Lettura allegorica dei mutanti più famosi dei fumetti
“The X-Men are hated, feared and despised collectively by humanity for no other reason than that they are mutants. So what we have here, intended or not, is a book that is about racism, bigotry and prejudice.” —Uncanny X-Men writer Chris Claremont, 1981
Siamo reduci, nel bene e nel male, dalla visione di X-Men Apocalypse, la ristrutturazione dell’universo Marvel ha preso in pieno anche le pagine delle testate dedicate ai nostri Mutanti preferiti e quindi non c’è momento migliore per sederci qui intorno al fuoco e approfondire un aspetto tra i più chiacchierati della creazione di Stan Lee e Jack Kirby, quello allegorico, sotterraneo (e neanche tanto) che permea la filosofia narrativa dell’intera saga.
Per spiegare gli argomenti trattati in questo piccolo saggio, ho preso in considerazione sia la versione cartacea del Mito degli X-Men, che la sua controparte cinematografica, visto che, almeno nei primi film, sono tangenti e abbracciano gli stessi principi di fondo. Personalmente, sono stato sempre affascinato da Wolverine e compagni, mi sono piaciute le storie che ho letto e che ho guardato, perché in un certo modo mi sembravano estremamente dure e profonde, per essere dei fumetti. Dapprincipio non riuscivo a focalizzare da dove venisse tutto questa empatia, questo entusiasmo per questi mutanti e pensavo che fosse solo perché erano semplicemente affascinanti, superiori, potenti. Ci ho messo un po’ di tempo per arrivare alla conclusione che gran parte delle pagine che avevo sfogliato, al netto delle cazzate e delle mazzate, cercavano in qualche modo di raccontarmi un’altra storia, ancora più violenta, avvincente e drammatica dei quella di ‘superficie’. Ci ho messo un po’ di anni e ho dovuto far passare un sacco di acqua sotto i ponti per poter finalmente iniziare una (ri)lettura critica di Xavier e compagni.
Fin dall’Inizio
La prima cosa che mi mancava per arrivare a comprendere anche solo vagamente gli X-men era il momento in cui erano stati creati. Facile dirlo adesso, sembra che lo sappiano tutti, grazie al seguito mediatico che il franchise sta avendo con la produzione cinematografica, ma qualche anno fa la situazione era diversa. Ho dovuto scoprire da me che quando Stan Lee e Jack Kirby si sedettero al tavolo per creare la loro squadra di mutanti era il 1963, e loro stavano cercando in parole povere di mettere a punto una squadra di supereroi che facesse da contraltare alla Doom Patrol, testata DC che metteva in gioco tre reietti, (Elasti-girl, Negative-Man, Robot-man), resi diversi dai più classici incidenti, e capeggiati da Niles Caulder, un ingegnere ridotto sulla sedia a rotelle. Eh sì, diciamo che di somiglianze ce ne sono pure tante. Ma a questo punto entrò in gioco la genialata del duo Marvel. Abbandonarono l’idea dell’incidente e introdussero quello della Mutazione, rendendo i loro eroi degli umani ‘migliorati’. Questa era solo la prima parte del loro progetto che presto prese in prestito a piene mani gli eventi che stavano insanguinando l’America in quel periodo. Era il momento in cui gli attriti razziali erano quasi al culmine, con i Neri che cercavano di conquistare tutti quei diritti che per i Bianchi erano quasi incontrovertibili. Era il tempo di Martin Luther King e Malcolm X, era il tempo in cui per le strade di New York si respirava quasi aria di rivolta, in cui molte convinzioni e pregiudizi venivano a galla, come melma radioattiva, in cui il bigottismo mostrava la sua faccia arcigna e malevole. Era il tempo in cui nacquero gli X-Men, figli del loro tempo più di quanto possiamo immaginare.
Il retaggio e la finzione
Non sapremo mai se era davvero nelle intenzioni degli assi della Marvel di introdurre nei loro fumetti la critica sociale che poi ci abbiamo trovato, ma sono più propenso a credere che sia stata un’evoluzione narrativa e semantica quasi spontanea. Il retaggio che i primi numeri di X-Men si portano appresso è proprio quello della New York degli anni Sessanta, il fermento e le lotte, poi ingigantito nella descrizione di tutti i temi cari agli uomini e alle donne di Xavier. In primis, il Razzismo, immediato e visibile: gli X-Men non sono accettati, perché considerati DIVERSI, reietti e allontanati perché non compresi, temuti per i loro poteri acquisiti solo per una questione meramente genetica. La Società non vuole che gli X-Men vivano la loro vita nella stessa maniera in cui gli altri cittadini vivono la loro. Questo è un punto cardine dell’intera concezione dell’Universo dei Mutanti, introdotto da Chris Claremont, uno degli autori più importanti per la definizione della serie. Guardando bene tra le righe, il razzismo e le sue diverse declinazioni sono palpabili in ogni pagina del fumetto e sono state perfettamente introdotte nella sega cinematografica, che invece si avvale di citazioni ad avvenimenti avvenuti realmente, trasponendoli in chiave allegorica su pellicola. Se ci fermiamo un momento a guardare il primo film, X-Men, nelle scene iniziali in cui si discute di cosa farne, di questi mutanti, non può mancare un certo moto di repulsione, come se davvero ci fosse qualcosa di sbagliato in quel modo di esporre il problema (sempre se c’è davvero un problema), con la celebre frase del senatore Kelly: ‘I think the American people deserve the right to decide whether they want their children to be in school with mutants, to be taught by mutants’, [Io penso che gli Americani meritino il diritto di scegliere se i loro figli vadano a scuola con i mutanti o no, o che prendano lezioni dai mutanti].
Queste parole (o qualcosa di simile) erano state pronunciate negli anni cinquanta e sessanta, solo che invece della parola Mutanti c’era il riferimento ai NEGRI. Con questa sequenza introduttiva, il film anche meglio del fumetto per la sua immediatezza, mette subito in chiaro che il vero nemico degli X-Men non sono solo gli altri superumani, o qualche nemesi interstellare, ma gli Uomini stessi, pavidi e spaventati di fronte a qualcosa che non capiscono e non vogliono accettare. Da questo incipit, nascono e crescono i personaggi di Magneto e Xavier che rappresentano due diverse soluzioni al dilemma su come comportarsi in una situazione così socialmente alienante. Magneto è colui che vuole passare subito all’azione, vuole raggiungere la libertà, con qualsiasi mezzo, vuole la prevaricazione del genere umano, che non può capire altra parola se non quella armata, anche per i suoi trascorsi drammatici da sopravvissuto all’Olocausto nazista. È lui che afferma che se un umano lancia una bottiglia a un mutante, allora il mutante deve rispondere lanciandogli un’automobile. Magneto per questo suo modo di fare aggressivo è stato paragonato (giustamente) a Malcolm X e alle sue lotte senza quartiere. Dall’altra parte c’è Xavier, professore ridotto su una sedia a rotelle, che invece invoca la mediazione, vuole che i Mutanti e gli umani vivano insieme pacificamente, che l’integrazione sia conquistata un passo alla volta. Lui rappresenta la speranza di una perfetta convivenza, Xavier ‘ha un sogno’, un po’ come ai suoi tempi ci raccontava Martin Luther King.
La parte migliore
Questa dicotomia di scelte è molto accentuata nel film, invece nei fumetti è assai diluita tra tantissime linee narrative presenti, soprattutto dopo che Claremont ha introdotto (genialmente) tutte le sottotrame da soap-opera. Nonostante tutto, la scelta di operare con Magneto o Xavier è lo stesso molto forte, anche tra le pagine delle varie testate. Certo, è interessante analizzare le due posizioni, perché ci si accorge come né l’una né l’altra sia perfetta, ma anzi, ambedue mostrano il fianco a critiche e difetti anche macroscopici. Iniziamo da Magneto. Lui vuole la prevaricazione in un certo senso. Sa che l’evoluzione con il gene X ha prodotto degli esseri umani Super Sapiens, per molti aspetti migliori, SUPERIORI. Da questo presupposto è convinto che gli esseri umani non sono più adatti a governare il pianeta e che quindi devono essere destituiti.
L’unico modo per farlo è AGIRE, nel segno del più crudo radicalismo. Esattamente come, anni e anni fa, professava Malcolm X. “I am for violence if non-violence means we continue postponing a solution to the American black man’s problem just to avoid violence” [Io sono a favore della violenza, se la non-violenza serve solo a posticipare la soluzione al problema dei Neri d’America solo per evitare la violenza.] Con queste parole Malcolm X giustificava l’uso della forza e della violenza, che per lui erano l’unico modo per raggiungere il risultato, la soluzione ai problemi dei Neri d’America. Magneto fa la stessa cosa, professa un radicalismo estremo, che purtroppo, anche se animato dalle migliori intenzioni, porta solo alla violenza e alla ancora più estrema radicalizzazione delle conseguenze razziali, in una spirale di odio che crea odio. Xavier invece ha una posizione diversa, che nell’ottica del buonismo più dolciastro, prevede che siano i mutanti a tendere la mano verso i loro oppressori, in modo da mostrare di essere di animo buono. Xavier incarna il cosiddetto gradualismo, che prevede il raggiungimento di una soluzione in maniera pacifica, con una ricetta a base di bei discorsi e pacche sulle spalle. Indubbiamente, la tempistica e i risultati di questo approccio non sono ottimali, anzi, in definitiva (il film ce lo fa vedere fin troppo bene) non serve veramente a un cazzo, tanto che alla fine esplode una vera e propria guerra. Inoltre su questo tipo di ragionamento pesa un tremendo assunto, che sopratutto oggi sta andando tanto di moda: ribaltare il discorso e far in modo che l’oppresso si senta quasi in colpa verso l’oppressore.
Ragioniamo: perché un popolo alla mercé sconsiderata di un altro dovrebbe muovere il primo passo verso una soluzione pacifica? Perché dovrebbe essere l’oppresso a offrire la chance all’oppressore? Per certi versi sembra tanto l’argomentazione odiosa in caso di stupro: è colpa della donna perché era poco vestita. In questo caso, invece si avalla la giustificazione che è un po’ colpa di Wolverine e soci che sono mutanti e gli umani si comportano solo di conseguenza. In più, sempre per voler rompere il ritratto di essere perfetto di Xavier, facciamo tutti caso al fatto che da una parte lui desidera tantissimo l’integrazione e poi, come per magia, tutti i ragazzi mutanti sono abilmente segregati e ghettizzati in una scuola esclusiva. Non è questo l’inizio o una parte di quello che voleva fare Magneto? Non significa questo considerare i mutanti degli essere superiori, diversamente dotati? In un certo modo, come possiamo vedere, i due pensieri, per quanto lontani, arrivano addirittura a essere tangenti, così da andare a chiudere il cerchio e mostrare la vera faccia dell’intolleranza.
Tra bigotti e schiavisti
Se abbiamo finora visto come nell’Universo degli X-Men vengono immaginati i Mutanti e la loro lotta per la rivendicazione dei loro diritti, facciamo un piccolo salto di barricata e vediamo chi invece si oppone alla loro causa. Dapprima sono le Istituzioni, ovviamente, come abbiamo visto, con la dichiarazione della registrazione dei mutanti, ma poi si instaura un circuito di intolleranza che coinvolge organismi parareligiosi, come al Force of Humanity e la Church of Humanity, che invocano alla ghettizzazione e eliminazione della ‘minaccia mutante’. Chiaramente, il riferimento storico di queste congreghe è quello del Ku Klux Klan e dei Movimenti Di Supremazia Bianca che incendiavano le croci nei campi dell’America del Sud e linciavano i Neri senza pietà.
Con la gestione Claremont delle testate dedicate agli X-Men arrivò poi quel piccolo capolavoro che fu Giorni di Un Futuro Passato, dove il futuro immaginato è un incubo di matrice nazista, che ha dell’agghiacciante nella sua brutale semplicità. Le Sentinelle, i campi di concentramento per i Mutanti, la marchiatura con la lettera M, fa decisamente pensare all’incubo della Seconda Guerra Mondiale, ma non è il solo riferimento storico, anche se decisamente il più immediato. Claremont stesso afferma che in realtà quello che ha immaginato è la summa di tutti i totalitarismi su base etnica, dove possiamo vederci la Cambogia (ricordiamo che siamo negli anni 70…) e il Vietnam, lo schifo che c’era in Russia, l’Apartheid in Sudafrica. Purtroppo di esempi da citare se ne sono tantissimi, anche se per una questione di impatto nell’immaginario collettivo, l’olocausto ebreo è quello che più salta agli occhi. Come se questa situazione non fosse già abbastanza cruda, tra le tante tematiche affrontate o ricercate all’interno della saga c’è la visione del Mutante come un diverso INFERIORE, un essere vivente indecente, trattato alla stregua degli animali, esattamente come in anni purtroppo molto vicini a noi venivano considerati gli schiavi, tenuti sotto il giogo dell’uomo bianco, solo perché così ‘potevano vivere una vita produttiva e felice’. L’incarnazione perfetta di questa drammatica piega degli eventi è proprio Wolverine, costretto a subire le torture più indicibili, per il gusto macabro di alcuni scienziati militari dediti alla ricerca dell’arma umana più devastante che ci potesse essere. Gran parte delle azioni di Wolverine sono poi riconducibili a questa disavventura, alla sua ricerca non solo di vendetta, ma anche di pace interiore, una pace che non riesce a trovare perché purtroppo da una parte non è accettato dal resto del mondo, dall’altra lui stesso non riesce ad accettare la sua condizione. Ancora una volta, anche se navighiamo tra i flutti di una saga fantascientifica, i riferimenti e i rimandi alla nostra drammatica realtà quotidiana sono tali e così lampanti da poter creare una lettura completamente alternativa dell’intera storia.
Adolescente e sessualmente indeciso
La ricerca delle diversità ha coinvolto poi aspetti della vita quotidiana che stanno emergendo e venendo agli onori della cronaca in questi mesi. Ritornando alla loro creazione, gli X-Men erano stati immaginati da Lee e Kirby come degli adolescenti, aggiungendo quindi alle tematiche di largo respiro dei pregiudizi e del razzismo, anche quelle più intime, interiori, come quella dell’accettazione di se stessi e della propria diversità. In pratica gli X-Men non solo devono combattere con le continue angherie di un mondo che non li vuole, ma ancora prima devono cercare di venir a patti con loro stessi, quando nella pubertà, tutti i poteri racchiusi nel gene X si manifestano.
Ancora una volta una facile lettura allegorica ci porta dalle parti degli stravolgimenti ormonali che fanno diventare i quattordicenni irascibili, folli, fastidiosi e ribelli, tutto contemporaneamente. E non è tutto qui. Il messaggio sessuale, anzi, di inadeguatezza sessuale è estremamente presente all’interno della saga degli X-Men, sia in maniera esplicita che in maniera implicita. Nel primo caso, basta chiamare in causa Mistyca, sempre in bilico tra le mille forme in cui può cambiare, un modo sottile di immaginare i patemi che attraversano tutti quei ragazzi e quelle ragazze che non riescono a riconoscersi nell’identità sessuale che si mostra davanti allo specchio. Certo si può essere più o meno d’accordo con questa lettura, ma indubbiamente, aiuta a riflettere come ogni giorno, in un modo o nell’altro, c’è qualche essere umano che sta attraversando le stesse pulsioni e gli stessi dolori, discriminato e allontanato, senza neanche il conforto di avere un superpotere. Molto più sottilmente, soprattutto nel secondo film di Bryan Singer, viene introdotta l’idea di fare x-outing. Nella celebre scena di Bobby che mostra per la prima volta ai suoi genitori il suo potere mutante, che confessa di essere diverso, c’è la frase della mamma che chiede: ‘Hai provato a non essere mutante?’, come se fosse una condizione in cui a ciascuno sia data libera scelta. Analogamente, purtroppo, i gay e le lesbiche si trovano costretti a contestare l’idea che la loro condizione sia PATOLOGICA, laddove invece è stato più e più volte dimostrato che non è così, che è solo un diverso modo di esistere.
All New All Different
Siamo in dirittura d’arrivo, dopo un sacco di parole e tante riflessioni ci manca l’ultima vera domanda. E ora? Ora la situazione è un po’ difficile da raccontare. Un’enorme critica mossa al fumetto nella sua nuova incarnazione dopo le guerre segrete l’ha scritta Adam Sorice, che ha sottolineato alcune debolezze delle nuove scelte narrative appena iniziate. Da una parte, sicuramente, continua il discorso sulla diversità e sui pregiudizi, ma le conseguenze narrative sono sempre le stesse, in questo caso si è presentato un nuovo pericolo di genocidio a scapito dei mutanti e che coinvolge collateralmente gli umani.
Ed è il terzo, in meno di otto anni. Secondo Sorice, forse è il caso di cominciare a puntare lo sguardo verso nuove soluzioni anche più estreme o meno popolari, più di nicchia, esattamente come anni fa fece a sua volta Claremont, facendo ridiventare questa saga una pietra miliare del fumetto come denuncia sociale, cercare di far vedere come questi mutanti vivano la loro vita ogni giorno, al di là delle battaglie all’ultimo quartiere e le minacce mondiali.
Con questo lungo articolo abbiamo dimostrato come anche le storie a fumetti così tanto bistrattate e etichettate come roba per bambini, possono contenere un messaggio interessante e universale, possono anche scatenare dibattiti e prese di posizione, perché come scriveva Stephen King, La finzione è la verità dentro una bugia.
Nota bibliografica.
Per arrivare a scrivere questo articolo ho letto e riletto un sacco di roba in giro per l’internet, sfogliato e fior di fumetti e rivisto alcuni dei film della saga. Tra tutte le cose in cui mi sono imbattuto vi consigli questi, che sono decisamente i più meritevoli:
https://theresapablos.com/x-men-as-an-allegory/
https://www.psychologytoday.com/blog/between-the-lines/201106/the-racial-politics-x-men
http://www.themarysue.com/x-men-should-discuss-real-social-issues/
https://ejas.revues.org/10890