallone rievocherà sempre quei sogni, regalandoci una dolceamara nostalgia che il film di Carnesecchi (esordiente da tenere sott’occhio) ci fa rivivere senza sconti.