La ragazza del convenience store – Sayaka Murata
Il bestseller di Murata Sayaka, vincitrice del prestigioso premio Akutagawa nel 2016, arriva in Italia e ci catapulta nel microcosmo di un konbini.
Konbini è l’abbreviazione giapponese di convenience store, un tipo di negozio aperto 24 ore su 24, tutti i giorni, molto diffuso nella terra del Sol Levante. Vi si possono trovare i clienti più disparati: dal bimbo in cerca di caramelle, all’adolescente che legge l’ultimo numero di Jump davanti all’espositore senza poi comprarlo, fino all’impiegato d’ufficio che acquista il pranzo.
Il konbini, insomma, è un tipo di attività che offre i servizi di un minimarket combinato ad un nostro tabaccaio e anche di più (letteralmente), e la protagonista di questo romanzo, la trentaseienne Keiko Furukura, lo sa bene.
Per quanto sia normale trovare tipi di clienti diversi in un konbini, non è propriamente comune una commessa di quell’età, in quanto le regole non scritte della società giapponese prevedono che a questo punto della propria vita una donna sia già sposata o nel pieno della carriera.
Keiko, invece, è rimasta ben ancorata al suo lavoro di commessa dello SmileMart, nel quale lavora da 18 anni vedendo andare e venire diversi colleghi, spesso e volentieri più giovani. Mantenere così a lungo questo impiego, in base alle esperienze passate e alle continue conferme da parte di conoscenti, l’ha resa un “peso per la società”, in quanto è rimasta in un posto di lavoro comunemente per studenti o freeter, che sono giovani che volontariamente scelgono di non diventare parte della grande macchina sociale ed economica giapponese, la quale valorizza il duro lavoro per il bene collettivo, invece dell’individualità.
Keiko, al contrario, si distingue e risalta per il suo essere fondamentalmente una zitella dalla personalità contrastante con questi dettami rigidi e per lei incomprensibili. Perciò, fin da piccola, ha fatto in modo di essere il più “normale” possibile, per evitare rogne e inseguire la propria personale felicità, ovvero essere una perfetta commessa di konbini (cosa che tra l’altro la farebbe rientrare tranquillamente nella categoria del “buon lavoratore”).
Ma cos’è la normalità? Banalmente, si potrebbe credere che sia ciò che fanno tutti, qualcosa che tutti sono convinti sia giusto fare, quando in realtà ognuno di noi ha interiorizzato una propria idea di tale concetto che non è necessariamente uguale a quella altrui. Keiko considera normale la propria quotidianità nel konbini; si sente al sicuro e serena in quel negozietto frequentato dalle stesse persone, che lei saluta ad alta voce e serve con impeccabile efficienza. Si sente felice anche solo pensando al konbini quando è a casa a riposo. Tuttavia, dopo anni di ricerca di una normalità che potesse essere in qualche modo accettata da parte delle persone a lei vicine, l’incontro che le farà rivalutare le cose avverrà proprio nel suo amato negozio.
Il nuovo collega Shiraha, con la sua convinzione di vivere in una società ferma alla preistoria in quanto a comportamenti e gerarchie, diventerà molto velocemente il mezzo grazie al quale Keiko realizzerà finalmente cosa è meglio per lei. Bisogna toccare il fondo prima di poter risalire e la donna lo farà, in uno slancio di esasperazione, cercando di soddisfare per un’ultima volta le attese della società, spesso ribadite dallo stesso Shiraha che invece è il completo opposto della giovane: lamentoso, svogliato, negativo nei confronti di tutto il sistema sociale, cerca di rigirare la frittata per giustificare la sua rassegnazione ad essere considerato e comportarsi come un parassita.
È divertente pensare che il romanzo sia ispirato all’esperienza diretta dell’autrice, poiché non si stenta a credere che possa esserle capitato qualcosa di simile alla situazione di Keiko, certo forse non così estrema, ma chi non ha mai incontrato casi umani? Inoltre, questi incontri non devono essere per forza negativi. Possono essere la base del nostro cambiamento oppure l’origine di un’epifania che culmina in una determinata presa di coscienza di se stessi.
In qualunque cosa consista questa nuova consapevolezza, l’autrice riesce a rendere il percorso per raggiungerla divertente e curioso. L’ambientazione originale del konbini offre un mondo in miniatura di pace, con regole e confini ben definiti ma distanti dalla realtà, sia quella in cui vive Keiko, sia la nostra di lettori occidentali, non avvezzi alla sola idea di un negozio aperto 24 ore su 24. Eppure, ognuno di noi ha sicuramente un luogo dove sa di potersi sentire a proprio agio, in cui acquisiamo modi di fare di altre persone e di cui pian piano non possiamo fare a meno. Insieme al contesto sociale fatto di pregiudizi e conformismo in cui si trova la protagonista, è facile quindi potersi immedesimare, soprattutto per il target del romanzo stesso, ovvero la generazione di millenial che fa fatica a farsi strada in un mondo che ci vuole tutti uguali, tutti con gli stessi obiettivi e gli stessi ideali.
Il finale è in un certo senso spiazzante, perché fino all’ultimo non saremo sicuri di come andrà a finire per Keiko, perciò viene da chiedersi cosa volesse comunicare l’autrice: la vicenda di Keiko voleva essere un invito a provare ad uscire dagli schemi? O piuttosto serviva a convincerci a perseguire le nostre inclinazioni senza badare all’opinione altrui? Qualunque sia l’interpretazione che si vuole dare alla storia di questa “ragazza del konbini”, una cosa è certa: la nostra cosiddetta “normalità” può renderci capaci di cose che altri non saprebbero fare e per questo possiamo distinguerci ed essere tutti, a modo nostro, unici.