“L’ordine è necessario per non perdersi, il disordine per ritrovarsi.”
La vita è strana non c’è che dire, e non lo dice solo Dontnod. Può accadere infatti di avere fiumi di parole -come raramente succede- da spendere su un’opera che ti ha profondamente colpito, ma allo stesso tempo poterne usare il minimo indispensabile per il bene di tutti. Questo è esattamente il caso in cui mi trovo dovendo parlare, con un po’ di ritardo (ma in fondo sticazzi…), di Life Is Strange. Entrare molto nello specifico di questo titolo infatti rappresenta un vero e proprio delitto per i potenziali fruitori; un po’ perché essere catapultati nel vortice di eventi incredibili ed emozioni che scombussoleranno la vita della protagonista Max fa parte del “gioco” e un po’ perché descrivere a parole Life is Strange crea inevitabili fraintendimenti. Questo perché nella nostra testa categorizziamo inconsapevolmente i giochi a seconda del genere e a seconda delle informazioni che ci vengono date, soprattutto se siamo videogiocatori piuttosto smaliziati che già ne hanno viste di cotte e di crude.
Ebbene qualsiasi associazione di idee potrebbe sorgervi leggendo un articolo a caso sul titolo di Dontnod sarebbe fuorviante senza averlo provato per una ragione tanto semplice quanto determinante: Life is Strange è un prodotto unico sotto diversi punti di vista. Strano forse, considerate le innumerevoli analogie tematiche che possiamo trovare sia in campo cinematografico che videoludico con il titolo in questione. Il concetto de “l’effetto farfalla”, i viaggi nel tempo, la teoria del Caos, sono stati trattati innumerevoli volte, basti pensare ad esempio al discreto film The Butterfly Effect, che tra l’altro condivide con Life is Strange pure l’impianto da teen-movie. Anche la struttura di gioco non si inventa nulla di nuovo, potrei infatti banalmente descrivervi il gioco di Dontnod Entertainment come un –volgarmente chiamato- walking simulator, un racconto interattivo, o se volere serial-interattivo, vista la sua formula episodica, alla The Walking Dead. O ancora potrei definirlo l’ennesimo tentativo di creare un’esperienza ludica “emozionale” cinematografica e realistica, come hanno fatto con scopi e mezzi diversi i giochi di Cage dell’ultimo decennio. Anche la meccanica della scelta come discernimento tra bene o male o le mille variabili che possono sconvolgere il mondo di gioco influenzando in qualche modo il passato, sono state materia di videogiochi più o meno recenti, come Until Dawn o se ricordate, un vecchio gioco di Konami per PS2 che si basava proprio sui viaggi nel tempo finalizzati, un po’ come succederà alla nostra Maxime, ad evitare tragiche fatalità nel suo presente, Shadow of Memories.
Eppure no, Life is Strage è diverso, ogni tentativo di classificarlo non renderebbe mai giustizia ad un gioco che personalmente ritengo superiore a qualsiasi altro caso preso in considerazione qui sopra. Life is Strange è sicuramente il miglior utilizzo che si sia mai fatto del genere; è la migliore scrittura applicata al videogioco; il tentativo più riuscito di unire il libero arbitrio e l’intervento di un giocatore attivo con un universo narrativo fortemente autonomo, composto da personaggi vivi, vividi, pulsanti, senza che nessuna delle due componenti sfaldi inesorabilmente l’altra. Noi controlliamo -anzi siamo- Max, una ragazza di 18 anni timida, riservata e leggermente introversa, ma con una personalità precisa e sfaccettata, con i propri gusti, il proprio stile, le proprie ambizioni, gesti, modo di parlare, un personaggio interessante che impariamo a conoscere non solo da come si relaziona con gli altri ma anche sondando i suoi pensieri ogni qual volta che il comando “Guarda” si rende disponibile nel mondo intorno a noi. Max può guardare tutto e su tutto ha un commento, che sia un volantino insignificante, un panorama o un personaggio a lei vicina.
Già solo in questo si nota il sopraffino fatto lavoro sui dialoghi (interiori o meno che siano): mai prolissi, ingenuamente didascalici o impersonali ma sempre interessanti e utili ad interpretare il carattere di Max e ovviamente, l’universo in cui è inserita. Max è un personaggio molto credibile che come quasi la totalità dei presenti (soprattutto quelli principali), non ci dice tutto di sé in poche linee di dialogo, ma lascia spazio ad uno sviluppo più ampio e a lungo termine, fatto anche di sottotesti ed espressioni implicite. Non è un personaggio vuoto da riempire in qualche modo con la nostra immedesimazione ma piuttosto è un protagonista bello da impersonare, se vi farete rapire dal setting del gioco. L’accademia di fotografia di Arcadia Bay è dove tutto comincia ed è il presente di Max. Un presente molto simile a quello degli adolescenti di oggi, fatto di lezioni, di compagni, pettegolezzi, cattiverie, dubbi, paure, problemi, confidenze, sms, mail, Facebook, gerghi giovanili, segreti.
Il delizioso stile con cui Dontnod ha realizzato ambienti e personaggi, “pastellando” i colori dei semplici modelli poligonali, e nascondendo in modo brillante le scarse qualità del motore grafico del gioco, fa da affascinante e quasi surreale contrappunto alla maturità e gli espliciti messaggi che Life is Strange ci regala ogni secondo. La sceneggiatura del gioco è semplicemente fantastica e i personaggi sono scritti in maniera magistrale con ben poche eccezioni. Gli studenti di Blackwell Accademy e i cittadini di Arcadia Bay ci regalano sempre dialoghi coerenti credibili, concreti, diretti. Non troverete dei personaggi che non esprimano una personalità totalmente plausibile (anche nei casi più borderline e stereotipati): in Life is Strange esistono nerd che fanno battute che solo i nerd possono capire, esistono “cazzetti” disegnati con il pennarello nei bagni di scuola, esiste la depressione, il concetto di violenza, le droghe, l’ipocrisia, il pregiudizio, l’egoismo. Eppure nonostante il suo rappresentare una realtà con ben pochi filtri e a tratti cinica, Life is Strange è una storia raccontata con delicatezza che trova sempre l’espediente giusto per muovere l’emotività del giocatore, fosse anche solo sottolineando un determinato momento con un accompagnamento musicale particolare e in grado di amplificare l’atmosfera in maniera implicita ma decisa. Mai si sono viste cosi tante sfumature nel rappresentare l’animo umano e la società odierna in un’avventura di questo stampo. Il “gioco” in Life is Strange infatti è proprio questo, cogliere le sfumature e dargli l’importanza che noi decidiamo.
Che significa concretamente? In Life is Strange scopriremo presto di poter viaggiare nel tempo per evitare alcuni tragici fatti (perdonatemi se continuo a rimanere generico, ma ho davvero il timore di rovinarvi qualcosa alla minima informazione di troppo) e seguiremo il destino della protagonista Max plasmando in prima persona il suo ruolo in questa vicenda attraverso le nostre scelte, che saranno a loro volta influenzate da chi le sta attorno, prima tra tutte l’amica del cuore Chloe, una ragazza emancipata ed esuberante, con una personalità forte ma allo stesso tempo sensibile, molto diversa da Max, che ci accompagnerà in una inquietante indagine per scoprire cosa è successo ad una compagna di scuola scomparsa. Proprio grazie all’incredibile lavoro fatto dagli sceneggiatori (Christian Divine, Jean-Luc Cano) per farvi calare nei panni di Max, ogni interazione con il gioco, per quanto limitata, sarà estremamente significativa e in qualche modo gratificante proprio in virtù del forte legame che si creerà tra voi e chi vi sta virtualmente attorno, e si fonderà con la narrazione e il flusso degli eventi in maniera incredibile. Non ci sarà una risposta rispetto ad un’altra che vi sembrerà meno plausibile, non ci sarà un momento in cui riavvolgendo il tempo vi sembrerà di risolvere semplicemente uno stupido puzzle o minigioco totalmente avulso dal contesto narrativo. Cercherete semplicemente con tutte le vostre fottute forze di risolvere la situazione, di non far andare tutto a puttane, perché ci terrete che le cose vadano in un certo modo, eccome se ci terrete.
E più andrete avanti più vi accorgerete di quanto Life is Strange tratta in maniera inedita il giocatore, con intelligenza, cercando di inserirlo nello stesso stato confusionale in cui la stessa Max si trova a causa di un potere troppo più grande di lei da gestire. Questo grazie all’espediente della teoria del Caos, alle conseguenze di ogni vostro piccolo gesto sulle diverse linee temporali, al dubbio su quale sia la cosa da fare nei momenti più drammatici del gioco (alcune decisioni vi obbligheranno a fermarvi e a riflette davvero su quanto etica e morale contino in certi frangenti) e non ultima, alla stessa sfaccettatura dei personaggi che nasconderà sempre in qualche modo la loro vera natura, e che spesso renderà ambigua l’interpretazione degli eventi. Non a caso, il gioco non ha paura di rompere le dinamiche permettervi spesso e volentieri di cambiare delle scelte appena fatte riavvolgendo il tempo di pochi istanti, perché tanto la meccanica non separa le scelte “giuste” da quelle sbagliate in maniera esplicita. La dinamica di causa ed effetto è trattata in modo estremamente sottile dando l’impressione al giocatore di trovarsi in un universo in cui verosimilmente i concetti di responsabilità, fatalità, libero arbitrio e destino si mischiano in un tutt’uno. Life is Strange mette alla prova la vostra facoltà di “discernimento”: non sarà mai facile giudicare se muoversi seguendo i propri principi o in maniera più pragmatica. Una sensazione che viene trasmessa al giocatore affidandogli la sorte di molti frangenti cruciali e che viene altresì raccontata magistralmente dagli eventi del gioco, ricchi di colpi di scena, momenti estremamente toccanti in grado di farci riflettere più volte sull’importanza di ogni decisione presa nella vita, anche di quella più piccola e insignificante.
Eppure nonostante l’intervento del giocatore sia gradito e non disturbi, ma anzi veicoli molta dell’emotività presente in LIS, non posso far a meno di pensare che la storia funzionerebbe benissimo anche come un film o meglio ancora, una serie televisiva. La regia, il ritmo, l’ottima colonna sonora, che con una serie di brani indie-folk dà un’identità forte e indimenticabile a molti momenti significativi del gioco, l’ispirata recitazione dei personaggi chiave e lo stesso intreccio narrativo, che si muove tra velleità mistiche fantastiche e altre più terrene accostabili al genere del teen-thriller, sono di altissimo livello, e non potrebbero che colpirvi positivamente anche senza l’implemento della variabile ludica. Ma il bello di LIS è che per la prima volta aggiunge veramente ad un universo narrativo già totalmente indipendente e perfettamente capace da solo di coinvolgere il giocatore dall’inizio alla fine, una componente di gameplay che pur con tutti i suoi limiti trasmette ancora di più il messaggio del gioco senza smorzarlo con una artificiosa e pretestuosa interattività inserita perché alla fine deve essere un “videogioco”. Perché l’utilizzo che faremo noi del nostro potere per risolvere in maniera spontanea molte situazioni di gioco (per lo più piuttosto semplici) sarà in maniera indiretta lo stesso motore che innescherà tanto o poco ogni altro fatto. Alla fine di Life is Strange vi sentirete al termine di un’esperienza indimenticabile in cui per quanto sarete per la maggior parte spettatori della stupenda storia di amicizia tra Max e Chloe, sentirete inevitabilmente in qualche modo un senso di appartenenza nei confronti di tutto l’accaduto e responsabili verso le conseguenze che porteranno al vostro epilogo.
Seppur non saprete fino ad una seconda partita quanto e in che misura potevate cambiare il corso degli eventi, non avrà importanza perché gli sceneggiatori di DontNod hanno lavorato in modo da mantenere costante il pathos e il ritmo a prescindere da tutto e seguendo determinati criteri che vi porteranno sempre e comunque a quello che il gioco voleva trasmettervi, un lascito implicito e interpretativo se vogliamo, ma portato con determinazione, talento e coerenza, fino alle battute finali. Life is Strage come detto, non è un gioco originale, ma nel modo brillante e geniale in cui sono state sviluppate tutte le sue parti risiede la sua unicità. La ‘cura per il dettaglio’, in senso lato, o ‘artistico’ se vogliamo, mantiene il coinvolgimento costantemente elevato anche laddove si potrebbe avvertire un calo del ritmo narrativo, grazie agli sforzi fatti per rendere implicitamente ricchi di valore anche i momenti più “normali” o introspettivi della vita di Max. Se vogliamo essere onesti, l’unica cosa che ci allontana talvolta dalla totale immersione nell’avventura semmai sono alcuni limiti tecnici, come una scarsa capacità espressiva nei volti dei personaggi, troppo spesso animati in modo ridondante e alcuni piccoli bug che possono ogni tanto infastidire il giocatore. Siamo comunque di fronte ad un gioco che eleva in qualche modo il genere delle contemporanee avventure grafiche ad un nuovo livello e che per una volta, mi sento decisamente di consigliare a tutti e non solo agli amanti del genere.
Verdetto
La cinica concezione del fatalismo, del destino, o se vogliamo dell’ineluttabilità, si mischia con i sentimenti più forti dell’animo umano, positivi o negativi che siano, da cui in Life is Strange tutto nasce e tutto muore. Un’opera toccante e intelligente che utilizza meccaniche di gameplay semplici ma perfettamente calzanti nel concept del gioco. Siamo di fronte ad un nuovo livello di scrittura dedicata ai videogames, o quanto meno, al pari dei punti più alti mai raggiunti dal media. Qualcosa che vi emozionerà senza ricorrere a buonismo spicciolo o eclatanti e maldestri espedienti. Un gioco-film? Una serie tv-interattiva? Un “simulatore di camminata”? Un’avventura grafica? Chiamatelo come vi pare non ha alcuna importanza, quello che conta è che si tratta di un’esperienza che non potete perdervi.