GHIBLIANI DI TUTTA ITALIA, RALLEGRATEVI! Finalmente, approda nelle sale nostrane “La Ricompensa del Gatto”, film meno conosciuto nell’occidente cinematografico ma molto noto in patria. Prodotto dal celebre studio d’animazione nipponico e diretto da Hiroyuki Morita, la pellicola uscì nel 2002 (un anno dopo La Città Incantata) entrando nella top ten dei film più visti in Giappone. Per il suo arrivo, ancora una volta, dobbiamo ringraziare la Lucky Red, che nell’ultimo periodo non ha esitato a ridare lustro a perle come Nausicaa della Valle del Vento e Princess Mononoke, ridoppiandole con una puntalissima fedeltà al linguaggio originale.
La storia ruota intorno alle vicende di Haru, adolescente impacciata che, per puro altruismo, salva un gatto nero che rischiava di essere investito da un camion. Sotto gli occhi stupiti della ragazza, il micio si alza su due zampe e la ringrazia per il suo tempestivo intervento. La sera stessa scoprirà di aver soccorso nientemeno che il figlio del Re dei Gatti, il quale deciderà di ringraziarla dandola in sposa al principe stesso. Preoccupata di diventare Regina, la giovane chiederà aiuto a Baron, una statuetta di gatto antropomorfo capace di prendere vita, che farà di tutto per tirarla fuori dai guai.
Nonostante questa volta i mostri sacri della Ghibli (Hayao Miyazaki e Isaho Takahata) non ci abbiano messo lo zampino, lo stile caratteristico che ha conquistato mezzo mondo è facilmente riconoscibile. Forse, l’unica sfumatura in cui risulta evidente il mancato contribuito dei fondatori è la sceneggiatura. La storia, infatti, presenta meno complessità rispetto ai suoi predecessori e appare molto più semplice, rinunciando forse volontariamente a quell’ampiezza psicologica e metaforica che ha cambiato il concetto di “lungometraggio animato”. Tuttavia, questa assenza viene capitalizzata bene, dando vita ad una storia solare e divertente. La narrazione è veloce, più leggera e scanzonata rispetto ai canoni a cui siamo abituati. Anche la durata (75 minuti, molto al di sotto dei soliti standard) dà la sensazione che si tratti di un lavoro “minore”, lontano da certe vette toccate senza troppa fatica dallo studio. Etichettarlo in tal senso sarebbe però un errore che deprezzerebbe la qualità sempre altissima dell’intrattenimento, ma risulta chiaro fin dalle prime battute che il paragone con le altre pellicole è impossibile.
Il film può essere considerato, con le dovute precauzioni, uno spin off di un altro famosissimo targato Ghibli, I Sospiri del Mio Cuore, per la presenza attiva di due personaggi: la statua di gatto Baron e il micione Muta. Si tratta di una scelta un po’ inedita all’interno dello studio, dato che spesso simili apparizioni si limitavano a semplici citazioni o a inside joke (un po’ come la Pixar, per intenderci). Rispetto alla tematica amorosa dell’altro film, tuttavia, qui i toni sono decisamente più soft, per un racconto che pare volersi innestare sullo stesso leitmotiv di classici come Alice nel Paese delle Meraviglie, Lo Schiaccianoci e perfino Il Mago di Oz, trasformandosi in una favola a tutti gli effetti. La narrazione cavalca il topos della ragazza che raggiunge (volente o nolente) un mondo fantastico e cerca di fuggirne per tornare alla realtà. La trama è intervallata da scene veramente esilaranti, anche insolite per i registri tipici dello studio nipponico, con gag che oscillano tra il surreale e la comicità d’impatto. L’animazione rimane sui livelli eccellenti delle altre produzioni, mostrando dei fondali strepitosi, esaltandosi con il design dei gatti e bombardando l’occhio di colori sfolgoranti. Solo nelle scene concitate si nota di più l’usura del tempo e alcune forme meno marcate di altre, che però non intaccano il piacere dell’esperienza.
La Ricompensa del Gatto è un opera secondaria della Ghibli solo per quanto riguarda l’atmosfera da fiaba, mentre per la bellezza dei disegni e la capacità di confezionare eroi indimenticabili non sfigura nel confronto con le altre. Manca molto sul lato del contenuto, se non pochi abbozzi di un approssimativo percorso di crescita per quanto concerne la protagonista. È il mondo dei gatti ad occupare la scena, tanto che la vicenda stessa sembra passare in secondo piano rispetto alle bellezze e alle stranezze dei mici su due zampe. Morita sfrutta le doti dello studio per realizzare un film con un preciso target infantile, abbandonando i canoni tipici di Miyazaki e Takahata senza neanche averli presi in considerazione. Il risultato è un oretta gradevole che suona più come un cortometraggio, come un esercizio di stile volto a tastare la possibilità di creare qualcosa di meno impegnato anche con i grandi mezzi a disposizione.