Amanda Seyfried è la protagonista de L’apparenza delle cose, nuovo horror di Netflix alquanto deludente

Siamo nel 1980, e la restauratrice d’arte Catherine Clare si trasferisce, insieme al marito George e la figlia Franny, dal centro di Manhattan al cuore della campagna newyorkese. La nuova casa in cui vanno ad abitare nasconde però dei segreti più oscuri di quanto possa sembrare, che porteranno pian piano allo sgretolamento del nucleo famigliare di Catherine.
Questa è la semplice premessa de L’apparenza delle cose, nuovo film di Netflix che porta sul piccolo schermo i tratti caratteristici dell’horror per unirli al genere del dramma domestico, con dei risultati però a dir poco scadenti.

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Dal romanzo al piccolo schermo di Netflix

Tratto dall’omonimo romanzo di Elizabeth Brundage, L’apparenza delle cose è diretto dalla coppia di registi Shari Springer Berman e Robert Pulcini, coniugi americani famosi principalmente per diverse pellicole indipendenti come American Splendor e Il diario di una tata. A ricoprire i ruoli di protagonisti troviamo invece Amanda Seyfried e James Norton, che non riescono purtroppo a convogliare delle interpretazioni soddisfacenti. La direzione degli attori non è tra le migliori, così come in generale la regia di Berman e Pulcini, piena e zeppa di inquadrature e movimenti di macchina sofisticati ma completamente fini a sé stessi. Saltuarie scene girate con quella che sembra essere una sorta di GoPro, fanno inoltre storcere il naso a causa della loro scarsissima qualità video. Un modo, forse, per la coppia di registi di mantenere vivo un proprio spirito indipendente, nonostante la presenza di Netflix dietro alla distribuzione.

Ma il vero tasto dolente de L’apparenza delle cose è la struttura generale della storia. Molte situazioni vengono portate in scena senza un vero e proprio senso logico, e il carattere e il comportamento dei personaggi sembra molto spesso superficiale o irrazionale. Diverse caratterizzazioni di Catherine, per esempio, vengono esposte dal film per poi essere lasciate in sospeso come puro adornamento caratteriale, inutile ai fini del racconto. A James Norton è riservato il personaggio peggiore, visto che durante le due ore che compongono la pellicola sviluppa quelli che sono probabilmente tutti i difetti possibili e immaginabili che una persona possa avere, trasformandosi durante il terzo atto in una macchietta più comica che spaventosa.

https://youtu.be/mon3obUwmJ0

L’arco evolutivo del personaggio di George vorrebbe essere, sulla carta, un commento sul machismo e la società patriarcale di inizio anni ’80, con relativa critica all’edonismo e la continua rincorsa del classico sogno americano. Nella pratica, questi commenti vengono portati in scena in una maniera talmente didascalica che è difficile riuscire a vedere oltre lo spesso velo di artificio e falsità. L’interpretazione di Norton è finta, così come lo sono le situazioni in cui i personaggi si muovono e si confrontano.

L’apparenza delle cose ci prova a distinguersi dal resto dei racconti di case infestate di Netflix. Il fulcro tematico del film ruota intorno alla filosofia di Emanuel Swedenborg, teologo e medium svedese considerato tra i precursori dello spiritismo. Buona parte della storia viene infatti dedicata all’esplicazione del pensiero di Swedenborg, che vedeva la morte come un evento parallelo alla nascita e con proprietà divine. Anche il pittore americano George Inness, seguace della filosofia swedenborghiana, riveste un ruolo importante nell’ecosistema dell’opera. I paesaggi di Inness si ricollegano all’idea che tutto nel mondo naturale ha una controparte nel regno spirituale, e che la morte non è nient’altro che l’inizio di un nuovo viaggio.
Nella sua componente più horror, il film di Berman e Pulcini sembra essere genuinamente interessato all’esplorazione di queste filosofie, ma in ogni caso fallisce ad applicarle organicamente al tessuto narrativo del racconto. Anche le (rare) punte horror proposte mancano il bersaglio, e non riescono a suscitare nello spettatore alcun senso di suspense e terrore per quello che accade, annoiando e scocciando piuttosto facilmente.

https://youtu.be/mon3obUwmJ0

Questo nuovo film di Netflix risulta quindi insufficiente sotto praticamente ogni punto di vista. Gli attori non sono per niente nella loro forma più smagliante, la regia è piena di scelte discutibili o fini a sé stesse e la storia fa acqua da tutte le parti proponendo situazioni poco credibili e uno sviluppo tematico fin troppo poco congegnato. L’apparenza delle cose è un’operazione che non fa una buonissima figura all’interno che dal catalogo di Netflix, e finirà molto presto nel dimenticatoio. Dispiace trattar così male un film dalla quale si evince comunque una sincera voglia di raccontare un dramma di genere attraverso un certo tipo di filosofia che si muove tra l’arte e l’esoterismo. Ma i buoni propositi, si sa, non sono sufficienti per portare a termine dei lavori soddisfacenti.