I motivi per cui il Cinema Italiano stia finendo ai margini di una virtuale classifica mondiale di stima ed interesse sono indubbiamente tanti, così tanti che potremmo creare un portale per parlane, anziché farlo in questo articolo. Ed infatti non faremo nessuna delle due cose, ma andremo a cercare il pelo nell’uovo. Visto che l’uovo è pure marcio, cerchiamo di capire quale tra queste innominate cause sia pressoché evidente e d’impatto: le traduzioni dei titoli stranieri.
Abbiamo così tanti esempi da consumare la tastiera, e potremmo persino divertirci a dividerli per genere. Una delle categorie più amate dalle case di distribuzione italiane è quella a sfondo matrimoniale; praticamente vogliono far sposare tutti, ed infilano titoli di genere anche dove c’entra poco o niente. Subito dopo abbiamo le “liste”; e qui spesso ci imbattiamo in nomi originariamente brevi, che vengono invece deturpati barbaramente e trasformati in cose tipo “Scappo dalla città: la vita, l’amore, le vacche”.
Dei titoli esasperati ne vogliamo parlare? Per quale stramaledetto motivo “Dead Poets Society” deve diventare “L’attimo fuggente”?
Anche se piuttosto che spezzare una lancia in favore di questi titolisti da strapazzo, preferiremmo scagliargli contro un plotone di arcieri, dobbiamo dire che esistono alcuni rari casi in cui il nostro adattamento è stato azzeccato e forse ha persino migliorato l’originale, come ad esempio “Non aprite quella porta”, al posto di “The Texas ChainsawMassacre”.
Le categorie ovviamente non finiscono qui, ma vogliamo risparmiarvi la buccia ed andare direttamente al succo:
10) C’ERA UNA VOLTA A NEW YORK (The Immigrant) – di James Gray
Nel 1984 il capolavoro di Sergio Leone, Once upon a time in America, fu correttamente tradotto nel noto C’era una volta in America. La vergogna di un simile gesto passò ai più inosservata, visto lo spessore del film in questione. La pericolosità di questa azione creò però le basi per nefandezze future, facendo scuola ed ingolosendo dapprima registi come Rodriguez, ma poi – purtroppo – anche i distributori italiani che hanno ben pensato di trasformare l’innocente The Immigrant in qualcosa che potesse attirare di più la massa: C’era una volta a New York.
Caro Sergio, se solo ti fossi opposto…
9) MAIAL COLLEGE (Van Wilder) – di Walt Becker
Molto probabilmente di un simile “capolavoro” non importa niente a nessuno, eppure esiste un motivo per il quale non possiamo far finta di niente.
Tra tutti i trash movie degli ultimi 20 anni, quelli in cui tette, culi, volgarità multiple e smisurate costituiscono il punto di letteratura più alto, la fatica cinematografica di Walt Becker può sicuramente ambire alla palma del vincitore o quantomeno al podio. Perché mai allora prendersi addirittura la briga di modificare un titolo che conteneva la demenza dentro i quattro angoli dello schermo, passando dall’originale Van Wilder (tra l’altro è il nome del protagonista) al più diretto Maial College?
Con una locandina in cui figura Tara Reid (che l’apparizione più autorevole della sua carriera l’ha fatta in American Pie) oltretutto in costume e con una maglietta con la faccia di un maiale, temevate potessimo pensare fosse un biopic sull’inventore dei mulini a vento?
8) BELLI E DANNATI (My Own Private Idaho) – di Gus Van Sant
Ecco uno dei celebri capolavori del filone dell’esasperazione. Il compianto River Phoenix e Keanu Reeves danno vita ad un’intensa performance in grado di assecondare il desiderio di dramma e pathos del regista. Ma anche dei distributori italiani, a quanto pare.
Qui in particolare l’irritazione per una traduzione così assurda è doppia, perché “Belli e Dannati” è anche il titolo di un romanzo di Scott Fitzgerald, quindi oltre all’opera di invereconda furberia c’è persino l’aggravante. Immaginate cosa potrebbe accadere se in futuro uno sventurato regista decida di realizzare un film sul citato libro di Fitzgerald. A qualcosa del tipo “C’era una volta la dannata gioventù in America” potremmo non abituarci mai.
7) L’AMORE BUGIARDO (Gone Girl) – di David Fincher
E’ stato fatto di peggio, lo sappiamo. Eppure non possiamo non diventare verdi d’ira per un titolo del genere. Se non avete visto il film è un vostro problema, e non prendetevela con noi, semmai insultate chi l’ha tradotto in questo modo osceno e provate a darmi una spiegazione al seguente quesito: che motivo c’era di rovinare uno stupendo thriller inattaccabile, ammiccando alla soluzione già nel titolo? Tanto vale che il prossimo film giallo in arrivo dall’America lo traduciate “L’assassino è il maggiordomo”. Mettendo il colpevole in copertina, ovviamente.
6) QUANDO L’AMORE BRUCIA L’ANIMA (Walk the line) – di James Mangold
Un film che parla della vita di Johnny Cash, titolato adeguatamente Walk the line, come una delle sue più belle canzoni, con un testo ed una musicalità profonda, folle ed intensa come la vita del cantautore statunitense. Quindi come lo traduciamo in Italia?
Quando l’amore brucia l’anima, è ovvio. Altrimenti come coinvolgiamo le masse che non sanno neppure chi sia Cash, e che pensano invece di potersi straziare un po’ con qualcosa di romantico, drammatico e rigorosamente commerciale?
5) LA MIA DROGA SI CHIAMA JULIE (La sirène du Mississippi) – di François Truffaut
Il povero Truffaut doveva avere un conto in sospeso con chi si occupava della traduzione dei titoli dei suoi film: non c’è altra spiegazione. Qui ne abbiamo voluto scegliere uno, ma avremmo potuto pescare qualsiasi altra cosa dal mazzo della sua filmografia, e citare roba tipo “Mica scema la ragazza” o “Non drammatizziamo…è solo questione di corna”; buttati lì a caso naturalmente.
Se il regista francese l’avesse saputo prima avrebbe forse evitato di distribuire le sue pellicole in Italia. Oppure avrebbe chiamato a recitare Lino Banfi.
4) A VENEZIA… UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING (Don’t Look Now) – di Nicolas Roeg
Un buon film drammatico con una delle scene erotiche più intense di sempre, trasformato in un film erotico con intense scene drammatiche. Vorremmo capirne il motivo.
Se vogliamo autoqualificarci come un popolo di “magnaccia” (cinematograficamente parlando) ci bastano le repliche dei film degli anni ’80 con Pippo Franco ed Edwige Fenech; non serve deturpare quelli stranieri.
3) PRIMA TI SPOSO, POI TI ROVINO (Intolerable Cruelty) – di Joel & Ethan Cohen
E pensare che i fratelli Coen erano riusciti a salvarsi dalla pena di morte per i loro titoli, quasi tutti tradotti – ovviamente – ma almeno in maniera letterale.
Poi è arrivato Intolerable Cruelty, con George Clooney e Catherine Zeta-Jones, e si è deciso di trasformarlo in una commedia romantica demenziale. Sia chiaro, se l’avessero fatto con Fargo o Il Grande Lebowsky avrei organizzato manifestazioni in piazza, ma anche se non siamo di fronte ad uno dei migliori prodotti Coeniani, era proprio necessario uccidere brutalmente un film di due registi così bravi ed affermati?
2) ALLA BELLA SERAFINA PIACEVA FAR L’AMORE SERA E MATTINA (La fiancee du pirate) – di Nelly Kaplan
Qui rasentiamo l’assurdo. Nemmeno sotto un’anomala ed improvvisata regia di Alvaro Vitali avremmo potuto assistere ad uno scempio simile. Che si tratti di una commedia francese di fine anni ’60, nemmeno così osannata dalla critica, poco ci interessa; a questo punto mettiamoci a bruciare pellicole o ricicliamole in qualcosa di vendibile in un sexy shop.
1) SE MI LASCI TI CANCELLO (The Eternal Sunshine of a Spotless Mind) – di Michel Gondry
Ladies & Gentlemen, ecco a voi il capolavoro assoluto, quello che se ci fosse un premio Oscar per i titoli di merda, farebbe strike di statuette. C’è Jim Carrey protagonista, ma non c’è “culo” e non ha bisogno di “mentine per rinfrescarsi l’alito”, nonostante il titolo sembri realizzato proprio in quei momenti della giornata in cui poi si tira lo sciacquone. La sorpresa sarà stata grande per chi decise a suo tempo di entrare in sala solo per tirarsi i poc-corn e si trovò di fronte ad un gran bel film.
Continuate a cancellare il Cinema così, mi raccomando.