Un po’ Baby, un po’ SKAM, con tinte vagamente da gangster movie metropolitano. Ma la svolta non arriva…
on poter parlare bene dei film italiani non fa mai piacere, eppure molto spesso questo è inevitabile.
L’ultima chance arriva da Netflix, con La svolta, primo lungometraggio da regista di Riccardo Antonaroli, ambientato nel quartiere romano di Garbatella, ma come avrete già capito si tratta dell’ennesima occasione mancata.
La sensazione preponderante è che si sia provato a mescolare tutta una serie di ingredienti, che da soli nel tempo hanno più o meno funzionato, shakerandoli però in modo convulso e dandoci un risultato raffazzonato e a tratti inspiegabile.
Prendi un’affascinante attrice di Baby, la giovane cubana Chabeli Sastre Gonzalez, e dallo stesso serial pesca anche il nerd Brando Pacitto, poi aggiungici la star di SKAM Ludovica Martino, un attore di un’altra serie di “successo” italiana come Summertime, ovvero Andrea Lattanzi, con accento romano e volto da bad boy, inserisci anche qualche classico caratterista dei serial gangster italiani, come Tullio Sorrentino, insaporisci con un ingrediente a sorpresa di grande effetto, cioè il protagonista di Dogman Marcello Fonte, e infine innaffia il tutto con la colonna sonora di Carl Brave. Il risultato? Un gran casino, appunto.
Se volete cercare di capirne un po’ di più, vi diciamo che La svolta parte all’interno di una bisca della Garbatella, in cui l’imprudente Jack (Brando Pacitto) ha il fegato di rapinare il boss locale Caino (Tullio Sorrentino), portandosi via un malloppo di circa 500mila euro, ma viene subito inseguito dai suoi sgherri ed è costretto a rifugiarsi in casa di uno sconosciuto, ovvero l’ignaro Ludovico (Brando Pacitto), mentre gli uomini di Caino sorvegliano la zona. È così che ha inizio il particolare rapporto tra i due, costretti ad una convivenza forzata di qualche giorno, non da congiunti ma da rapitore e rapito, e questo autoimposto lockdown mette in luce le grandi differenze tra i due ragazzi.
Ludovico è un giovane che studia economia ma è fuori corso, è un portento nel disegnare fumetti tuttavia si vergogna a mostrare agli altri i suoi lavori, e vive da solo nella casa che era della nonna dopo aver convinto il padre a dargli la chance di dimostrare che può farcela. Di fatto però la sua è una sopravvivenza solitaria, con i piatti sempre da lavare, le mensole ancora da sistemare, senza amici o ragazze. A dire il vero una che gli piace, e anche molto, c’è ed abita al piano di sopra: Rebecca (Ludovica Martino), che però ha una turbolenta relazione con un “pariolino” stronzo e manesco.
Jack invece è un giovane dall’infanzia difficile, che cerca di sbarcare il lunario rubando qua e là, ma stavolta ha provato a fare il colpo della vita e la sua speranza è riuscire a raggiungere il fratello in Brasile per campare di rendita. Dietro la scorza del cattivo ragazzo sembra però nascondersi un animo buono.
Col passare delle ore e dei giorni, Ludovico inizia infatti ad ammirare sempre di più Jack, in una sorta di riveduta Sindrome di Stoccolma, soprattutto quando grazie a lui finalmente ottiene un appuntamento con Rebecca, sebbene si tratti soltanto di una cena a quattro a casa della ragazza, che convive con la spagnola Amanda (Chabeli Sastre Gonzalez).
Ognuno cerca nell’altro qualcosa di buono, a volerci dimostrare che chiunque può apprendere dal prossimo, e sebbene si tratti di una retorica stucchevole e abusata è piacevole assistere alla nascita di questa pseudo amicizia tra i due, legati da differenti livelli di solitudine.
Tutto questo, tra l’altro, mentre gli uomini di Caino cercano di individuare il “covo” in cui Jack si nasconde.
Si potrebbe dunque pensare che la particolare commistione tra i due generi che in Italia vanno per la maggiore, ovvero lo young adult e le storie di criminalità, possa costituire una miscela di successo, ma guardare La svolta è veramente destabilizzante, sembra quasi di assistere ad una lunga puntata di una serie tv un po’ strampalata. Ed è ancor più strano perché la narrazione comunque è scorrevole, complice pure un minutaggio favorevole (circa un’ora e trenta) e qualche battuta divertente.
Così come il mix dei vari ingredienti però si amalgama a fatica, pure i due generi vengono cotti su tegami diversi e non si uniscono mai, al pari dei confusi e sconclusionati riferimenti cinematografici, che sembrano omaggi fine a se stessi, a partire dal titolo che rivisita un po’ Il sorpasso dello spesso citato Dino Risi ma che si muove su una strada totalmente diversa.
Poi ovviamente qualche elemento suggestivo c’è. Ad esempio è apprezzabile la fotografia di Emanuele Zarlenga, che ammicca all’universo fumettistico, oppure la sopraccitata traccia di Carl Brave, che finalmente torna a emozionare con quella narrazione brillantemente malinconica che lo aveva portato al successo insieme a Franco 126.
Nel complesso però La svolta è l’ennesimo prodotto disordinato, che nasce con un bel potenziale e buone premesse e finisce per perdersi in un marasma di confusione, tra i tanti film che presto dimenticheremo.