Negli anni ’60 l’East End di Londra era dominato da una forza inarrestabile: i fratelli Kray. Reggie e Ron per la precisione, un elegantissimo Dandi dal pugno di ferro il primo, un pazzo psicopatico il secondo. Due gangster in grado di monopolizzare le attività criminali della città, facendo al contempo contente le persone del loro quartiere dispensando aiuti e favori. Nemmeno l’attività di tallonamento costante di Scotland Yard fu in grado di ostacolare la loro ascesa. Tutte le ascese, però, hanno un apice ed un inevitabile declino.
Tom Hardy e Tom Hardy. Legend era un film che attendevamo con ansia, soprattutto per questa doppia dose di incredibile talento dell’attore inglese, recentemente candidato all’Oscar per l’ennesima, scintillante prova in Revenant al fianco del finalmente premiato Leonardo DiCaprio. Nella pellicola di Brian Helgeland (premio Oscar per la sceneggiatura di L.A. Confidential) c’è tanto Tom Hardy, probabilmente c’è solo Tom Hardy, un grandissimo (ancora una volta) Tom Hardy. E’ lui il motore trainante di un film che risulta sin dalle prime fasi troppo “scolastico” e a tratti nemmeno molto ispirato. Della prova dell’attore colpisce soprattutto l’abilità nel tratteggiare alla perfezione i due protagonisti, diametralmente opposti come personalità e quindi difficilissimi da rendere contemporaneamente efficaci. La missione, dal punto di vista recitativo, è portata a termine con la solita maestria, peccato che non si possa dire lo stesso riguardo la scrittura degli stessi e della storia in generale.
Ci si trova di fronte ad un percorso di presentazione, crescita e declino di un sistema criminale che, al cinema e in televisione, è stato fin troppo abusato. Certo, la confezione è di quelle belle, che colpiscono l’occhio ma il contenuto, ad un’analisi più approfondita, non lascia quel senso di soddisfazione che ci si aspetterebbe. Tom Hardy ruba la scena a tutto e tutti, anche alla bellissima (e brava) Emily Browning, fidanzata di Ron e voce narrante della vicenda, quasi a voler forzatamente distaccare lo spettatore dalla duale visione dei fratelli Kray. Ci sono diversi momenti riuscitissimi, su tutti la lite (con conseguente rissa) tra Ron e Reggie ma il film di Helgeland si perde troppi pezzi per strada e sembra non cercare mai di recuperarli. La storia scorre via e si lascia guardare ma, purtroppo, anche dimenticare in fretta, non fosse per la gigantesca doppia prova dell’attore protagonista, accompagnato degnamente dalla sola ambientazione, quella Swinging London che ci trasporta di peso nei ruggenti anni ’60 tra abiti sgargianti, brillantina ed esplosioni di violenza incontrollata.
Siamo comunque sempre lì, a parlare di una confezione rifinita e tirata a lucido, che quando si scarta ci lascia con un palmo di naso, a chiederci quanto sia stato sprecato quel fenomeno di Tom Hardy in un film così modesto. Peccato.