Lei mi parla ancora, il nuovo film di Pupi Avati, affronta l’immortalità dell’amore e dei ricordi
“L’uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.
Ai versi di Cesare Pavese, morto suicida nel 1950 per una delusione d’amore, Pupi Avati affida l’emozionante epilogo del suo racconto, iniziato proprio nell’anno della scomparsa dello scrittore con le note della semisconosciuta canzone “Malaguena salerosa” nella versione dai Radioboys, che narra la storia di uomo che si rivolge alla sua innamorata, lodandone la bellezza, ma disperandosi per il rifiuto amoroso della donna. Affinità piuttosto nette con lo scrittore piemontese, per un racconto diverso e probabilmente meno drammatico, ma che parla ugualmente di un amore struggente, un amore infinito, un amore immortale.
Lei mi parla ancora, il nuovo film di Pupi Avati, tratto dall’omonimo romanzo scritto a 93 anni da Giuseppe “Nino” Sgarbi, arriva su Sky Cinema in prima visione l’8 febbraio 2021.
La storia di un amore infinito
Sono la vita e l’infinita storia d’amore del papà di Vittorio Sgarbi con la sua defunta moglie Rina Cavallini (nel film: Stefania Sandrelli e Isabella Ragonese) il fulcro di un raccordo intenso e fatto di ricordi, che Nino, qui magistralmente interpretato da Renato Pozzetto (e da Lino Musella) affida, dopo qualche reticenza, alla penna dello scrittore Amicangelo (Fabrizio Gifuni), che inizialmente accetta il lavoro su suggerimento del suo agente perché la figlia dell’uomo, Elisabetta, potrebbe poi pubblicare finalmente anche il suo romanzo.
Nemmeno Amicangelo, sulle prime, sembra tuttavia così convinto di ciò che si appresta a fare insieme a Nino, e il tutto appare come un mero stratagemma della figlia di tenere attivo il padre e dar lui un motivo per alzarsi al mattino dopo la scomparsa di Rina, che sembra averlo messo al tappeto.
E invece, dopo i dubbi iniziali e le divergenze tra due mondi e due uomini apparentemente agli antipodi, Nino e Amicangelo scoprono di esser più vicini di quanto credano e la storia d’amore dell’anziano uomo aiuta lo scrittore a livello personale, in una vita sentimentale e familiare a dir poco complessa e turbolenta.
“Quando penso a lei la rivedo sempre com’era quella sera, come la tenevo stretta. Quando si è vecchi non ci si abbraccia più, provi un affetto infinito per la persona che è stata con te per tutta la vita, ma non ci si abbraccia più. È la cosa che non so perdonarmi, che mi manca di più”.
Con poche battute, ma emotivamente forti e struggenti come queste, la storia di Sgarbi senior riesce ad entrare nel cuore di uno spettatore in un primo momento devastato dal lutto e dal modo angosciante in cui Pupi Avati sceglie di farci vivere il dolore del protagonista, grazie soprattutto ad un Renato Pozzetto dallo sguardo spento e tenerissimo che, come fosse nostro nonno, vorremmo abbracciare e consolare.
Asciugate le lacrime, la componente emotiva di Lei mi parla ancora si riassopisce un po’, forse troppo, dandoci una parte centrale dell’opera troppo sfilacciata, che avrebbe dovuto unire maggiormente le storie di Nino e quella di Amicangelo ma che fondamentalmente non approfondisce a sufficienza nessuna delle due.
Probabilmente la voce narrante di Dario Penne avrebbe potuto giocare un ruolo efficace in questo, ma Pupi Avati decide di affidarsi all’esperto doppiatore solo in pochi, nevralgici frangenti, che scandiscono alcuni passaggi chiave del racconto.
Ad ogni modo, alla lunga, l’emozionalità esce fuori anche all’interno di un film dispersivo come la grande casa del protagonista, e come i grandi capolavori esposti all’interno di essa, nostalgia ed emozioni laceranti restano appese alle pareti di un racconto che nel frattempo scorre via, ineluttabile come la vita che prosegue nonostante tutto, e ci lascia i ricordi per aggrapparci a qualcosa che, rispondendo ad un celebre quesito di Woody Allen, non abbiamo perso ma avremo sempre al nostro fianco.