Le Mans ’66 – La Grande Sfida: James Mangold realizza, ancora una volta, un film eccezionale
Poco meno di 15 anni fa avevamo apprezzato James Mangold in Walk the Line – deturpato dalla traduzione italiana che lo titolò Quando l’amore brucia l’anima – in cui faceva il bello e cattivo tempo come protagonista quel Joaquin Phoenix che adesso ha conquistato tutti col suo originale Joker, ma che anche allora fu artefice di una performance sconvolgente, nei panni di Johnny Cash. Una vera passione quella di Mangold per il Man in Black, che qualche anno dopo mise prepotentemente piede in un altro masterpiece di tutt’altro genere: Logan, con la bellissima e dolorosa Hurt a fare da soundtrack.
Siamo nel 2019 e il regista porta sul grande schermo un nuovo film, ancora una volta aggredito dalla traduzione italiana sebbene stavolta i risultati siano diversi (e poi vedremo perché): Ford V. Ferrari diventa Le Mans ’66 – La Grande Sfida (dal 14 novembre al cinema).
Qui non c’è traccia di Johnny Cash, sebbene James Mangold si porti comunque appresso buona parte della sua troupe di fiducia, che quindi aveva già preso parte ai principali film del cineasta. Ritrova pure un attore che aveva diretto in un’altra importante pellicola, il remake di Quel treno per Yuma: Christian Bale; al cui fianco c’è stavolta Matt Damon.
In Le Mans ’66 l’amore che brucia l’anima è quello per le corse automobilistiche, per la velocità e l’adrenalina, per la vittoria a qualunque costo. E brucia davvero, come i freni surriscaldati delle prime vetture da corsa, in quelle gare dove la soglia del pericolo era altissima e si sperimentavano idee e innovazioni sulla pelle dei piloti, sfidando la resistenza dei mezzi tecnici di cui disponevano e la sopportazione umana. Come infatti una gara di 24 ore senza sosta, la Le Mans, lascia intuire.
Le Mans’66: La sfida nella sfida
Se in The Fighter Christian Bale aveva vestito i panni di un folle coach del fratello lottatore (Mark Wahlberg), qui passa dall’altra parte della barricata ed è lui, Ken Miles, il pilota designato a fare la storia, sebbene mantenga quasi inalterato quel livello di follia che lo rende inviso ai vertici della Ford, i quali vorrebbero al suo posto un uomo-immagine, al contrario di quello che il suo amico Carroll Shelby (Matt Damon) sostiene: ovvero che per vincere la Le Mans serva un pilota in grado di farlo; il resto sono chiacchiere.
Tra i due c’è un’amicizia profonda che resiste agli strappi dovuti alle scelte non sempre facili che ha dovuto operare Carroll, o agli atteggiamenti sopra le righe di Ken. Sembrano incompatibili, eppure sono incredibilmente vicini, forse perché legati dalla stessa passione e dalla stessa voglia di primeggiare.
La sfida nei quali i due protagonisti si tuffano fa parte in realtà di una ancor più grande, cioè quella tra Ford e Ferrari e forse è in questo che il titolo italiano per una volta fa centro, poiché pone l’accento sulla vicenda legata ai protagonisti Ken Miles e Carrol Shelby, che non riescono a staccare i piedi dalla pista e gli occhi dal cronometro. Quello originale inglese invece sembra guardare più alle scrivanie e a chi a pensa quasi esclusivamente ai soldi, come Enzo Ferrari (Remo Girone) o chi non è mai salito su un auto da corsa e si presenta a Le Mans a bordo di un elicottero, cioè Henry Ford II (Tracy Letts).
James Mangold tratta questa storia intensa con i guanti, senza tralasciare nulla e prendendosi il tempo che gli serve fino ad arrivare a 2 ore e mezzo che nonostante tutto scorrono piuttosto agevolmente, tra corse sulle piste che il regista vuole farci vedere da vicino, quasi facendoci percepire il calore dell’asfalto e il sudore e la tensione dei piloti, per entrare poi nella sfera più intima e privata dei suoi protagonisti. Alla fine di Le Mans ’66 ci sembra di conoscere alla perfezione tutti gli interpreti della storia, poiché Mangold delinea il profilo psicologico anche di coloro che restano, apparentemente, più in disparte, ma bastano poche battute ben assestate per farceli apprezzare e comprendere le loro azioni.
E così, oltre alle incredibili prove attoriali di Christian Bale e Matt Damon (c’erano dubbi?), estremamente diversi ma carismatici e determinati in egual misura, segnaliamo l’ottima performance, subdola e spietata di Josh Lucas nei panni di Leo Beebe, ma soprattutto l’interpretazione di Jon Bernthal (Lee Iacocca), misurato, schietto, collante perfetto tra i vertici della Ford e gli uomini della pista.
James Mangold, insomma, fa centro ancora una volta e taglia il traguardo da vincitore, perché Le Mans ’66 – La grande sfida è un film che, anche a fargli le pulci, di difetti ne ha davvero pochi e ci catapulta in un’atmosfera fantastica. Sa andare ad un ritmo pazzesco, quando vuole, sa superare i 7 mila giri ma sa anche quando deve rallentare per farci cogliere tutte le sue sfumature, e farci apprezzare un’opera che sembra già un grande classico.