Durante la fiera cosentina Le Strade del Paesaggio abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con Marco Soldi, fumettista italiano che collabora dagli anni ’90 con Bonelli e che è noto – tra le varie cose – per essere un disegnatore per Dylan Dog e Julia.
Soldi ha risposto con professionalità e cordialità alle nostre domande.
Sei da molti anni un illustratore per Bonelli, con Dylan Dog, ed anche copertinista. Nel contesto odierno come vedi questa “rinascita del fumetto”?
Ho formulato la teoria che la crescita dei festival del fumetto è inversamente proporzionale alle vendite: crescono di numero i festival nello stivale ma si abbassano le vendite, e per lo più queste ultime sono relative al fumetto popolare ed oggi non si fanno i grandi numeri che si facevano una volta.
Come la crisi del mercato del fumetto da edicola.
Esatto. Infatti il fumetto popolare lo si può identificare proprio col mercato da edicola. Contestualmente però c’è una grande vitalità in questo ambiente e sembra che adesso si siano scoperte queste “famose” graphic novel, che ovviamente non sono nient’altro che fumetti con un nome messo lì tanto per dargli una dignità superiore. C’è quindi questo fiorire di storie ed autori ed Internet aiuta sicuramente a scoprire nuovi talenti. Io direi che il fumetto è estremamente vitale: si vedono tantissime cose di ottima fattura e di ottimo livello, e dal punto di vista creativo il medium sta benissimo. Non sta bene dal punto di vista dei numeri, delle vendite, dei guadagni e penso pure delle retribuzioni degli autori, anche perché non so come stanno tutti i vari novellini ma da quello che ho potuto verificare non se la passano poi benissimo.
C’è un po’ di mistero sotto questo punto di vista. C’è chi parla di una crisi di vendite, c’è chi invece dice che si sta bene. Internet per esempio potrebbe rivelarsi uno spiraglio che però svuota l’arrivo di contenuti tramite la vecchia maniera.
L’avvento di Internet fa pensare alla possibilità di nuove piattaforme che ospitino i fumetti, che possono essere letti senza spendere nulla su piattaforme digitali, e probabilmente si svilupperanno in questo campo, ma ciò non è sconfortante visto che del disegnatore c’è sempre bisogno. La mia impressione è che il fumetto non morirà mai, per la sua natura, per essere un mezzo così naturale, in quanto si possono unire parole e immagini e fare una narrazione, oltretutto estremamente economica, perché puoi raccontare vicende abnormi con pochi mezzi tranne la fatica del disegnatore. Quindi sull’esistenza del fumetto mi sentirei di scommettere, però il fatto che sempre meno persone riescano a camparci avendolo come unico impiego mi sembra quasi ineluttabile; si restringe sempre di più il campo di quelli che vivono solo di questa professione.
E questo è paradossale in quanto sta aumentando l’offerta.
L’offerta è maggiore sotto tutti i punti di vista, sia per quanto riguarda autori validi, sia per quanto riguarda offerte editoriali.
Come cambiano gli editori e le case editrici a riguardo?
Sembra che tutti gli editori scelgano la via che porta a moltiplicare le testate. Questo causa quel fenomeno per cui chi acquista dieci testate ne acquista anche quindici, magari però non ne acquisterà venti, quindi diminuiscono le vendite e aumentano le testate. Ad ogni modo questo bisognerebbe chiederlo nel dettaglio agli esperti del settore, che hanno i dati in mano.
Quindi è un campo d’ipotesi difficile.
Sì, è difficile offrire anche prodotti nuovi, almeno per quello che riguarda i personaggi seriali, che hanno la concorrenza delle serie televisive che molto spesso sono fatte veramente bene, e non sono più i telefilm raffazzonati che si facevano una volta. Spesso e volentieri il prodotto della serie si rivela superiore o quanto meno più maturo di quello che si vede al cinema, e pare che il target del grande schermo ora sia molto più giovane. Per non parlare di budget e attori. Chiaramente per tutti questi show uno dovrebbe avere molto tempo libero; sta diventando un mestiere essere appassionato di serie TV ma anche esserne al corrente. Io vedo allievi della scuola romana che quando parlano citano ottantamila serie e io magari ne conosco tre e non le ho viste neanche tutte. Si traduce in un grosso impegno, e chiaramente dare spazio anche ai fumetti diventa problematico.
Disegnare oggi vuol dire anche essere ricco di queste esperienze visive o di fantasia, quindi per disegnare devi essere aggiornato.
Sì, devi essere aggiornato. È chiaro che bisogna darsi un limite; non sono per quel tipo di fumetti che sembrano fare a gara con i prodotti cinematografici. A livello di bombardamento visivo, a livello di fondali megagalattici, ricorrere a certi mezzi tecnologi consente un’estrema ricchezza di dettagli, però secondo me si perde un po’ la freschezza tipica del fumetto. Quindi vedo più costruttiva e più creativa la via autonoma di un fumetto che non pretende di riproporre il cinema e magari cerca altre vie. La freschezza nel disegno per me è importante.
Anagraficamente le nuove generazioni hanno molti mezzi per potersi esprimere senza costi, come i social network.
A tal proposito in questo festival ho avuto occasione di imparare tante cose, di fare un corso di aggiornamento, di sentire ragazzi parlare della loro attività e di come si sono fatti conoscere. Percepisco anche un forte senso di competitività, rispetto a come eravamo noi da giovani, e avverto una certa ansia da prestazione, di apparire nella rete, eccetera. Sicuramente c’è uno sviluppo di talenti molto accelerato, con ragazzi che superano rapidamente la fase embrionale e immatura con il bombardamento visivo, con la possibilità di avere accesso alle immagini più disparate, agli autori più vari. Quando eravamo giovani noi per trovare qualcosa di particolare te lo dovevi andare a scovare negli archivi, dovevi davvero fare delle ricerche, ma adesso è tutto a portata di mano, a portata di click, e le maturazioni avvengono molto più velocemente. Di sicuro in questo la rete è più democratica, perché i talenti vengono scovati subito.
Da insegnante, questo aumentare della possibilità è da una parte un vantaggio, però potrebbe portare anche a tralasciare certi insegnamenti che uno può trarre dai fumettisti del passato. Prima si usava un’intera tavola di giornale per raccontare la propria storia, oggi nessuno lo farebbe di propria scelta, ma saperlo fare è una virtù. Quindi la domanda è: cos’è che le nuove generazioni di artisti e sceneggiatori non dovrebbero tralasciare dell’eredità dei grandi maestri?
Per un fatto generazionale, per un fatto di passione, con me sfondi una porta aperta, però sottoscrivere questa linea di pensiero risulterebbe come “il consiglio dell’anziano” legato al passato, anche perché oggi trovo lavori validissimi. Una volta quello che si risolveva in una tavola erano storie in genere umoristiche, e poi pure lì c’erano ampi sviluppi. Non è tanto l’essere conciso; è bello per un giovane venire colpito da talenti di adesso pur se ne ignorano spesso il percorso e a chi si sono rifatti. È bello andare a scoprire le radici e storicizzare. Io sono fuori dai social ma mi arrivano notizie da chi ci sta e il rischio è spesso quello di farsi delle illusioni, cercare subito un pubblico in rete restando attaccati alla logica del “mi piace” “non mi piace”, quanti “mi piace” hai preso ecc. Gonfiare il proprio ego in maniera smisurata perché appena metti un tuo schizzo c’è sempre quello pronto ad incensarti fuori misura. La rete tende spesso ad amplificare quel Narciso che c’è in ogni disegnatore. Un tempo il disegnatore non era così rockstar, ed a me un eccesso di questi atteggiamenti dà francamente fastidio. Sono più legato al mantenere i piedi per terra.
Qui alle Strade del Paesaggio sei un ospite residente. Progetti attuali e futuri?
Continuo a lavorare con la Bonelli e i fumetti che faccio li faccio per loro. Capita di tanto in tanto qualche lavoro di copertine o altro, ma a corto respiro. Per adesso sto facendo un Dylan Dog, ho fatto una storia breve di Tex che apparirà su Tex Color a novembre.
Come vedi questo “cambiamento di Dylan Dog” di cui si parla tanto?
Non posso dire di aver letto tutti quanti i nuovi numeri. Ho cominciato a leggerli all’inizio perché ero curioso anche io di capire dove si andava a parare, e non so che dire a riguardo. Ogni personaggio ha un suo arco di esistenza nel corso del quale ha cose da dire. Dylan Dog ha avuto il suo periodo migliore nei suoi primi cento numeri, ed inevitabilmente è quasi sempre così. La Bonelli ha questa abitudine di portare avanti serie molto a lungo ed è uno dei pochi editori che se lo può permettere, avendo un numero sufficiente di lettori per farlo.
Adesso c’è Drago Nero.
Drago Nero sta andando bene, è fatto bene, è stata una delle realtà più positive dell’ultimo periodo. Con Dylan Dog certe cose mi hanno convinto certe alte meno, però vedo che riesco a leggere più volentieri Tex, oggi come oggi, che paradossalmente essendo un personaggio più tetragono e meno sfaccettato resiste meglio all’usura. Devo dire che nella gestione attuale stanno facendo delle belle cose, con Dylan Dog alcune mi piacciono e altre no. La Bonelli sta adottando certi meccanismi che in America, per i supereroi, stanno utilizzando da tanto tempo e quindi cercano crossover, giovinezze, origini ecc. Sono elementi importanti e funzionano soprattutto per la freschezza del personaggio.