Little Orpheus racconta di un soldato sovietico, di una bomba nucleare, di dinosauri e di cosa significa narrare
aramente rido con i videogiochi. C’è molto di cui sogghignare intorno al videogioco, come con i video di particolari glitch, bug o altre situazioni non volute, ma è molto difficile trovare qualcosa che faccia sinceramente, volutamente ridere. Con Little Orpheus ho invece riso come non mi capitava da Untitled Goose Game, sebbene ricorrano a tempi e modalità comiche completamente differenti. Affidandosi a racconti assurdi, interpretazioni eccelse e ambientazioni efficaci, l’esperienza di The Chinese Room è riuscita a mantenere alto l’interesse anche per un vecchio brontolone come me. Vi spiego il perché.
Little Orpheus racconta la storia di Ivan Ivanovich, un “cosmonauta per caso” (ha barato nei test d’ammissione) a cui viene assegnato un compito di fondamentale importanza per l’URSS: portare la capsula Little Orpheus oltre la crosta terrestre, per esplorare l’ignoto che ci attende non solo tra le stelle, ma anche al centro della Terra. Il nostro Ivan è un po’ un Fantozzi sovietico, costretto in un mondo di burocrazie e grandi conflitti che non solo non comprende, ma al quale partecipa involontariamente, finendo per impattarne le sorti più di quanto chiunque dovrebbe.
Al contrario di ciò a cui ci ha abituati The Chinese Room, questo racconto viene narrato in un modo incredibilmente tradizionale, senza alcuna particolare velleità interattiva. Mentre infatti Ivan cerca di giustificare le sue tribolanti avventure al Generale Yurkovoi, noi esploriamo mondi ispirati di volta in volta a generi differenti (gli sviluppatori stessi citano Sinbad, Flash Gordon e la Terra dimenticata dal tempo), usando meccaniche molto classiche, con le quali sarà facilissimo prendere la mano (almeno per chi già gioca con regolarità).
Affronteremo quindi fasi platform, stealth e puzzle, spesso combinate tra loro o usate come mezzo per superare specifiche scene d’intermezzo, che connettono un episodio a un altro. Infatti, Ivan verrà spesso interrotto dal Generale, impaziente di scoprire ciò che davvero vuole sapere, ossia dove sia finita la bomba nucleare che permette alla navicella d’esplorazione terrestre di penetrare la crosta. A ogni intervallo, un voce fuori campo sintetizzerà l’episodio, cercando di spingerci alla visione del successivo, esattamente come accadeva fino a poco tempo fa (e a volte ancora oggi) con la serialità televisiva (o fumettistica).
E dunque vi troverete a muovervi tra: un immenso dinosauro che vi insegue in una giungla giurassica; un verme gigante che vi bracca all’interno d’una balena megagalattica; mistiche terre d’Oriente invase da automi antropomorfi; l’orologio del mondo. Tutto questo è ovviamente narrato a un incredulo generale, che perde sempre di più la pazienza e che è stato sapientemente gestito per saper dare ai momenti tipicamente “morti” del platform quel qualcosa in più che cattura la nostra attenzione.
In breve, Little Orpheus appare sicuramente come la produzione più “sicura” di The Chinese Room, sia dal punto di vista creativo che da quello “discorsivo”: ciò che dice sul potere delle storie, sull’URSS e sulla memoria spazia dall’irrilevante al banale. Il suo pregio principale è invece quello di riuscire in qualcosa di molto, molto difficile: far ridere.