Le piattaforme di streaming stringono un accordo per investire in produzioni francesi, e questa ci sembra l’occasione per parlare ancora una volta della crisi senza fine del cinema e della TV italiana
Netflix, Amazon, Disney Plus e Apple TV investiranno 330 milioni di euro annui nelle produzioni di un determinato paese europeo. Indovinate quale? No, non siamo certo noi, bensì la Francia.
I nuovi fondi per le serie e film francesi sulle piattaforme di streaming arriveranno grazie ad un accordo firmato giovedì da questi colossi con il CSA (Conseil Supérieur de l’Audiovisuel), per iniziare a investire il 25% delle loro entrate annuali in contenuti realizzati nel pays des Lumières, con la maggior parte di questa somma che sarà sborsata da mamma Netflix dato che, da sola, la piattaforma della N rossa dovrebbe versare circa 200 milioni di euro nelle casse francesi ogni anno.
L’80% di questi investimenti saranno dedicati a contenuti e opere audiovisive quali serie TV, film, documentari trasmessi in anteprima mondiale sulle sopraccitate piattaforme, mentre il residuo 20% riguarderà film che usciranno nelle sale cinematografiche, preservando la grande tradizione transalpina.
Una notizia che ovviamente fa felice il CSA, come riporta Variety: “Questo passo segna una tappa importante per il modello culturale francese ed europeo. Fino ad oggi, solo gli attori locali erano obbligati a contribuire al finanziamento dei contenuti e di fronte alla profonda trasformazione del paesaggio audiovisivo e al crescente numero di abbonamenti alle piattaforme di streaming; questi accordi sanciscono il coinvolgimento di queste grandi società internazionali nella nostra industria cinematografica e televisiva. “
Dopo Netflix, Amazon, Disney Plus e Apple TV Plus, altri cinque streamer dovrebbero firmare a breve lo stesso tipo di accordo, spianando ulteriormente la strada alla Francia nel settore cinematografico e televisivo.
E anche se tutto questo parte da una legge approvata in Francia e dalla suddetta richiesta di investimento ai servizi di streaming, mi pare l’occasione per una riflessione sulla posizione dell’Italia, sempre più relegata a un ruolo marginale nel campo dell’audiovisivo.
Potremmo decidere di dar la colpa a un sistema Europa che, sicché il potere passa anche da questi mezzi, probabilmente predilige altre nazioni anziché la nostra, ma è assai più giusto guardarsi allo specchio e fare i conti con ciò che siamo diventati.
Lungi da me giudicare un film prima di averlo visto, e per questo rimpiango ancora oggi di non aver potuto accettare l’invito all’anteprima stampa di Diabolik, ma credo proprio che avrei con buona probabilità confermato quelli che sono i pareri comuni degli esimi colleghi sul nuovo film dei Manetti Bros. Ovvero che, tanto per cambiare, siamo di fronte a qualcosa di terribile.
E tale certezza non arriva tanto dalla precedente filmografia di questi registi, quanto più generalmente da un contesto italiano in cui il buon prodotto rappresenta quasi un unicum, più che una rarità . Le epoche di Bertolucci, Monicelli, Fellini, Leone rappresentano tempi andati e purtroppo perduti di cui le nuovissime generazioni probabilmente non sanno nulla. Ci si accontenta di una breve serie animata come Strappare lungo i bordi che, senza nulla togliere al talento e all’acume di Zerocalcare, è ben lontana da quel che l’Italia era in grado di produrre in campo televisivo-cinematografico, e che peraltro è la terza rappresentazione, in salsa diversa, di un qualcosa che i fan hanno già letto, visto, masticato e digerito ne La profezia dell’armadillo in formato graphic novel e nel mediocre film di Scaringi, oltre ad essere un po’ una miscellanea dell’arte di Zero. Che peraltro – visto che nell’era dell’Internet 2.0 bisogna precisare sempre tutto – adoro.
Un tempo ci permettevano di guardare con snobismo il cinema francese, per non parlare delle produzioni spagnole, mentre adesso veniamo schiacciati, annientati.
Se proviamo a dare un’occhiata ai recenti prodotti finiti sulle piattaforme di streaming, focalizzandoci sulle nazioni nostre concorrenti nella contesa per un ruolo da comprimari atto a spezzare l’egemonia anglo-americana, la Francia ha prodotto un serial come Lupin, di assoluto successo; la Spagna, neanche a dirlo, ha messo tutti alle corde con La Casa di Carta e ha finito di stenderci con prodotti pur mediocri ma in grado di cavalcare l’onda, come Elite o White Lines. La Corea del Sud ci ha mangiato letteralmente con Squid Game, e ci ha usato come digestivo con Hellbound. Persino produzioni belga-olandesi si sono dimostrate interessantissime, come il caso di Undercover.
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E noi, nel frattempo, abbiamo come fiore all’occhiello serie come Baby oppure SKAM (che quantomeno ha un target specifico ed è più o meno dignitosa). Ci siamo distinti – fino a qualche stagione fa – con Gomorra, ma evidentemente non basta. Anche perché in Italia è stato solo il genere criminale a produrre qualcosa di mediamente interessante, negli ultimi anni.
Se guardiamo al passato recente, oltre al già citato Gomorra, tra i pochi serial di buon livello ci sono stati Romanzo Criminale – La serie o Il cacciatore, forse possiamo salvare Suburra, ma poco altro.
Il problema, tra i tanti, è che si continua a produrre materiale di questo tipo, alternato a commedie terribili in cui troviamo sempre gli stessi attori, con tematiche trite e sfruttate ormai in tutte le salse. Se a ridosso del Natale, quando tendenzialmente la maggior parte della gente ha voglia e modo di andare al cinema, quello che siamo in grado di portare in sala è Mollo tutto e apro un chiringuito, probabilmente a questo punto più che un titolo può sembrare un consiglio intelligente.