Il crescente interesse nei confronti della letteratura femminile giapponese

Nell’estate 2019, nella lista dei candidati per il premio Naoki erano presenti solo nomi femminili, e 6 finaliste donne si contendevano l’assegnazione del premio Akutagawa. I due prestigiosi riconoscimenti letterari giapponesi sono stati quindi assegnati a Natsuko Imamura e Masumi Oshida. Due talentuose scrittrici che sono riuscite a far parlare di sé, riportando l’attenzione sulle mani della letteratura femminile giapponese e sulla richiesta, che pare sempre più diffusa, di storie che sappiano esprimere nuovi punti di vista e identità.

Alla luce di questa recente edizione dei due premi e approfittando dei festeggiamenti per la Festa della Donna, vogliamo quindi riscoprire l’importanza nella letteratura giapponese della figura della donna, come scrittrice da una parte e come protagonista di romanzi dall’altra.

letteratura femminile giapponese

Le “mani di donna” del Periodo Heian

Parlando di letteratura femminile, i primi nomi che ci vengono in mente sono perlopiù quelli di grandi autrici britanniche come Jane Austen, sorelle Brontë o Mary Shelley. Molto raramente, invece, prendiamo in considerazione quelle che sono state, in un certo senso, le loro “controparti” orientali. Eppure, a ben vedere, le autrici giapponesi vantano il più antico referente nella storia della letteratura femminile mondiale.

Nel corso del Periodo Heian (794-1185), infatti, il Giappone visse una particolare fioritura delle arti, un’epoca di grande sviluppo culturale e di ricerca di un sofisticato senso di armonia e bellezza. In questo contesto, all’interno delle corti imperiali, un certo livello di istruzione era garantito anche alle nobildonne, le quali apprendevano l’arte della calligrafia e della scrittura. Mentre però agli uomini veniva insegnato a leggere e scrivere in cinese classico, considerata all’epoca la lingua della cultura per eccellenza, alle donne questo campo di studio era precluso.

Era infatti concesso loro di imparare soltanto lo hiragana, l’alfabeto fonetico introdotto in Giappone per trascrivere la lingua autoctona che, proprio in quanto lingua della quotidianità, veniva considerata di minor prestigio. Tuttavia, fu proprio questo stile di scrittura (identificato in seguito come onnade, “mano di donna”) a permettere alle autrici dell’epoca di trovare la strada verso la consacrazione letteraria. La scrittura in hiragana permise loro di annotare i propri pensieri, di raccontare la vita di corte e di dare voce ad ansie e paure quotidiane.

Nacque così una raffinata corrente letteraria in cui confluirono tutta una serie di racconti, diari e raccolte di poesie che contribuirono a fondare le basi della lingua e della scrittura giapponese moderna, oltre che stabilire i canoni estetici della letteratura nipponica. Il successo di queste opere fu tale che addirittura alcuni uomini iniziarono a scrivere con pseudonimi femminili per poter essere liberi di sfruttare questo nuovo stile: è il caso del Tosa Nikki, la cui paternità è attribuita al poeta Ki no Tsurayuki.

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Tutte le donne del Principe Splendente

Tra le moltissime scrittrici che si sono distinte in questo periodo, è sicuramente da ricordare Sei Shonagon, autrice delle Note del guanciale, un’opera estremamente composita nello stile e nei contenuti, in cui si alternano pagine di diario, aneddoti e liste di “cose”. Ma il nome che più influenzerà tutta la produzione letteraria successiva è quello di Murasaki Shikibu. A lei dobbiamo infatti il Genji Monogatari, spesso considerato dai critici il “primo romanzo moderno” e paragonabile per valore letterario alla nostra Divina Commedia. In molti ne hanno parlato come di una sorte di “trattato sulle donne”.

Le figure femminili che ruotano attorno a Genji, infatti, sono rappresentate come personaggi estremamente complessi e caratterizzati, e il ruolo da loro ricoperto è tale che moltissimi studiosi sono arrivati a definirle le vere protagoniste dell’opera. Fra le tante, incontriamo la piccola Murasaki, accolta da Genji in giovane età e da lui cresciuta fino a renderla la sua donna ideale; Rokujo, simbolo della forza distruttiva della gelosia femminile, il cui spirito tormenterà le successive amanti del principe; Suetsumuhana, la “principessa dal naso rosso” goffa e poco attraente; la testarda Asagao. Una lunga lista di donne legate a doppio filo alla trama, che influenzano e condizionano le vite dei protagonisti maschili e che a loro volta si lasciano da questi influenzare.

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Il joryubungaku e la nascita di uno stile femminile giapponese

Dopo un lungo periodo di silenzio, dovuto principalmente alla chiusura del Paese rispetto al resto del mondo, con l’avvento dell’era Meiji (1852-1912) e l’ingresso nella modernità, il Giappone vide una rinascita anche nel campo della letteratura femminile.

Nasce proprio in questi anni il concetto di joryubungaku, che indica la “letteratura in stile femminile”. Le opere scritte da donne vennero etichettate come un filone a sé stante, senza differenziare tra genere letterario e tematiche trattate, come se tutte rientrassero in un generico “stile femminile” improntato alla descrizione dei dettagli della vita quotidiana e caratterizzato da alti livelli di liricità. Un concetto che relegò di fatto la produzione femminile ai margini del panorama letterario giapponese.

Nonostante questa posizione di inferiorità, alcune donne riuscirono a spiccare, ribellandosi agli schemi sociali imposti. L’unico modo che ebbero per intraprendere la carriera di scrittrici sembrò essere quello di rinunciare al loro ruolo tradizionale di mogli e madri e dedicarsi completamente alla scrittura. Fu questa la strada intrapresa, ad esempio, da Higuchi Ichiyō. I suoi racconti sono colmi di pessimismo, con protagoniste femminili remissive e rassegnate al ruolo imposto dalla società. Esse non si pongono mai radicalmente in contrasto con i personaggi maschili, almeno fino alle ultime produzioni della scrittrice, in cui traspare una critica più aperta alla morale sessista.

Dopo di lei la letteratura femminile si legò sempre di più allo sviluppo di un movimento femminista giapponese, con la fondazione della rivista Seitō (“Calze blu”) che, ispirandosi al circolo londinese Blue Stocking, divenne un simbolo della lotta per l’emancipazione. Con queste prime forme di attivismo, la sempre maggiore consapevolezza acquisita dalle donne portò, negli anni Venti, a una generazione di scrittrici moderne, pronte a difendere apertamente i propri diritti e lottare per l’indipendenza.

L’autrice più rappresentativa è senza ombra di dubbio Hayashi Fumiko che, mischiando sapientemente i tratti autobiografici e la fiction, pose al centro della sua produzione le donne appartenenti alla working class, che ricercavano un proprio spazio nel mondo patriarcale. Centrale nei suoi racconti è la denuncia al sistema sociale e familiare giapponese, attraverso un linguaggio diretto e un continuo ritornare sul tema della violenza che pare, molto spesso, l’unico mezzo adottato dai personaggi maschili per entrare in contatto con quelli femminili.

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Dal dopoguerra al Boom della letteratura femminile giapponese

Con lo scoppio della guerra, tutte le attenzioni nei confronti della questione femminile si interruppero bruscamente. Si dovettero aspettare gli anni Quaranta per vedere come le conquiste nei diritti civili femminili potessero portare le scrittrici donne ad occupare ruoli sempre più di rilievo. Le loro opere rispecchiavano lo stato d’animo di un Giappone sopravvissuto, con protagoniste femminili disilluse, impegnate a “sopravvivere” a una quotidianità che sembrava destinata a non poter cambiare.

Nonostante alcune caratteristiche comuni, come con la rivisitazione in chiave moderna di figure del folklore e della tradizione letteraria di periodo Heian, ogni autrice sviluppò un proprio modo di affrontare la realtà contemporanea. Takahashi Takako si rifugiò nella creazione di mondi fantastici, con figure femminili atipiche. Ōba Minako fece ricorso alla figura della yamauba, la strega della montagna, per rappresentare tutto ciò di cui l’uomo ha paura: una donna forte, con poteri sovrannaturali e caratterizzata da una sessualità incontrollabile. E infine Enchi Fumiko, che con il suo Maschere di donna associò alle varie protagoniste del romanzo le maschere del teatro , esplorando i temi della vendetta femminile, della possessione spiritica e dell’erotismo.

Da allora, si sono affacciate al panorama letterario giapponese sempre più nomi femminili di successo. Un vero e proprio boom si è raggiunto negli anni Settanta/Ottanta, cui protagonista principale è la scrittrice Banana Yoshimoto, che ha saputo trasporre in letteratura i temi tipici dei manga shōjo. Nel panorama contemporaneo, il pubblico giapponese sembra orientato a dare sempre più spazio alle giovani scrittrici, come testimoniano le assegnazioni dei premi Naiko e Akutagawa 2019, interamente tinte di rosa. Tra i vari nomi, in Italia sono state tradotte, riscuotendo un discreto successo, Natsuo Kirino, nota soprattutto per i suoi romanzi gialli come Le quattro casalinghe di Tokyo, e Murata Sayaka che, con La ragazza del Convenience Store, racconta la quotidianità femminile nel Giappone contemporaneo, aprendo nuovamente l’esperienza femminile giapponese al resto del mondo.

Sara Zarro
Non sono mai stata brava con le presentazioni, di solito mi limito a elencare una serie di assurdità finché il mio interlocutore non ne ha abbastanza: il mio animale preferito è l’ippopotamo; se potessi incontrare un personaggio letterario a mia scelta questi sarebbe senz’altro Capitan Uncino; ho un’ossessione per la Scozia, l’accento scozzese e i kilt, derivata probabilmente da una infatuazione infantile per il principe della collina di Candy Candy; non ho mai visto Harry Potter e i doni della morte per paura di dover chiudere per sempre il capitolo della mia vita legato alla saga… Ah, ho anche un pony.