Les Revenants: non sapevo di essere morto!
A sentir parlare di zombie viene in mente il solito cadavere in decomposizione che cerca di accaparrarsi il nostro cervello per un motivo tutto da accertare. Di variazioni sul tema in questo senso ce ne sono a decine: basti pensare alla miniserie In the Flesh, in cui gli zombie vengono rieducati e rimessi in società, o al ben più melenso Warm Body, dove la forza del vero ammore trasforma i morti viventi in pucciosi compagni per la ‘vita’ con tanto di cuore luminoso decisamente natalizio. Insomma il filone è stato esplorato in ogni maniera, con soluzioni più o meno originali e più o meno accettabili. Non poteva mancare l’incursione francese in questo territorio, portando dentro un’idea che potrebbe già far storcere il naso ai puristi: ci sono gli zombie, ma non sono zombie. Almeno non come siamo abituati a immaginarceli.
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Les Revenants è un serial d’oltralpe che estende le idee già esposte nel 2004 da Robin Campillo nell’omonimo lungometraggio e le porta in un racconto lungo otto puntate, dal sapore intimista e riflessivo, con un ritmo molto strascicato, quasi poetico. In un piccolo paese montano delle Alpi francesi, individui morti anni prima fanno la loro (ri)comparsa in città, contemporaneamente ad altri strani avvenimeti, come blackout temporanei e abbassamenti dei livelli dell’acqua del bacino idrico. La particolarità? I morti sono perfettamente in salute, niente carne putrefatta e niente istinto omicida. Anzi non sanno neanche di essere morti e ritornati indietro. Semplicemente, hanno perso la memoria degli anni trascorsi, senza invecchiare, senza sapere, incastrati in un oblio che li ha lasciati liberi all’improvviso e senza spiegazione. Da questo presupposto, la prima puntata del telefilm segue in modo estensivo le vicende della piccola Camille (Yara Pilartz), deceduta in un incidente automobilistico (raccontato in una sequenza drammatica nei primi minuti del telefilm) e dei suoi genitori che in qualche modo cercano di trovare un senso alla perdita della loro adorata figlia, lanciandosi in gruppi di supporto o chiudendosi in loro stessi covando dolore e rabbia. La bellezza dello script sta proprio nel fatto di soffermarsi sull’impatto che il ritorno di un morto può avere sulle persone, a prescindere che voglia o meno mangiare cervelli. Le reazioni vengono rappresentate in maniera quanto mai veritiera, lasciando allo spettatore il tempo di fare i conti con la situazione, di mettersi accanto ai protagonisti e capire il loro dramma, a metà tra la felicità di aver riavuto indietro una figlia e il terrore che questo avvenimento si porta dietro con uno strascico fatto di superstizione e maledizioni. Camille non è l’unica a ritornare in città: insieme a lei, apparentemente senza alcun legame, ritornano Simon (alla ricerca della propria moglie), la moglie dell’anziano prof. Costa, Serge (inquietante villain della serie) e Victor, un bambino dagli occhi di cerbiatto e scarso di favella. Con tanta carne al fuoco, il telefilm si annuncia abbastanza ricco di colpi di scena, tra flashback, scene sanguinolente e una certa dose di soprannaturale, tanto da incuriosiure e titllare lo spettatore e lasciarlo legato alla storia fino alla fine. L’anima francese del telefilm si respira fin dalle prime inquadrature, molto ricercate e precise. Non ci troviamo di fronte a una produzione roboante e caotica di FX o a qualcosa di soft core tipico della Starz. Il piglio registico è quasi autoriale, studiato e pomposo, che tanto ricorda il celeberrimo Twin Peaks, con una buona dose di Bergman per dare sapore al tutto. Lunghe inquadrature statiche creano dei minipalcoscenici dove gli attori esprimono le loro emozioni, sottolineate da una colonna sonora martellante e ossessiva. Il regista è stato bravo (non c’è che dire) a scandire in immagini e movimenti indolenti della macchina da presa le vicende agghiaccianti che si svolgono per il paese. L’idea di filmare un efferato omicidio quasi da lontano, in un’inquadratura statica di diversi secondi, dà una sensazione di pesante voyeurismo, inframezzata con primi piani dell’assassino che sussurra alla vittima, rendendo ancora più brutale la vicenda. Sono queste le cose che ci hanno fatto amare davvero Les Revenants, la sua dimensione introspettiva, la ricerca di risposte all’interno degli stati d’animo dei protagonisti, tra odio, dolore e terrore, senza risparmiare nulla allo spettatore, che ancor di più si sente parte delle vicende, quasi un ospite indesiderato e invisibile. Come ultima parola, Fabrice Gobert scrive e dirige un bel telefilm, immaginando un nuovo modo di vedere gli zombie, senza neanche metterci gli zombie: ci aspettiamo grandi cose da questo piccolo gioiellino francese, capace di emozionare e sorprendere. Il riassunto ed una vera e propria dichiarazione programmatica di intenti sono racchiuse nella sigla iniziale, dove una sola farfalla tra tante spillate in un quadro prende vita e da sola infrange il muro di vetro che la separa dal resto del mondo per rimettersi a volare… Allo stesso modo, alcune persone morte sono tornate in vita, e involontariamente stanno frantumando l’esistenza di coloro che erano rimasti lì a piangerli.
[icons icon=”icon-thumbs-up” color=”#81d742″ size=”60″] Cosa ci è piaciuto?
Una storia ricca di potenzialità, raccontata con un approccio diverso, meno americano e quasi autoriale. L’aspetto introspettivo crea un legame empatico tra spettatore e personaggi.
[icons icon=”icon-thumbs-down” color=”#dd3333″ size=”60″] Cosa non ci è piaciuto?
In un solo episodio sono iniziate un sacco di sotto trame da sviscerare nel corso della stagione: forse tanta carne al fuoco può anche essere un po’ ubriacante.
[icons icon=”icon-play” color=”#ff963a” size=”60″] Continueremo a vederlo?
Sì, decisamente. Anche solo per dire che abbiamo visto un telefilm francese fino alla fine, e non era Profiling!