Nel Paese di Lewis Carroll
Tutti noi lo conosciamo come l’autore di Alice nel paese delle meraviglie, uno dei capisaldi della letteratura di genere fantastico che non manca ancora oggi di contaminare e ispirare la creatività con adattamenti e rivisitazioni più o meno discutibili, ma Lewis Carroll – al secolo Charles Lutwidge Dodgson – è stato molto di più e vi raccontiamo di lui, oggi, per celebrare il suo centottantacinquesimo compleanno.
Carroll è stato scrittore, matematico, fotografo, maestro di nonsense e di logica. Alice in Wonderland, pubblicato nel 1865, non è solo un viaggio psichedelico che sembra uscito dalla mente di Allen Ginsberg con quasi cento anni di anticipo sulla cultura beat, ma anche una favola nera che integra elementi di matematica pura al suo interno. Il racconto delle avventure di Alice può essere preso a esempio dei caratteri fondamentali della vita di Carroll. Alla sua uscita, infatti, non sono mancati dubbi e perplessità sulla morale dello scrittore, sul suo linguaggio e sul vero scopo del suo racconto.
Perché si sa che la tana del Bianconiglio è profonda e oscura e qualcuno, affascinato dalle meraviglie che essa contiene potrebbe facilmente lasciarsi andare.
La gabbia dorata delle convenzioni
Charles Lutwidge Dodgson nasce il 27 gennaio 1832, giusto pochi anni prima dell’inizio del regno della regina Victoria, e respirerà per tutta la vita la pesante atmosfera del vittorianesimo inglese.
A vent’anni entra a Oxford, per non uscirne mai più: diventerà infatti docente di matematica e geometria al Chirst Church College, cattedra che manterrà per buona parte della sua vita.
Proprio alla Chirst Church incontrerà il grecista Henry George Liddell, arrivato al college per occupare il posto di decano, e farà amicizia con le figlie di lui: Lorina, Edith e Alice.
Nei confronti di quest’ultima in particolare, Carroll aveva sviluppato un forte attaccamento, dimostrato dalle numerose foto della bambina scattate in quegli anni dallo scrittore e dal rapporto epistolare che i due hanno intrattenuto fino al 1863, quando la famiglia di lei si trasferì e l’amicizia tra i due si interruppe.
Alice non è stata la sola “amica-bambina”, come le definiva Carroll stesso, dell’autore, e questa sua affezione per le piccole non ha mai giovato molto alla sua immagine pubblica: le foto artistiche di giovanissime ragazzine seminude, pur scattate sempre con il consenso dei genitori, hanno alimentato dicerie sul personaggio, nonostante non fosse l’unico fotografo, amatoriale o meno, a ritrarre i suoi soggetti prepuberi in maniera discinta (basta vedere alcune delle opere di Oscar Rejlander), e sebbene vere e proprie accuse di pedofilia gli siano state rivolte postume, a partire da un biografia del 1932 scritta da Langford Reed.
Volendo quindi tralasciare i pettegolezzi o disquisizioni su temi delicati e che non ci competono, possiamo dire che Carroll ha sempre sofferto la mentalità quasi medievale dei suoi contemporanei, così come il rigido complesso di convenzioni della società vittoriana.
Alice nel paese dell’evoluzionismo
La nascita di Alice nel paese delle meraviglie appartiene ormai alla leggenda: durante una gita in barca, nel 1862, Carroll delinea un mondo fantastico per intrattenere le tre sorelle Liddell. Partendo da quel mondo immaginario, Carroll metterà su carta Alice’s Adventures Under Ground, che diventerà nel 1865 Alice in Wonderland, pubblicato dall’editore MacMillan con le storiche illustrazioni di John Tenniel.
Uscendo dai fatti per entrare nelle speculazioni, però, possiamo dire che questo romanzo nasce proprio per permettere al professor Charles Dodgson, imprigionato nella rigidità della sua vita, di evaderne grazie all’ironia dei suoi scritti e ai riferimenti diffusi alla presenza sempre più forte della scienza nelle convinzioni del tempo. Non a caso L’origine delle specie di Darwin viene pubblicato proprio in quegli anni.
Cosa c’entra ora Darwin con Alice, si domanderanno i miei piccoli lettori?
Nonostante l’opera sia solitamente paragonata agli studi freudiani del sogno e dell’inconscio, con quella che però può essere solo una spiegazione a posteriori, il viaggio di Alice sembra avere molte affinità con le teorie darwiniane: quello della bambina è di fatto un viaggio a ritroso alla ricerca delle proprie origini, in cui ogni creatura incontrata altro non è che una sorta di proiezione di se stessa, pronta a interrogarla sulla sua identità. Si potrebbe quindi azzardare un collegamento tra il saggio e il romanzo, un po’ come se Wonderland fosse l’isola delle Galapagos dell’Es.
Il paese delle meraviglie, in ogni caso, non è certo un paradiso equatoriale, né un luogo di pace e gioia. La protagonista è costantemente sotto pressione, interrogata e messa sotto esame da chiunque incontri, ed è costretta a sentirsi sempre fuori luogo: il cambiare continuamente statura è un chiarissimo riferimento a questa sua inadeguatezza. Per l’essere umano evoluto, infatti, la sopravvivenza non riguarda più solo il riparo o il nutrimento ma anche la sopravvivenza sociale, il sapersi adeguare al contesto in cui si vive e il farsi accettare dagli altri membri della comunità.
Non è un caso che Wonderland sia abitato da svariati animali parlanti: qui sono gli animali che, ironicamente, studiano e giudicano gli esseri umani. Gli animali che incontriamo in questo mondo, a partire dal Bianconiglio che attira Alice nella sua tana, sono simboli delle storture e delle idiosincrasie della società inglese di fine diciassettesimo secolo.
Giù nella tana e attraverso lo specchio
Alla fine della sua caduta, Alice vede uno splendido giardino al quale non riesce ad accedere ma che vuole raggiungere a ogni costo, tuttavia alla fine si renderà conto che non è poi così bello come credeva.
Carroll sembra suggerirci che non è mai la destinazione, ma il viaggio ad avere valore, è il senso di incompletezza che ci spinge a cercare quel non-si-sa-cosa, al quale non possiamo rinunciare, pur non conoscendo il motivo della nostra ricerca. Tra le mille morali offerte dal romanzo, questo è un insegnamento estremamente profondo e adulto, un piano di lettura superiore folgorante per chi si trova a rileggere il libro da adulto.
Meno conosciuto e meno letto, è il seguito delle avventura di Alice: Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, del 1872. In molti adattamenti successivi, gli eventi dei due libri sono stati mescolati e accorpati, ma è in questo secondo romanzo che vediamo Alice affrontare un mondo altro da quello delle meraviglie. Al di là dello specchio ogni aspetto della vita è rigidamente regolato da imposizioni speculari e contrarie a quelle del mondo che conosciamo, lontanissime dall’illogicità che regnava sovrana a Wonderland. Tra queste pagine la linea di demarcazione tra Lewis Caroll e Charles Dodgson si fa labile, mostrando l’ossessione per la logica caratteristica del professore di matematica, impegnato a far sì che ogni elemento bilanci se stesso orientandosi in uno spazio predefinito, come nel gioco degli scacchi.
Succede quindi quello che si teorizza nel racconto di Bichsel Un tavolo è un tavolo: se si decidesse di chiamare tutti gli oggetti in una stanza con un altro nome, inizialmente potrebbe sembrare solo un qualcosa di confusionario, ma ben presto i nuovi appellativi degli oggetti acquisirebbero il significato del referente al quale vengono attribuiti, reimpostando così le regole stesse di significante e significato. Attraverso lo specchio di Alice avviene più o meno la stessa cosa: tutto è dettato da regole assurde che seguono però una loro logica ben precisa. Una volta imparate le regole, è facile capire anche come muoversi, come “giocare” e magari come uscirne vincitori. Niente è realmente impossibile da affrontare, l’importante è imparare a sfruttare le regole a proprio vantaggio. Per tornare alla scienza, infatti, e all’evoluzione, un’ipotesi avanzata per la prima volta nel 1973 dal biologo statunitense Leigh Van Valen – The Red Queen Effect, dalla regina degli scacchi incontrata da Alice oltre lo specchio – mostra come l’evoluzione sia spesso necessaria per una specie in presenza di altri organismi che si evolvono a loro volta. Una coevoluzione che tocca anche Alice, alle prese in ogni sua avventura con personaggi sempre più alienanti e macchiettistici.
Nel mio mondo ideale, ciò che è non sarebbe e ciò che non è sarebbe!
Alice nel paese delle meraviglie è uno tra i romanzi più trasposti, adattati e rivisitati della storia della letteratura. Tanto che molti temi e simbolismi appena citati si sono andati a perdersi, così come la vera natura dei personaggi, diventati al contempo iconici nell’immaginario comune.
Il Chesire Cat, per esempio, – lo Stregatto – è una sorta di ambiguo deus ex machina che piuttosto che elargire risposte aggiunge domande, come una Sfinge sotto acidi, e impersonifica il pensiero astratto, con quel corpo che si dissolve fino a rimanere solo un sorriso – espressione ambigua per antonomasia –. Proprio in questo che sta il suo carisma; affabile e pericoloso allo stesso tempo, dedito ad instillare il dubbio in qualsiasi cosa.
Del resto, ogni tappa nel paese delle meraviglie è la perdita di una certezza. Il tè dei matti, per esempio, altro non è che la dissoluzione del tempo, nemico occulto che va a braccetto con la paura della morte.
Non fatevi ingannare da buonismi e censure: la morte è un argomento, anche se studiatamente celato, molto presente nella letteratura per l’infanzia.
Di adattamento in adattamento
Walt Disney, per esempio, grande appassionato del racconto di Carroll, ha tentanto più volte di fissarlo sulla pellicola. Già negli anni 20, quando Topolino non esisteva ancora e Walt era un giovane di belle speranze all’inizio della sua carriera, girò con la sua casa di produzione, la Laugh-O-Grams, Alice Comedies, dei corti in tecnica mista in cui una bambina, Anne Shirley, si muoveva in un mondo nonsense popolato da cartoni animati. La serie conta 57 cortometraggi in bianco e nero girati tra il 1924 e 1927 e, anche se molti di essi sono andati perduti, possiamo notare nel girato visionato come l’atmosfera non venga certo alleggerita ed edulcorata rispetto all’originale da cui ha tratto ispirazione.
Altro discorso invece va fatto per quanto riguarda il lungometraggio animato del 1951, tredicesimo classico Disney.
Anche se inizialmente era stato scelto lo scrittore britannico Aldous Huxley per la stesura della sceneggiatura, e Disney continuava a desiderare un film in tecnica mista, alla fine si decise per un lungometraggio completamente animato, con colori vivaci e il focus puntato sulla commedia e la musica, eliminando ogni elemento troppo grottesco o inquietante.
Il nonsense del cartone, privo della sua valenza ironico-satirica è meno divertente del previsto, incapace di veicolare il messaggio contenuto nel romanzo.
Alice in Wonderland, a conti fatti, si presta malissimo allo schermo, a meno che non se ne colga pienamente la valenza onirica e altamente astratta. Ecco perché per molti versi anche gli adattamenti diretti da Tim Burton si sono rivelati un mezzo flop. Nonostante l’espertissima mano del regista, la sceneggiatura – che furbescamente ambienta la vicenda vari anni dopo i fatti del romanzo – è comunque debole, con il suo vano tentativo di concretizzare la narrazione, trasformando lo spaesamento e l’astrazione in un eroismo da cappa e spada che niente ha a che fare con lo spirito del romanzo.
Ben più riusciti sono quegli esperimenti che rubano un pezzo di Wonderland per collocarlo in altre realtà: la piccola scritta verde su schermo nero “Follow the white rabbit” in Matrix, per esempio, è stato un espediente geniale nel suggerire l’idea di “mondo nel mondo” che caratterizza il film. Seguire il Bianconiglio è un atto incosciente basato sulla curiosità, che non garantisce un esito felice, ma che indica comunque la strada verso un’altra realtà. Grazie alla metafora rubata a Carroll, le Wachowski sono state in grado di fissare immediatamente un concetto che altrimenti sarebbe stato molto più difficile da cogliere.
Alice in videogame
Wonderland, di fatto, ha sempre avuto uno strano fascino, in grado di stregare una generazione dopo l’altra e la sua attrazione attraversa non solo i medium più anziani come i libri e i film, ma anche i giovani videogiochi.
Non sembra essere di certo un caso il fatto che, in Kingdom Hearts, il primo mondo che si visita una volta lasciata Traverse Town sia proprio Wonderland, emblema indiscusso dell’universo parallelo e del viaggio altrove.
Tuttavia la rivisitazione videoludica più interessante è il platform Alice Madness, una riscrittura in chiave gotica della storia di Alice, che trasforma l’elemento onirico in un delirio della follia, virando verso tinte orrorifiche.
La grandezza di Lewis Carrol, quindi, risiede nella sua capacità di lasciare un segno indelebile nell’immaginario collettivo, stimolando ancora oggi la fantasia di giovani e meno giovani, trasmettendo il messaggio che quello che vive nella vostra testa, per quanto assurdo o sconclusionato, non potrà mai non essere interessante.
A cura di Erika Pezzato